Pomo ch'io colsi, e Cloe, Da un arbuscel gentile, Che a quei dei verde aprile Non può invidiare i fior, Pomo ch'effigia e mostra Del volto tuo la rosa, Ti dona, o Cloe vezzosa, Con la mia mano il cor. Mel chiese or or con Clori La bruna Nice e Irene; Ma il pomo sol conviene, Mia bionda amica, a te. Così fra Tirai e Dafni Da te ottenessi io fede... Ma tu ti sdegni; ahi chiede Un cuor quel che ti diè.
Cogliete, o pastorelli, Cogliete vaghi fiori, Chè deggio per gli albori A Fille un serto far. Farlo vorrei sol io, Ma nol permetto l'ora, Chè in Cielo già l'Aurora Comincia rosseggiar. E le dirò che il serto Tessuto è di mia mano. Ma che? Così profano Il labbro mio sarà? Mai menzogner non fui, E s'anche il fossi, ah! Fille Fra mille fiori e mille i miei distinguerà.
Febbre le vene accende, O Cloe, del tuo poeta, E tu frattanto lieta Passi cantando i dì. Serbi così l'affetto Che tu giurasti a lui, I fidi merti sui Compensi, o Cloe, così? Misero giovanetto, Che ad un'ingrata credi, Cessa d'amar; non vedi Ch'ella t'inganna ognor? Cruda!... Ma dir vorresti: Nol seppi, il giuro ai Dei: Taci, spergiura sei, Chè te lo disse Amor.
Io non invidio ai vati Le lodi e i sacri allori, Nè curo i pregi e gli ori D'un duce o d'un sovran. Saran miei dì beati Se avrò il mio crine cinto Di serto vario-pinto Tessuto di tua man. Saran miei dì beati Se in mezzo a bosco ombroso Il volto tuo vezzoso Godrommi a contemplar. Che bel vederci allora Mille cambiar sembianti, E direi: O cori amanti, Cessate il palpitar!
Scrivo che tu sei bella, Scrivo che tutto è accolto Sul grazïoso volto De' vezzi il roseo stuol. Scrivo che i tuoi dolci occhi Vibran soave foco, Scrivo.... Ma questo è poco Per sì gentil beltà. Chi mai potria le grazie Spiegar di quei colori, Ove si stan gli Amori Come sul loro altar? Dir altro io mai non seppi So non che tanto sei Vezzosa agli occhi miei Ch'altra non sanno amar.
Quello a me sembra pari a un dio, quello, se è lecito dirlo, superiore agli dèi, che, seduto di fronte a te a te, senza interruzione ti guarda e t'ascolta mentre sorridi dolcemente,e ciò sottrae a me infelice ogni sensazione: perché non appena, Lesbia, ti guardo, non mi restano più parole; ma la lingua s'intorpidisce, una fiamma sottile s'insinua nelle mie membra, di un suono interno mi ronzano le orecchie, una duplice notte sui miei occhi si stende. L'ozio, Catullo, è per te dannoso: per l'ozio ti esalti e sei troppo eccitato; l'ozio ha mandato in rovina un tempo re e città fiorenti.
L'anima verso la tua fronte, o calma sorella, dove sogna un autunno sparso di macchie di porpora e verso il cielo errabondo delle tue iridi angeliche, sale, come in un malinconico giardino, fedele un bianco zampillo sospira verso l'Azzurro! - Verso l'Azzurro raddolcito d'Ottobre pallido e puro che specchia il suo languore infinito ai grandi bacini e lascia, sull'acqua morta dov'erra col vento la fulva agonia delle foglie scavando un gelido solco, trascinarsi il sole giallo con obliquo raggio.
Dalle valanghe d'oro del vecchio azzurro, il giorno Primevo e dalla neve immortale degli astri, Un tempo i grandi calici tu ritagliasti intorno, Per la terra ancor giovane, vergine di disastri,
Il gladiolo selvaggio, cigni dal collo fino, E quel divino lauro dell'anime esiliate Vermiglio come l'alluce puro del serafino Che colora un pudore d'aurore calpestate,
Il giacinto ed il mirto, adorato bagliore, E, - simile alla carne della donna, la rosa Crudele, del giardino chiaro Erodiade in fiore, Quella che uno splendente feroce sangue irrora!
Tu facesti il candore dei gigli singhiozzanti Che mari di sospiri sorvola dolcemente E per l'azzurro incenso dei pallidi orizzonti In sogno lento sale alla luna piangente!
Osanna sopra il sistro e dentro l'incensiere, Nostra Signora, osanna da questi nostri limbi! E si disperda l'eco nelle celesti sere, Estasi degli sguardi, scintillio dei nimbi!
O Madre, che creasti nel seno giusto e forte, Calici in sé cullanti una futura essenza, Grandi corolle con la balsamica Morte Per lo stanco poeta roso dall'esistenza.
Principessa! A invidiare d'un'Ebe la ventura Che ai labbri e al vostro bacio spunta sulla tazzina, Consumo gli occhi, ma la discreta figura Mia d'abate neppure starebbe sul piattino.
Poi ch'io non sono il tuo cagnolino barbuto, Né il dolce, né il rossetto, né giuochi birichini, E su di me il tuo sguardo chiuso io so caduto, Bionda cui acconciarono orefici divini!
Sceglieteci... tu cui le risa di lampone Si congiungono in gregge come agnellette buone Brucando in tutti i voti, belando paradisi;
Affinché Amore alato d'un ventaglio sottile Mi vi pinga col flauto mentre addormo l'ovile, Principessa, sceglieteci pastor dei tuoi sorrisi.