Scritta da: Carmine De Masi
in Poesie (Poesie personali)
Incanto
Il volto illumina la bellezza,
il viso è un sogno onirico
che si dissolve
tra silenziose note
di un ritratto splendido.
Composta martedì 9 maggio 2017
Il volto illumina la bellezza,
il viso è un sogno onirico
che si dissolve
tra silenziose note
di un ritratto splendido.
Disteso sul letto,
sguardo assente
immerso nel vuoto
Scrivo di getto,
stimolando la mia mente
a mettersi in moto
Intorno a me tutto scorre lento,
il tempo sembra non passare,
avverto la lancetta scoccare
Quel suono funge da accompagnamento
al triste canto del mio umore spento.
Ho percorso strade
perdendo il conto dei passi,
ho incontrato occhi
sfiorato labbra bramose di fuga.
Mi sono nutrito di menzogna
e l'ho cucita, su ogni singola membra.
Ho indossato una maschera su un volto di cera
annusato profumi di storie non mie.
Ho stillato lacrime che avrei potuto conservare
gelosamente, come prismi preziosi
per rivenderli al miglior offerente.
Ho assaggiato essenze di vita
e ho preso a pugni il dolore
nelle febbrili notti dell'anima.
Ho custodito sanguinanti ferite,
che ho ancora qui, sui palmi della vita.
Mentre assorta camminavo
la strada bagnata osservavo,
così t'ho notato e t'ho
salvato, o vermiciattolo*
(lombrico) che ti muovevi
perso in quel rigagnolo. Eri
uscito dal terreno e poi
d'un tratto ti sei trovato nel
sole pieno, perché nel
frattempo è arrivato il sereno.
Una vita da verme, nell'ombra
sol può stare perché alla luce
del sole può solo seccare. E
così che, alle spalle, ognun
si deve guardare.
Metti un piede davanti se l'altro ti regge
altrimenti finisce che cadi per terra.
È così che hai iniziato a contarti il percorso,
che sia dove sei stato o non sei mai arrivato,
quante volte alle vie da seguire hai pensato,
ammuchiandoti il dubbio per qualcosa perso.
Sai, c'è un mondo di cose che hai testimoniato.
Frasi scritte su muri che restano addosso,
sia coi significati che col calcestruzzo.
Scalinate infinite da perderci il fiato,
o a goderti di botto quel mondo che hai avanti,
spacca il resto ch'è storia di passi in sequenza.
Per cercare un parcheggio a manovra di lato.
Le finestre addensate a guardarti passare
come occhi che in vicoli ciechi hai lasciato.
Chè se un uomo di strada, poi al peggio è un barbone,
per le donne è normale esser solo puttane.
Nonostante insicuri disegni di crepe,
e segnali di rigide leggi a seguire,
perdurare d'ammasso d'asfalto, resiste.
Col passare del tempo il motivo non cambia:
se non vuoi ritrovarti a cadere per terra,
metti un piede davanti se l'altro ti regge.
I ricordi
impressi
nella mente
ritornano
e mai poi mai
svaniscono.
È duro
dimenticare
una felicità
che non c'è più.
No che non dormo,
se un uomo che soffre in un letto,
ha di comodo qualche respiro, annaspato.
se in un cartone gettato, un'anima aspetta ricordi di abbracci felici.
Se gli occhi di verde smeraldo son diventati rossi di asfalto macchiato.
La donna che nel fango mi ha segnato la via,
cerca appigli di sabbia ogni giorno, tra spire di risa e follia.
La carezza di un condannato, resterà la più pura per sempre nel petto.
Un pittore, il sudore dipinto sul viso, è sparito tra i passi nel sole.
Un saggio sembiante di padre è stato rubato dal tempo.
Ed un sogno di nero colore, insiste a restare nel cuore.
Buffone di corte che neanche ti presta attenzione.
Scrivi e canta canzoni.
Danza inventando battute rivolte a spazi e momenti di vuoto.
Fantastica storie che ai piatti del giusto bilanciano almeno il finale.
E mascherati,
colorati il volto pagliaccio.
Usa colori che almeno ricordino quanto di dentro fa parte, ancora,
del tuo trascinato sentire.
Un rosso sapore di ferro dolciastro,
testimone del sangue che vedi,
sugli occhi.
Un giallo sacrale d'effimero dorato,
che risalti il sudore,
e lo sputo sul volto.
Ed un nero contorno per ogni fattezza,
perché al buio nascondi
ogni volta
quell'essenza che grida perenne,
arrivando a creare il silenzio.
Io
che non mi osservo più allo specchio
per non scorgere i segni dell'età
e fare i conti col tempo che, inesorabile, sciama.
Io
che faccio a botte con la mia sensibilità
nel desiderio di tramutarla in acrimonia pura
per non soffrire ancora.
Io
che quando i miei occhi si colmano
di lacrime mi limito a fare spallucce
nell'autoconvinzione
che bruciano per la polvere.
Io
che ogni volta che inciampo
nelle trappole della vita
non mi spiego dove attingo
la forza per rialzarmi
e il coraggio per andare avanti.
Io
che nella mia incomprensibile incoscienza
continuo a sfidare la morte
dimenticandomi che in gioco c'è la vita
nella bramosia di una "normalità" solo apparente.
Io
che molte volte non riesco ad accogliere me stessa
e con la quale non ho ancora imparato
a convivere senza conflitti.
Io
che ho saputo trasformare
i miei sogni in mete conquistate
e le mie ambizioni in orizzonti luminosi.
Io
che mi perdo dentro mille pensieri confusi
dove il mio passato danza col mio presente
che, ineluttabile, si aggrappa al mio futuro.
Io, io e poi?
Io e il mio tramonto che può, ancora, essere un'aurora.
Quanto manchi
forse sai
mentre piango
mentre sorrido
forse lo vedi.
Quanto manchi
forse tu sai
mentre io vivo
non so se sai
quanto manchi.