Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

I giorni son sempre più brevi

I giorni son sempre più brevi
le piogge cominceranno.
La mia porta, spalancata, ti ha atteso.
Perché hai tardato tanto?

Sul mio tavolo, dei peperoni verdi, del sale, del pane.
Il vino che avevo conservato nella brocca
l'ho bevuto a metà, da solo, aspettando.
Perché hai tardato tanto?

Ma ecco sui rami, maturi, profondi
dei frutti carichi di miele.
Stavano per cadere senz'essere colti
se tu avessi tardato ancora un poco.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Rio Salto

    Lo so: non era nella valle fonda
    suon che s'udìa di palafreni andanti:
    era l'acqua che giù dalle stillanti
    tegole a furia percotea la gronda.
    Pur via e via per l'infinita sponda
    passar vedevo i cavalieri erranti;
    scorgevo le corazze luccicanti,
    scorgevo l'ombra galoppar sull'onda.
    Cessato il vento poi, non di galoppi
    il suono udivo, nè vedea tremando
    fughe remote al dubitoso lume;
    ma poi solo vedevo, amici pioppi!
    Brusivano soave tentennando
    lungo la sponda del mio dolce fiume.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Johnny

      Oh, la valle in estate dove io e il mio John
      lungo il profondo fiume andavamo su e giù
      mentre i fiori nell'erba e gli uccelli nell'aria
      ragionavano dolci del reciproco amore,
      e io sulla sua spalla dicevo: "Su, giochiamo":
      ma lui con un cipiglio di tuono se ne andò.

      Oh, il venerdì ricordo, era sotto Natale,
      quando noi due andammo a quel ballo benefico,
      così liscia la pista e chiassosa l'orchestra,
      e Johnny così bello che ero così fiera;
      "Stringimi forte, Johnny, balliamo fino all'alba":
      ma lui con un cipiglio di tuono se ne andò.

      Scorderò mai la sera nel palco al gran galà
      quando pioveva musica da ogni ugola stupenda?
      Pendevano abbaglianti le perle e i diamanti
      da ogni abito di seta argentata o dorata:
      "Oh, Johnny, mi sento in cielo" io dissi in un bisbiglio:
      ma lui con un cipiglio di tuono se ne andò.

      Oh sì, ma era bello come un giardino in fiore,
      alto e slanciato come la grande Torre Eiffel,
      quando si spense il valzer sull'ampia promenade
      oh, quel sorriso e gli occhi mi andaron dritti al cuore;
      "Oh, caro Johnny, sposami, ti amerò e obbedirò":
      Ma lui con un cipiglio di tuono se ne andò.

      Oh, questa notte, Johnny, io ti ho sognato, amore,
      su un braccio avevi il sole e sull'altro la luna,
      tutto azzurro era il mare ed era verde l'erba,
      ogni stella agitava un tamburello tondo;
      io ero in un abisso giù a diecimila miglia:
      ma tu con un cipiglio di tuono te ne andavi.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Amore e 'l cor gentil sono una cosa

        Amore e 'l cor gentil sono una cosa,
        sì come il saggio in suo dittare pone,
        e così esser l'un sanza l'altro osa
        com'alma razional sanza ragione.
        Falli natura quand'è amorosa,
        Amor per sire e 'l cor per sua magione,
        dentro la qual dormendo si riposa
        talvolta poca e tal lunga stagione.
        Bieltate appare in saggia donna pui,
        che piace a li occhi sì, che dentro al core
        nasce un disio de la cosa piacente;
        e tanto dura talora in costui,
        che fa svegliar lo spirito d'Amore.
        E simil face in donna omo valente.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Per mare

          Nel più alto punto
          dove scienza è oblìo d'ogni sapere
          e certezza, mi dicono,
          certezza irrefutabile venuta incontro

          o nel tempo appeso a un filo
          d'un riacquisto d'infanzia,

          tra sonno e veglia, tra innocenza e colpa,

          dove c'è e non c'è opera nostra voluta e scelta.

          "La salute della mente
          è là" dice una voce
          con cui contendo da anni,
          una voce che ora è di sirena.

          Si naviga tra Sardegna e Corsica.
          C'è un po' di mare
          e la barca appruata scarricchia.
          L'equipaggio dorme. Ma due
          vegliano nella mezzaluce della plancia.
          È passato agosto; Siamo alla rottura dei tempi.
          È una notte viva.
          Viva più di questa notte,
          viva tanto da serrarmi la gola
          è la muta confidenza
          di quelli che riposano
          si curi in mano d'altri
          e di questi che non lasciano la manovra e il calcolo

          mentre pregano per i loro uomini in mare
          da un punto oscuro della costa, mentre arriva
          dalla parte del Rodano qualche raffica.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            My Wars are laid away in Books -
            I have one Battle more -
            A Foe whom I have never seen
            But oft has scanned me o'er -
            And hesitated me between
            And others at my side,
            But chose the best - Neglecting me - till
            All the rest have died -
            How sweet if I am not forgot
            By Chums that passed away -
            Since Playmates at threescore and ten
            Are such a scarcity.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Pioggia

