Scritta da: Rebecca Attardi
in Poesie (Poesie anonime)
Sera mia
Mi ha ispirato il tramonto.
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Mi ha ispirato il tramonto.
Viaggiavo come un relitto nel mare in tempesta.
nessun'isola all'orizzonte
nessuna nave che incrociasse la mia rotta.
La salsedine mi dilaniava la carne
gli occhi ridotti a due fessure e le labbra screpolate
e sanguinanti.
Dio, non immaginavo fosse così difficile morire.
Non potevo sapere che il mio corpo,
con inaudito accanimento, potesse
lottare così strenuamente per vivere.
Ma non sarebbe durata a lungo l'agonia.
Già, in lontananza, mi parve di scorgere dei volti.
O erano semplicemente nubi
venute a ghermirmi.
Fradicio era il cuscino quando
mi svegliai d'improvviso.
Tumultuoso il mio cuore quando
mi girai sul fianco.
E tu eri lì.
Tu, la mia isola deserta
Tu, la mia nave venuta in soccorso
Tu, che mi hai ridato la vita.
Coltello in bocca
denti stretti,
pronto metto a fuoco,
determinato,
gestisco le armi,
sanguino
non mollo,
come potrei?
Flusso sottocutaneo
sgorga e si mescola
con i pensieri,
travaso le idee
e il sangue nella carta;
ultima, infinita,
echeggiante parola.
Scusa.
Il futuro è una condanna
Il presente il carnefice
E il passato ferite aperte
Dove stai pace?
Non nel tempo che passa dalla mia mente.
Il ricordo dei tempi
senza vuoti che or solo tu riempi
mi ricorda di giorni di sole
quando eri tutto ciò che un uomo vuole
quando il tuo sorriso mi portava grandezza
e nel tuo viso contemplavo la bellezza.
Quando la tua sola presenza
mi infondeva enorme potenza
trasformandomi in un nuovo io
più felice e forte e vicino al nostro Dio
e solo tuo era il saluto
che Cuor curava dal suo vissuto.
Ma ora il dolore della tua mancanza
mi spinge qui in questa vuota stanza
a scriver che la tua compagnia
è ormai il bisogno dell'anima mia
e che di semplici gesti ha bisogno il cuore
donati anche non richiesti per generare stupore.
Ma ora quando siamo insieme mi ignori
e il mio dolor anzi che alleviare peggiori.
Ed è tacendo che dopo i gesti più belli
al posto d'esser mio riparo mi accoltelli
ed è soffrendo e piangendo che ti perdono
perché ricordo di darti l'amore come dono.
Siamo figli di tristezza umana immonda,
di quell'aurea reale,
quando vedrete il cuor che gronda
sarà sacro o bestiale?
Vi son spiagge per ciò che è stato,
oceano può esser davanti a noi,
dimenticare forte quello che si è amato
per amare adesso quello che non puoi.
V'è ingenuità che gioca nelle menti,
due opposti elementi e quell'immensità.
Guardate bene e male, li porta l'onda
Ma in bilico sulla sponda, degna d'immorale
Non piange o ride chi si ferma qua.
È la vita questa
percorre vestita
di corazze,
gesti sentiti
e ripete un antico messaggio.
Ritorna come le stagioni
e le foglie che portano
la grazia al vento
si posano e dissolvono
il soffio vitale
nella terra
che ha creato tutte le forme
Vita può dire di forme, di situazioni
e scorci, di umori paesaggi un po' allibiti, un po' tetri
Ritorna a volte e ripete
il suo corso
dal mattino buio
vampe di nebbia
buia come temporale
che schiarisce le ombre
È l'alba e salgono fitti vapori.
Andare per i viali
estesi di malinconia
I passi perduti
aleggiano su facciate
di pietre scurite
incrostate di vita.
Prendere per le viuzze
strette, tra incombenti
costruzioni diseguali
Allo sguardo,
finestre,
cadono come occhi spenti.
Si scioglie l'eco di brusii di motori
sui tetti scolorati
E lo sguardo di un passante
sale e si perde all'orizzonte
al di la del cielo grumoso
portando il bagliore dei fiori.
Intorno si allaga di luce
di fiori,
molli di tenerezza con i colori
incantati per sempre nel balenio
di sfumature di una foglia.
Come un ragno costruisce
la sua ragnatela incerta,
Io getto i miei ponti
di speranza intricata
nelle parole,
tra luminose arbores cenze
nei capelli di corallo
delle ninfe,
tra il verde soffuso
dei cespugli.
Prolificano geometrie di palazzi
solidi come argilla indurita al sole
serrano la voce del pensiero.
All'improvviso
un fiato,
sottile suono insinuante,
corrompe le polverose facciate
percorre umidi cortili
soffia i suoi effluvi
attraverso le tende aperte
Il suono della città
si fa più mite
dai marciapiedi
sale un alito di vita
la luce cristallina disegna il filo dei tetti,
afferra la città
a liquefare i contorni
esalando sofferti odori
è la natura.
E la mente si amplia
scoprendo lo spazio
sogno vitale di libertà.