Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)
Odi un poeta giovane,
Che il genio che l'ispira
Devoto siegue, e libero
Percote ardita lira,
E cò suoi canti vola
Al suo gentil Bertòla.
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Odi un poeta giovane,
Che il genio che l'ispira
Devoto siegue, e libero
Percote ardita lira,
E cò suoi canti vola
Al suo gentil Bertòla.
Padre, quand'io per la tua muta tomba
Che da sett'anni te per sempre asconde
Passo gemendo e il gemer si confonde
Al bronzo che di morte il suon rimbomba;
Trista memoria allor nel sen, mi piomba
E ti veggo del letto fra le sponde
Quel calice libar che in cor t'infonde
L'ultimo istante che a te intorno romba:
E veggo il scarso lacrimato pane
Che dal tuo dipartir a' tuoi Figlioli
E alla Vedova tua più non rimane.
E veggo.... ahi lasso! tutto veggo, e tutto
Che sei morto mi dice, e che a noi soli
Non altro avanza che miseria e lutto.
Perché, o mie luci, l'angoscioso pianto
Voi non cessate? Ed al suo cupo affanno
Non vi piace lasciar l'anima mesta?
Troppo voi siete a quella doglia inganno
Che m'è cara soffrir finché sia infranto
Lo stame a cui s'attien mia vita infesta,
Ben innanzi accadrà che si rivesta
Di verde e fiori il prato a mezzo verno
Pria che m'incresca di mie vive doglie,
E so il destin mi toglie
Chi era dè giorni miei pace e governo,
Almeno alle sue spoglie
Che omai sotterra son cenere frale
Si dica sospirando un caldo vale.
L'amico il Padre è morto: or qual mai speme
Fia che più resti alle mie brame afflitte
Se non che la pietà m'apra la fossa?
Profondamente nel mio sen stan scritte
Le sante dolci sue parole estreme
Onde sovente quest'anima è scossa.
Mi traggon elle a visitar quest'ossa
Sparger miei voti, e forse al sordo vento;
Ah! Che mai dissi? Dall'Eterea sede
Ove beato ei siede
Non odo il suon del mio triste lamento?
E del dolor non vede
L'alta ferita? Ah s'egli è ver cessate
Lugùbri voci, nè più duol gli date.
Troppo ci mi amava in terra, e troppo forse
Se doglia provan dè beati i spirti
Ei s'addolora alla mia intensa pena.
Dunque spargiam sulla sua tomba mirti
E so fosca per lui mia vita scorse
Per lui ritorni ancor queta e serena.
Ben troncherassi un dì questa catena
Grave al mio spirto e goderò di lui
Ove luce di Dio su ognun si spande.
Ivi fia che domande
Dè Frati miei, dè dolci Figli sui,
O lieto istante, o grande
Istante, a che ver me ratto non voli
Onde in braccio al mio Padre io mi consoli?
Perché m'adduci mai, folle desio,
A vaneggiar con tai speranze audaci?
Credi che al mio buon Padre io m'assomigli?
Ivi egli posa in grembo a liete faci
Perché con sua saviezza il nembo rio
Seppe fuggir e del mondo i perigli.
Fuggir forse sapranli i lassi Figli
Che nel mondo imboscati a mezza notte
Soli e confusi ad erme piagge ed erte
Volgon lor pianto incerte
Ahi troppo giovanili, e troppo indotte?
Ma se fia che si merte
Un giusto grazie, ah! Dal Signor dell'Etra
Consiglio e Grazie à tuoi pupilli impetra.
Luce chieggiam e chi l'accenda, o Padre,
Forse non v'è, forse non v'è chi porga
Acqua di chiaro fonte a nostra sete.
Se per te dunque un rio puro non sgorga,
So non diradi a noi quest'ombre sì adre,
Chi fia che ci rischiari, e ci dissete?
Egra già fora in grembo a tua quiete
Ella che a noi fu Madre, a te fu Sposa;
Se non che, lassa! Ancor viver si vuole
Per sua tenera prole,
Ma del suo lacrimar unqua riposa;
Anzi meco si duole
Dicendo, o Figlio, a te chiedo conforto
Poiché il mio Sposo il mio buon Sposo è morto.
E qual da me conforto? E quale io posso,
Padre, se il terzo lustro appena io varco,
Prestar sollievo a sua doglia cotanta?
Ahi che mal se di quel soave incarco
Gravar per anco il mio debile dosso
Che il tuo gravò per quasi anni quaranta.
Sol suonan pianto e muto orrore ammanta
Què dolci lochi ov'io ti vidi un giorno
Porger à tuoi Figliuoli e baci e pane,
E in fogge care e strane
Saltellar essi a tue ginocchia intorno.
