Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Alba

Odoravano i fior di vitalba
per via, le ginestre nel greto;
aliavano prima dell'alba
le rondini nell'uliveto.
Aliavano mute con volo
nero, agile, di pipistrello;
e tuttora gemea l'assiolo,
che già spincionava il fringuello.
Tra i pinastri era l'alba che i rivi
mirava discendere giù:
guizzò un raggio, soffiò su gli ulivi;
virb... disse una rondine; e fu
giorno: un giorno di pace e lavoro,
che l'uomo mieteva il suo grano,
e per tutto nel cielo sonoro
saliva un cantare lontano.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    La stella di Natale

    Era pieno inverno.
    Soffiava il vento della steppa.
    E aveva freddo il neonato nella grotta
    Sul pendio della collina.

    L'alito del bue lo riscaldava.
    Animali domestici
    stavano nella grotta,
    sulla culla vagava un tiepido vapore.

    Scossi dalle pelli le paglie del giaciglio
    e i grani di miglio,
    dalle rupi guardavano
    assonnati i pastori gli spazi della mezzanotte.

    Lontano, la pianura sotto la neve, e il cimitero
    e recinti e pietre tombali
    e stanghe di carri confitte nella neve,
    e sul cimitero il cielo tutto stellato.

    E lì accanto, mai vista sino allora,
    più modesta d'un lucignolo
    alla finestrella d'un capanno,
    traluceva una stella sulla strada di Betlemme.



    Per quella stessa via, per le stesse contrade
    degli angeli andavano, mescolati alla folla.
    L'incorporeità li rendeva invisibili,
    ma a ogni passo lasciavano l'impronta d'un piede.

    Una folla di popolo si accalcava presso la rupe.
    Albeggiava. Apparivano i tronchi dei cedri.
    E a loro, "chi siete? " domandò Maria.
    "Noi, stirpe di pastori e inviati del cielo,
    siamo venuti a cantare lodi a voi due".
    "Non si può, tutti insieme. Aspettate alla soglia".

    Nella foschia di cenere, che precede il mattino,
    battevano i piedi mulattieri e allevatori.
    Gli appiedati imprecavano contro quelli a cavallo;
    e accanto al tronco cavo dell'abbeverata
    mugliavano i cammelli, scalciavano gli asini.

    Albeggiava. Dalla volta celeste l'alba spazzava,
    come granelli di cenere, le ultime stelle.
    E della innumerevole folla solo i Magi
    Maria lasciò entrare nell'apertura rocciosa.

    Lui dormiva, splendente, in una mangiatoia di quercia,
    come un raggio di luna dentro un albero cavo.
    Invece di calde pelli di pecora,
    le labbra d'un asino e le nari d'un bue.

    I Magi, nell'ombra, in quel buio di stalla
    Sussurravano, trovando a stento le parole.
    A un tratto qualcuno, nell'oscurità,
    con una mano scostò un poco a sinistra
    dalla mangiatoia uno dei tre Magi;
    e quello si voltò: dalla soglia, come in visita,
    alla Vergine guardava la stella di Natale.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Sospiro

      L'anima verso la tua fronte, o calma sorella,
      dove sogna un autunno sparso di macchie di porpora
      e verso il cielo errabondo delle tue iridi
      angeliche, sale, come in un malinconico
      giardino, fedele un bianco zampillo sospira
      verso l'Azzurro!
      - Verso l'Azzurro raddolcito d'Ottobre
      pallido e puro che specchia il suo languore infinito
      ai grandi bacini e lascia, sull'acqua morta
      dov'erra col vento la fulva agonia delle foglie
      scavando un gelido solco, trascinarsi
      il sole giallo con obliquo raggio.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Pietra di sole (frammenti)

        un salice di cristallo, un pioppo d'acqua,
        un alto getto che il vento inarca,
        un albero ben piantato ma danzante,
        un camminar di fiume che si curva,
        avanza, retrocede, fa un giro
        e sempre arriva:
        un camminar tranquillo
        di stella o primavera senza fretta,
        acqua che con le palpebre chiuse
        emette tutta notte profezie,
        unanime presenza in ondata,
        onda su onda fino a coprir tutto,
        verde sovranità senza tramonto
        come l'abbacinante effetto delle ali
        quando s'aprono nel mezzo del cielo, (... )
        vado per il tuo corpo come per il mondo,
        il tuo ventre è una spiaggia soleggiata,
        i tuoi seni due chiese dove il sangue
        celebra i suoi misteri paralleli,
        i miei sguardi ti coprono come edera,
        sei una città che il mare assedia,
        una muraglia che la luce divide
        in due metà color di pesca,
        un luogo di sale, roccia e uccelli
        sotto la legge del meriggio assorto,

