Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Nella macchia

Errai nell'oblio della valle
tra ciuffi di stipe fiorite,
tra quercie rigonfie di galle;

errai nella macchia più sola,
per dove tra foglie marcite
spuntava l'azzurra viola;

errai per i botri solinghi:
la cincia vedeva dai pini:
sbuffava i suoi piccoli ringhi
argentini.

Io siedo invisibile e solo
tra monti e foreste: la sera
non freme d'un grido, d'un volo.

Io siedo invisibile e fosco;
ma un cantico di capinera
si leva dal tacito bosco.

E il cantico all'ombre segrete
per dove invisibile io siedo,
con voce di flauto ripete,
Io ti vedo!
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Il clown

    Saltimbanco, addio! Buona sera, Pagliaccio! Indietro, Babbeo:
    Fate posto, buffoni antiquati, dalla burla impeccabile,
    Fate largo! Solenne, altero e discreto,
    ecco venire il migliore di tutti, l'agile clown.

    Più snello d'Arlecchino e più impavido di Achille
    è lui di certo, nella sua bianca armatura di raso:
    etereo e chiaro come uno specchio senza argento.
    I suoi occhi non vivono nella sua maschera d'argilla.

    Brillano azzurri fra il belletto e gli unguenti
    mentre, eleganti il busto e il capo si bilanciano
    sull'arco paradossale delle gambe.

    Poi sorride. Intorno il volgo stupido e sporco
    la canaglia puzzolente e santa dei Giambi
    applaude al sinistro istrione che l'odia.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Canzone del carceriere

      Dove vai bel carceriere
      Con quella chiave macchiata di sangue
      Vado a liberare la mia amata
      Se sono ancora in tempo
      L'avevo chiusa dentro
      Teneramente crudelmente
      Nella cella del mio desiderio
      Nel più profondo del mio tormento
      Nelle menzogne dell'avvenire
      Nelle sciocchezze del giuramento
      Voglio liberarla
      Voglio che sia libera
      E anche di dimenticarmi
      E anche di lasciarmi
      E anche di tornare
      E di amarmi ancora
      O di amare un altro
      Se un giorno le va a genio
      E se resto solo
      E lei sarà andata via
      Io serberò soltanto
      Serberò tuttavia
      Nel cavo delle mani
      Fino alle ultime mie ore
      La dolcezza dei suoi seni plasmati dall'amore.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Poesia d'amore

        Nessuno sarà a casa
        solo la sera. Il solo
        giorno invernale nel vano trasparente
        delle tende scostate.

        Di palle di neve solo, umide, bianche
        la rapida sfavillante traccia.
        Soltanto tetti e neve e tranne
        i tetti e la neve, nessuno.

        E di nuovo ricamerà la brina,
        e di nuovo mi prenderanno
        la tristezza di un anno trascorso
        e gli affanni di un altro inverno,

        e di nuovo mi tormenteranno
        per una colpa non ancora pagata,
        e la finestra lungo la crociera
        una fame di legno serrerà.

        Ma per la tenda d'un tratto
        scorrerà il brivido di un'irruzione .
        Il silenzio coi passi misurando
        tu entrerai, come il futuro.

        Apparirai presso la porta,
        vestita senza fronzoli, di qualcosa di bianco,
        di qualcosa proprio di quei tessuti
        di cui ricamano i fiocchi.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Dichiarazione

          Essere donna è un gran passo,
          fare impazzire, eroismo.

          E io dinnanzi al miracolo di mani,
          schiena, spalle e di un collo di donna
          con devozione di servo
          la vita tutta riverisco.

          Ma per quanto la notte m'incateni
          con un anello d'angoscia,
          più forte è al mondo l'aspirazione ad evadere
          e la passione attira alle rotture.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            La differenza

            Penso e ripenso:-Che mai pensa l'oca
            gracidante alla riva del canale?
            Pare felice! Al vespero invernale
            protende il collo, giubilando roca.

            Salta starnazza si rituffa gioca:
            né certo sogna d'essere mortale
            né certo sogna il prossimo Natale
            né l'armi corruscanti della cuoca.

            -O pàpera, mia candida sorella,
            tu insegni che la Morte non esiste:
            solo si muore da che s'è pensato.

            Ma tu non pensi. La tua sorte è bella!
            Ché l'esser cucinato non è triste,
            triste è il pensare d'esser cucinato.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Hymnus ad nocturnum

              Ho la calma di un morto:
              guardo il letto che attende
              le mie membra e lo specchio
              che mi riflette assorto.

              Non so vincere il gelo
              dell'angoscia, piangendo,
              come un tempo, nel cuore
              della terra e del cielo.

              Non so fingermi calme
              o indifferenze o altre
              giovanili prodezze,
              serti di mirto o palme.

              O immoto Dio che odio
              fa che emani ancora
              vita dalla mia vita
              non m'importa più il modo.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Autunno veneziano

                L'alito freddo e umido m'assale
                di Venezia autunnale.
                Adesso che l'estate,
                sudaticcia e sciroccosa,
                d'incanto se n'è andata,
                una rigida luna settembrina
                risplende, piena di funesti presagi,
                sulla città d'acque e di pietre
                che rivela il suo volto di medusa
                contagiosa e malefica.
                Morto è il silenzio dei canali fetidi,
                sotto la luna acquosa,
                in ciascuno dei quali
                par che dorma il cadavere d'Ofelia:
                tombe sparse di fiori
                marci e d'altre immondizie vegetali,
                dove passa sciacquando
                il fantasma del gondoliere.
                O notti veneziane,
                senza canto di galli,
                senza voci di fontane,
                tetre notti lagunari
                cui nessun tenero bisbiglio anima,
                case torve, gelose,
                a picco sui canali,
                dormenti senza respiro,
                io v'ho sul cuore adesso più che mai.
                Qui non i venti impetuosi e funebri
                del settembre montanino,
                non odor di vendemmia, non lavacri
                di piogge lacrimose,
                non fragore di foglie che cadono.
                Un ciuffo d'erba che ingiallisce e muore
                su un davanzale
                è tutto l'autunno veneziano.

                Così a Venezia le stagioni delirano.

                Pei suoi campi di marmo e i suoi canali
                non son che luci smarrite,
                luci che sognano la buona terra
                odorosa e fruttifera.
                Solo il naufragio invernale conviene
                a questa città che non vive,
                che non fiorisce,
                se non quale una nave in fondo al mare.
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