Ed or, ahi! Che rimane
Altro che aver in grembo gli orfanelli
E alle lor grida lacrimar con elli?
O cupa notte! O tenebroso istante!
O tetra bara, o feretro funebre
Ove il padre vid'io la volta estrema!
Dal duolo avvolti e da vostre tenebre
Venite agli infelici ora d'innante
Onde ognun sopra voi sospiri e gema.
Qui mia suora innocente e guarda e trema
L'istupidita genitrice nostra
Che fitti ha gli occhi al suol nè fiato manda;
Qui il fanciul che addomanda
"Che fu? Che avvenne? " - e mesto indi si prostra.
E al padre raccomanda
Quinci il ritorno; e un altro che col dito
Tergesi i lumi, e fa al suo pianto invito.
E a squallor tanto in mezzo io con la fronte
Dalle man sostenuta, i miei sospiri
Traggo più ardenti, e li rattengo invano.
Par che d'intorno a me l'ombra s'aggiri
E dello smorte luci il caldo fonte
Egli m'asciughi in atto dolce umano:
Rammento allora qual diemmi la mano
Qual me la strinse e qual mi benedisse
Coi sguardi ove mancavangli gli accenti!
Qual " miei Figli innocenti".
Disse, " ti raccomando " e più non disse,
Qual di Angeli fulgenti
Sull'ale io vidi sgombra del suo volo
L'alma rapita a innamorare il Cielo.
Canzon, tu oscura, dolorosa, e sola
Ove altri orfani stanno in pianto e in duolo
Drizza gemendo il volo
Et una amante vedova consola;
E siegui un Figlio che alla mesta notte
E alla tacita luna
Fra lacrime dirotte
Narra le tempre di sua rea Fortuna:
Ivi per l'aria bruna
T'innoltra, e digli in suon d'aura notturna:
Solo non piangi del tuo Padre all'urna.
Vigile è il cor sul mio sdegnoso aspetto,
E qual tu il pingi, Artefice elegante,
Dal dì ch'io vidi nel mio patrio tetto
Libertà con incerte orme vagante.
Armi vaneggio, e il docile intelletto
Contesi alle febee Vergini sante;
Armi, armi grido; e Libertade affretto
Più ognor deluso e pertinace amante.
Voce inerme che può? Marte raccende,
Vedilo, all'opre e a sacra ira le genti:
Siede Italia, e al flagel l'omero tende.
Pur, se nell'onta della Patria assorte
Fien mie speranze, e i dì taciti e spenti,
Per te il mio volto almen vince la morte.
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Vigile è il cor sul mio sdegnoso aspetto,
E qual tu il pingi, Artefice elegante,
Dal dì ch'io vidi nel mio patrio tetto
Libertà con incerte orme vagante.
Armi vaneggio, e il docile intelletto
Contesi alle febee Vergini sante;
Armi, armi grido; e Libertade affretto
Più ognor deluso e pertinace amante.
Voce inerme che può? Marte raccende,
Vedilo, all'opre e a sacra ira le genti:
Siede Italia, e al flagel l'omero tende.
Pur, se nell'onta della Patria assorte
Fien mie speranze, e i dì taciti e spenti,
Per te il mio volto almen vince la morte.
Forse perché della fatal quïete
tu sei l'immago, a me sì cara vieni
o sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zèffiri sereni,
5 e quando dal nevoso aere inquïete
tenebre e lunghe all'universo meni,
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
10 che vanno al nulla eterno, e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme
delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.
[dai Sonetti]
Amici, mi sento
un tino bollente
di mosto dopo
felice vendemmia:
in attesa del travaso.
Già potata è la vite
per nuova primavera.
Tu e lui,
null'altro.
Lui
il Tu senza risposte.
La sentenza che ora tu sai
nulla di nuovo aggiunge a quanto
già doveva esserti noto da sempre:
tutto è scritto. Di nuovo
è appena un fatto di calendario.
Eppure è l'evento che tutto muta
e di altra natura
si fanno le cose e i giorni.
Subito senti il tempo franarti
tra le mani: l'ultimo
tempo, quando
non vedrai più questi colori
e il sole, né con gli amici
ti troverai a sera…
Dunque, per quanto ancora?
Morte necessaria come la vita,
morte come interstizio
tra le vocali e le consonanti del Verbo,
morte, impulso a sempre nuove forme.
Non so come, non so dove, ma tutto
perdurerà: di vita in vita
e ancora da morte a vita
come onde sulle balze
di un fiume senza fine.