        vestita del colore dei miei desideri
        vai nuda come il mio pensiero,
        vado pei tuoi occhi come per l'acqua,
        le tigri bevono sogno nei tuoi occhi,
        il colibrí si brucia in quelle fiamme,
        vado per la tua fronte come per la luna,
        come la nube per il tuo pensiero,
        vado per il tuo ventre come pei tuoi sogni,
        la tua gonna di mais ondeggia e canta,

        la tua gonna di cristallo, la tua gonna d'acqua,
        le tue labbra, i capelli, i tuoi sguardi,
        tutta la notte piovi, tutto il giorno
        apri il mio petto con le tue dita d'acqua,
        chiudi i miei occhi con la tua bocca d'acqua,
        sulle mie ossa piovi, nel mio petto
        affonda radici d'acqua un albero liquido,

        vado per la tua strada come per un fuime,
        vado per il tuo corpo come per un bosco,
        come per un sentiero nel monte
        che in un brusco abisso finisce,
        vado pei tuoi pensieri assottigliati
        e all'uscita dalla tua bianca fronte
        la mia ombra abbattuta si strazia,
        raccolgo i miei frammenti uno a uno
        e proseguo senza corpo, cerco tentoni, (... )

        —la vita, quando fu davvero nostra?
        quando siamo davvero ciò che siamo?
        ben guardato non siamo, mai siamo
        da soli se non vertigine e vuoto,
        smorfie nello specchio, orrore e vomito,
        mai la vita è nostra, è degli altri,
        la vita non è di nessuno, tutti siamo
        la vita —pane di sole per gli altri,
        tutti gli altri che siam noi—,
        son altro quando sono, i miei atti
        son piú miei se sono anche di tutti

        perché io possa essere devo esser altro,
        uscire da me, cercarmi tra gli altri,
        gli altri che non sono s'io non esisto,
        gli altri che mi dan piena esistenza,
        non sono, non v'è io, siam sempre noi,
        la vita è un'altra, sempre là, piú lungi,
        fuori di te, di me, sempre orizzonte,
        vita che ci svive e ci fa estranei
        che ci inventa un volto e lo sciupa,
        fame d'essere, oh morte, pane di tutti.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Kinsey Keene

          Ascoltate, Thomas Rhodes, presidente della banca;
          Coolbaugh Whedon, direttore dell'"Argo";
          Reverendo Peet, pastore della prima chiesa;
          A. D. Blood, più volte sindaco di Spoon River;
          e finalmente voi tutti, membri dell'Associazione del Buon Costume —
          ascoltate le parole di Cambronne morituro,
          ritto con gli eroici superstiti
          della guardia di Napoleone a Mont Saint-Jean
          sul campo di battaglia di Waterloo,
          quando Maitland, l'inglese, gridò loro:
          "Arrendetevi, prodi Francesi! " —
          là sul finir del giorno, quando la battaglia fu irrimediabilmente perduta,
          e orde d'uomini che non eran più l'esercito
          del grande Napoleone
          si agitavano sul campo come brandelli laceri
          di nuvole tonanti nella tempesta.
          Ebbene, ciò che Cambronne disse a Maitland
          prima che il fuoco inglese spianasse il ciglio della collina
          contro la luce morente del giorno,
          io dico a voi, e a tutti voi,
          e a te, universo.
          E v'incarico di scolpirlo.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            La campagna

            O tu cantor di morbidi
            Pratei, di dolci rivi,
            Che i verdi poggi, e gli alberi
            Soavemente avvivi
            Con gli armonici versi
            Da fresche tinte aspersi,

            Odi un poeta giovane,
            Che il genio che l'ispira
            Devoto siegue, e libero
            Percote ardita lira,
            E cò suoi canti vola
            Al suo gentil Bertòla.

            Fra campestri delizie
            Tranquillo e lieto io vivo.
            E col pensier fantastico
            Tra me canto e descrivo
            Sì vaghi paeselli,
            Che ognor sembran novelli.

            Pingo; ma resto attonito
            Allor che su i tuoi fogli
            Veggo fiorire, e sorgere
            Pianto e marini scogli,
            Che sembrano invitarmi
            A sacrar loro i carmi.

