Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

La differenza

Penso e ripenso:-Che mai pensa l'oca
gracidante alla riva del canale?
Pare felice! Al vespero invernale
protende il collo, giubilando roca.

Salta starnazza si rituffa gioca:
né certo sogna d'essere mortale
né certo sogna il prossimo Natale
né l'armi corruscanti della cuoca.

-O pàpera, mia candida sorella,
tu insegni che la Morte non esiste:
solo si muore da che s'è pensato.

Ma tu non pensi. La tua sorte è bella!
Ché l'esser cucinato non è triste,
triste è il pensare d'esser cucinato.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    Vive e muore molte volte l'uomo,
    fra le sue due eternità,
    della stirpe l'una, dell'anima l'altra,
    ben lo sapeva l'antica Irlanda.
    Sia che nel suo letto muoia,
    o che lo atterri un colpo di fucile,
    il peggio che ha da temere
    è una breve dipartita da quei cari.
    Benché la fatica dei becchini
    sia lunga, affilati sono i loro badili,
    forti i loro muscoli nell'opera.
    Non fanno che ricacciar i loro morti
    nella mente umana ancora.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Pietra di sole (frammenti)

      un salice di cristallo, un pioppo d'acqua,
      un alto getto che il vento inarca,
      un albero ben piantato ma danzante,
      un camminar di fiume che si curva,
      avanza, retrocede, fa un giro
      e sempre arriva:
      un camminar tranquillo
      di stella o primavera senza fretta,
      acqua che con le palpebre chiuse
      emette tutta notte profezie,
      unanime presenza in ondata,
      onda su onda fino a coprir tutto,
      verde sovranità senza tramonto
      come l'abbacinante effetto delle ali
      quando s'aprono nel mezzo del cielo, (... )
      vado per il tuo corpo come per il mondo,
      il tuo ventre è una spiaggia soleggiata,
      i tuoi seni due chiese dove il sangue
      celebra i suoi misteri paralleli,
      i miei sguardi ti coprono come edera,
      sei una città che il mare assedia,
      una muraglia che la luce divide
      in due metà color di pesca,
      un luogo di sale, roccia e uccelli
      sotto la legge del meriggio assorto,

      vestita del colore dei miei desideri
      vai nuda come il mio pensiero,
      vado pei tuoi occhi come per l'acqua,
      le tigri bevono sogno nei tuoi occhi,
      il colibrí si brucia in quelle fiamme,
      vado per la tua fronte come per la luna,
      come la nube per il tuo pensiero,
      vado per il tuo ventre come pei tuoi sogni,
      la tua gonna di mais ondeggia e canta,

      la tua gonna di cristallo, la tua gonna d'acqua,
      le tue labbra, i capelli, i tuoi sguardi,
      tutta la notte piovi, tutto il giorno
      apri il mio petto con le tue dita d'acqua,
      chiudi i miei occhi con la tua bocca d'acqua,
      sulle mie ossa piovi, nel mio petto
      affonda radici d'acqua un albero liquido,

      vado per la tua strada come per un fuime,
      vado per il tuo corpo come per un bosco,
      come per un sentiero nel monte
      che in un brusco abisso finisce,
      vado pei tuoi pensieri assottigliati
      e all'uscita dalla tua bianca fronte
      la mia ombra abbattuta si strazia,
      raccolgo i miei frammenti uno a uno
      e proseguo senza corpo, cerco tentoni, (... )

      —la vita, quando fu davvero nostra?
      quando siamo davvero ciò che siamo?
      ben guardato non siamo, mai siamo
      da soli se non vertigine e vuoto,
      smorfie nello specchio, orrore e vomito,
      mai la vita è nostra, è degli altri,
      la vita non è di nessuno, tutti siamo
      la vita —pane di sole per gli altri,
      tutti gli altri che siam noi—,
      son altro quando sono, i miei atti
      son piú miei se sono anche di tutti

      perché io possa essere devo esser altro,
      uscire da me, cercarmi tra gli altri,
      gli altri che non sono s'io non esisto,
      gli altri che mi dan piena esistenza,
      non sono, non v'è io, siam sempre noi,
      la vita è un'altra, sempre là, piú lungi,
      fuori di te, di me, sempre orizzonte,
      vita che ci svive e ci fa estranei
      che ci inventa un volto e lo sciupa,
      fame d'essere, oh morte, pane di tutti.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Lasciando alcuni amici di prima mattina

