Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz
Vive e muore molte volte l'uomo,
fra le sue due eternità,
della stirpe l'una, dell'anima l'altra,
ben lo sapeva l'antica Irlanda.
Sia che nel suo letto muoia,
o che lo atterri un colpo di fucile,
il peggio che ha da temere
è una breve dipartita da quei cari.
Benché la fatica dei becchini
sia lunga, affilati sono i loro badili,
forti i loro muscoli nell'opera.
Non fanno che ricacciar i loro morti
nella mente umana ancora.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Dalla spiaggia

    C'è sopra il mare tutto abbonacciato
    il tremolare quasi d'una maglia:
    in fondo in fondo un ermo colonnato,
    nivee colonne d'un candor che abbaglia:
    una rovina bianca e solitaria,
    là dove azzurra è l'acqua come l'aria:
    il mare nella calma dell'estate
    ne canta tra le sue larghe sorsate.
    O bianco tempio che credei vedere
    nel chiaro giorno, dove sei vanito?
    Due barche stanno immobilmente nere,
    due barche in panna in mezzo all'infinito.
    E le due barche sembrano due bare
    smarrite in mezzo all'infinito mare;
    e piano il mare scivola alla riva
    e ne sospira nella calma estiva.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Lasciando alcuni amici di prima mattina

      D'oro una penna datemi, e lasciate
      che in limpidi e lontane regioni
      sopra mucchi di fiori io mi distenda;
      portatemi più bianca di una stella
      o di una mano d'angelo inneggiante
      quando fra corde argentee la vedi
      di arpe celesti, un'asse per scrittoio;
      e lasciate lì accanto correr molti
      carri color di perla, vesti rosa,
      e chiome a onda, e vasi di diamante,
      e ali intraviste, e sguardi penetranti.
      Lasciate intanto che la musica erri
      ai miei orecchi d'intorno; e come quella
      ogni cadenza deliziosa tocca,
      lasciate che io scriva un verso pieno
      di molte meraviglie delle sfere,
      splendido al suono: con che altezze in gara
      il mio spirito venne! Nè contento
      è di restare così presto solo.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Sulla Gloria

        Quale febbre ha mai l'uomo! Che guardare
        ai suoi giorni mortali con il sangue
        temperato non sa, che tutto sciupa
        le pagine del libro della vita
        e deruba virtù al suo buon nome.
        È come se la rosa si cogliesse
        da sé; o quand'è matura la susina
        la sua scura lanugine raschiasse;
        o a guisa di un folletto impertinente
        la Naiade oscurasse la splendente
        sua grotta di una tenebra fangosa.
        Ma sullo spino lascia sé la rosa,
        che vengano a baciarla i venti e grate
        se ne cibino le api: e la susina
        matura indossa sempre la sua veste
        bruna, il lago non tocco ha di cristallo
        la superficie. Perché dunque l'uomo,
        importunando il mondo per averne
        grazia, deve sciupar la sua salvezza
        in obbedienza a un rozzo, falso credo?
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          Stasi nel buio. Poi
          l'insostanziale azzurro
          versarsi di vette e distanze.

          Leonessa di Dio,
          come in una ci evolviamo,
          perno di calcagni e ginocchi! - La ruga

          s'incide e si cancella, sorella
          al bruno arco
          del collo che non posso serrare,

          bacche
          occhiodimoro oscuri
          lanciano ami -

          Boccate di un nero dolce sangue,
          ombre.
          Qualcos'altro

          mi tira su nell'aria -
          cosce, capelli;
          dai miei calcagni si squama.

          Bianca
          godiva, mi spoglio -
          morte mani, morte stringenze.

          E adesso io
          spumeggio al grano, scintillio di mari.
          Il pianto del bambino

          nel muro si liquefà.
          E io
          sono la freccia,

          la rugiada che vola
          suicida, in una con la spinta
          dentro il rosso

          occhio cratere del mattino.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Guido, ì vorrei che tu e Lapo ed io

            Guido, ì vorrei che tu e Lapo ed io
            fossimo presi per incantamento,
            e messi in un vasel ch'ad ogni vento
            per mare andasse al voler vostro e mio.
            Sì che fortuna od altro tempo rio
            non ci potesse dare impedimento,
            anzi, vivendo sempre in un talento,
            di stare insieme crescesse 'l disio.
            E monna Vanna e monna Lagia poi
            con quella ch'è sul numer de le trenta
            con noi ponesse il buono incantatore:
            e quivi ragionar sempre d'amore,
            e ciascuna di lor fosse contenta,
            sì come ì credo che saremmo noi.
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