            Da me s'invola subito
            Il mio picciol soggiorno,
            E sol veggo Posilipo
            E il mar che vanta intorno
            Di Mergellina il lido
            Ameno più che Gnido.

            Estatici contemplano
            Tuoi campi i cupid'occhi:
            O come allor nell'anima
            Sento beati tocchi,
            Che mi dicono ognora:
            Sì dolce vate onora.

            Salve, dunque, del tenero
            Gesnèr felice alunno!
            Il lor poeta adorino
            D'aprile e dell'autunno
            Le Grazie e i lindi Amori
            Coronati di fiori.

            Il lor poeta adorino
            Le serpeggianti linfe,
            E dai monti scherzevoli
            Scendan le gaje Ninfe,
            E alternin baci in fronte
            Al tòsco Anacreonte.

            Ed io tesso tra cantici
            Ghirlandetta odorosa
            Non d'orgogliosi lauri,
            Ma sol d'umida rosa,
            E il capo ombreggio al molle
            Abitator del colle.

            E in cor brillante io dico:
            Questa dona Natura
            Al suo più ingenuo amico,
            Ch'ella d'altro non cura:
            Da lui schietto-dipinta
            Di fior va anch'ella cinta.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              A Dante

              Alto rombano i secoli
              Su rapidissim'ali,
              E dall'aere giù vibrano
              Dritti infiammati strali
              Che additano agl'ingegni
              D'eterna gloria i segni:

              Ma qual nebbia! Qual livido
              Umor spargon dai vanni
              Che in fetida caligine
              Attomban nomi ed anni,
              E rodono quel serto
              Che ombreggia un tenue merto!

              O mio Poeta, o altissimo
              Signor del sommo canto,
              Che con sublime cetera
              Per la casa del pianto
              Girasti, e fra la gente,
              Che o gioisce, o si pente,

              Tu vivi eterno. - Gloria
              Di suo fulgor ti cinse,
              Tuonò sua voce; un fulmine
              Fu per chi ti dipinse
              Testor stentato, oscuro
              Di carmi e stile impuro.

              Pèra! La lingua sucida
              Costui nutra nel sangue,
              E per delfici lauri
              Gli accerchi invece un angue,
              Sanie stillante infesta,
              L'abbominevol testa.

              Dicesti: ed ecco stridono
              In suon ringhiante e forte
              Gli aspri tartarei cardini:
              Della cappa di morte
              Infino à più vestute
              Ecco l'Ombre perdute.

              Io già le ascolto: echeggiano
              Per l'aer senza stelle
              Batter di man, bestemmie,
              Orribili favelle,
              Voci alte e fioche, accenti
              D'ire in dolor furenti.

              O Padre! O Vate! Un giovane
              Cui l'estro ai cieli innalza,
              Che pel genio che l'agita
              Fervidamente sbalza
              A inerudita cetra
              Canti spargendo all'etra,

              A te si prostra: un'anima
              Che in sè ognor si ravvolge,
              Che in ermi boschi tacita
              Fugge dall'atre bolge
              Di cittadino tetto,
              Gl'irraggia l'intelletto.

              Di sapienza nettare
              Fra mie voglie delibo,
              E, meditante, ai spiriti
              Porgo l'augusto cibo
              Che questa etade impura,
              Famelica, non cura.

              Muta di luce eterea
              Alle peccata in grembo
              Fra cupo orror s'avvoltola
              L'Umanità: il suo lembo
              Spruzzi di sangue stilla,
              Ed ella va in favilla.

              Ma ira di giustizia
              Lui che può ciò che vuole
              Ruggisce in cielo, e scaglia
              Di spavento parole;
              Vennero i giorni alfine
              Di piaghe e di ruine.

              Vennero si; ma sorgere,
              Giganteggiando, i nostri
              Carmi vedransi, e liberi
              Calpestare què mostri
              Che tumidi d'orgoglio
              Siedono ingiusti in soglio.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                La sabbia del tempo

                Come scorrea la calda sabbia lieve
                Per entro il cavo della mano in ozio,
                Il cor sentì che il giorno era più breve.

                E un'ansia repentina il cor m'assalse
                5 Per l'appressar dell'umido equinozio
                10 Che offusca l'oro delle piagge salse.

                Alla sabbia del Tempo urna la mano
                Era, clessidra il cor mio palpitante,
                L'ombra crescente d'ogni stelo vano
                Quasi ombra d'ago in tacito quadrante.
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