        D'oro una penna datemi, e lasciate
        che in limpidi e lontane regioni
        sopra mucchi di fiori io mi distenda;
        portatemi più bianca di una stella
        o di una mano d'angelo inneggiante
        quando fra corde argentee la vedi
        di arpe celesti, un'asse per scrittoio;
        e lasciate lì accanto correr molti
        carri color di perla, vesti rosa,
        e chiome a onda, e vasi di diamante,
        e ali intraviste, e sguardi penetranti.
        Lasciate intanto che la musica erri
        ai miei orecchi d'intorno; e come quella
        ogni cadenza deliziosa tocca,
        lasciate che io scriva un verso pieno
        di molte meraviglie delle sfere,
        splendido al suono: con che altezze in gara
        il mio spirito venne! Nè contento
        è di restare così presto solo.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Kinsey Keene

          Ascoltate, Thomas Rhodes, presidente della banca;
          Coolbaugh Whedon, direttore dell'"Argo";
          Reverendo Peet, pastore della prima chiesa;
          A. D. Blood, più volte sindaco di Spoon River;
          e finalmente voi tutti, membri dell'Associazione del Buon Costume —
          ascoltate le parole di Cambronne morituro,
          ritto con gli eroici superstiti
          della guardia di Napoleone a Mont Saint-Jean
          sul campo di battaglia di Waterloo,
          quando Maitland, l'inglese, gridò loro:
          "Arrendetevi, prodi Francesi! " —
          là sul finir del giorno, quando la battaglia fu irrimediabilmente perduta,
          e orde d'uomini che non eran più l'esercito
          del grande Napoleone
          si agitavano sul campo come brandelli laceri
          di nuvole tonanti nella tempesta.
          Ebbene, ciò che Cambronne disse a Maitland
          prima che il fuoco inglese spianasse il ciglio della collina
          contro la luce morente del giorno,
          io dico a voi, e a tutti voi,
          e a te, universo.
          E v'incarico di scolpirlo.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Sospiro

            L'anima verso la tua fronte, o calma sorella,
            dove sogna un autunno sparso di macchie di porpora
            e verso il cielo errabondo delle tue iridi
            angeliche, sale, come in un malinconico
            giardino, fedele un bianco zampillo sospira
            verso l'Azzurro!
            - Verso l'Azzurro raddolcito d'Ottobre
            pallido e puro che specchia il suo languore infinito
            ai grandi bacini e lascia, sull'acqua morta
            dov'erra col vento la fulva agonia delle foglie
            scavando un gelido solco, trascinarsi
            il sole giallo con obliquo raggio.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              Stasi nel buio. Poi
              l'insostanziale azzurro
              versarsi di vette e distanze.

              Leonessa di Dio,
              come in una ci evolviamo,
              perno di calcagni e ginocchi! - La ruga

              s'incide e si cancella, sorella
              al bruno arco
              del collo che non posso serrare,

              bacche
              occhiodimoro oscuri
              lanciano ami -

              Boccate di un nero dolce sangue,
              ombre.
              Qualcos'altro

              mi tira su nell'aria -
              cosce, capelli;
              dai miei calcagni si squama.

              Bianca
              godiva, mi spoglio -
              morte mani, morte stringenze.

              E adesso io
              spumeggio al grano, scintillio di mari.
              Il pianto del bambino

              nel muro si liquefà.
              E io
              sono la freccia,

              la rugiada che vola
              suicida, in una con la spinta
              dentro il rosso

              occhio cratere del mattino.
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