              Cantava al buio d'aia in aia il gallo.
              E gracidò nel bosco la cornacchia:
              il sole si mostrava a finestrelle.
              Il sol dorò la nebbia della macchia,
              poi si nascose; e piovve a catinelle.
              Poi fra il cantare delle raganelle
              guizzò sui campi un raggio lungo e giallo.
              Stupìano i rondinotti dell'estate
              di quel sottile scendere di spille:
              era un brusìo con languide sorsate
              e chiazze larghe e picchi a mille a mille;
              poi singhiozzi, e gocciar rado di stille:
              di stille d'oro in coppe di cristallo.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Il canto popolare

                Improvviso il mille novecento
                cinquanta due passa sull'Italia:
                solo il popolo ne ha un sentimento
                vero: mai tolto al tempo, non l'abbaglia
                la modernità, benché sempre il più
                moderno sia esso, il popolo, spanto
                in borghi, in rioni, con gioventù
                sempre nuove - nuove al vecchio canto -
                a ripetere ingenuo quello che fu.

                Scotta il primo sole dolce dell'anno
                sopra i portici delle cittadine
                di provincia, sui paesi che sanno
                ancora di nevi, sulle appenniniche
                greggi: nelle vetrine dei capoluoghi
                i nuovi colori delle tele, i nuovi
                vestiti come in limpidi roghi
                dicono quanto oggi si rinnovi
                il mondo, che diverse gioie sfoghi...

                Ah, noi che viviamo in una sola
                generazione ogni generazione
                vissuta qui, in queste terre ora
                umiliate, non abbiamo nozione
                vera di chi è partecipe alla storia
                solo per orale, magica esperienza;
                e vive puro, non oltre la memoria
                della generazione in cui presenza
                della vita è la sua vita perentoria.

                Nella vita che è vita perché assunta
                nella nostra ragione e costruita
                per il nostro passaggio - e ora giunta
                a essere altra, oltre il nostro accanito
                difenderla - aspetta - cantando supino,
                accampato nei nostri quartieri
                a lui sconosciuti, e pronto fino
                dalle più fresche e inanimate ère -
                il popolo: muta in lui l'uomo il destino.

                E se ci rivolgiamo a quel passato
                ch'è nostro privilegio, altre fiumane
                di popolo ecco cantare: recuperato
                è il nostro moto fin dalle cristiane
                origini, ma resta indietro, immobile,
                quel canto. Si ripete uguale.
                Nelle sere non più torce ma globi
                di luce, e la periferia non pare
                altra, non altri i ragazzi nuovi...

                Tra gli orti cupi, al pigro solicello
                Adalbertos komis kurtis!, i ragazzini
                d'Ivrea gridano, e pei valloncelli
                di Toscana, con strilli di rondinini:
                Hor atorno fratt Helya! La santa
                violenza sui rozzi cuori il clero
                calca, rozzo, e li asserva a un'infanzia
                feroce nel feudo provinciale l'Impero
                da Iddio imposto: e il popolo canta.

                Un grande concerto di scalpelli
                sul Campidoglio, sul nuovo Appennino,
                sui Comuni sbiancati dalle Alpi,
                suona, giganteggiando il travertino
                nel nuovo spazio in cui s'affranca
                l'Uomo: e il manovale Dov'andastà
                jersera... ripete con l'anima spanta
                nel suo gotico mondo. Il mondo schiavitù
                resta nel popolo. E il popolo canta.

                Apprende il borghese nascente lo Ça ira,
                e trepidi nel vento napoleonico,
                all'Inno dell'Albero della Libertà,
                tremano i nuovi colori delle nazioni.
                Ma, cane affamato, difende il bracciante
                i suoi padroni, ne canta la ferocia,
                Guagliune 'e mala vita! In branchi
                feroci. La libertà non ha voce
                per il popolo cane. E il popolo canta.

                Ragazzo del popolo che canti,
                qui a Rebibbia sulla misera riva
                dell'Aniene la nuova canzonetta, vanti
                è vero, cantando, l'antica, la festiva
                leggerezza dei semplici. Ma quale
                dura certezza tu sollevi insieme
                d'imminente riscossa, in mezzo a ignari
                tuguri e grattacieli, allegro seme
                in cuore al triste mondo popolare.

                Nella tua incoscienza è la coscienza
                che in te la storia vuole, questa storia
                il cui Uomo non ha più che la violenza
                delle memorie, non la libera memoria...
                E ormai, forse, altra scelta non ha
                che dare alla sua ansia di giustizia
                la forza della tua felicità,
                e alla luce di un tempo che inizia
                la luce di chi è ciò che non sa.
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