Coronato d'alloro, o naviganti, Adorando, e libateli dall'alta Poppa in onor della palmosa Delo, Ospizio di Latona, isola cara Al divino Timbrèo, cara alla madre Delle Nereidi, e al forte Enosigèo. Non ferverà per voi l'ira del flutto Dalle Cicladi chiuso ardue di sassi, Nè dentro al nembo suo terrà la notte L'aure seconde, e l'orïente guida Delle spiate nubi. Udrà le preci Febo; dai gioghi altissimi di Cinto Lieti d'ulivi e di vocali lauri, Al vostro corso le cerulee vie Spianerà tutte, e agevoli alle antenne Devote manderà gli Eolii venti. Però che l'occhio del figliuol di Giove, Lieto fa ciò che mira: Apollo salva Chi Delo onora. O stanza dell'errante Latona! Invan la Dea liti e montagne Dolorando cercò: fuggìanla i fiumi E contendeano a correre col vento. Ove più poserai dal grave fianco Lo peso tuo? Nè avrà culle e lavacri Dell'Olimpio la prole, o dolorosa? Ma la nuotante per l'Icario fonte Isola, à venti e all'acque obbedïente, Lei ricettò, sebben in ciel si stesse La minaccia di Giuno alla vedetta. Amor di Febo e dè Celesti è Delo. Immota, veneranda ed immortale, Ricca fra tutte quante isole siede E le sorelle a lei fanno corona. I doni di Lieo nell'auree tazze D'alloro inghirlandate o naviganti Adorando; e libateli dall'alta Poppa in onor della palmosa Delo.
Tale cantando Alceo strinse di grato Ozio i Tritoni, e i condottieri infidi Della nave che gìa pel grande Egeo Italia e le Tirrene acque cercando Onde posar nella toscana terra Le Muse che fuggìen l'arabo insulto E le spade e la fiamma ed il tripudio Dè nuovi numi, e del novello impero; Come piacque all'eterna onnipotenza Di quella calva che non posa mai Di vendicar sul capo dè Comneni Le vittorie di Roma, ed i tributi D'Asia, e di Costantin gli Dei mutati.
Salìa dell'Athos nella somma vetta Il duca, e quindi il flutto ampio guardava E l'isole guardava e il continente Però che si chinava all'orizzonte Diana liberal di tutta luce. Gli suonavano intorno il brando e l'arme Sfolgoranti fra l'ombre, e giù dall'elmo Gli percuoteva in fulva onda le spalle La giuba dè corsier presi in battaglia; Negro cimiero ondeggiavagli, e il negro Paludamento si portavan l'aure.
Quindi cercando Bradamante gìa l'amante suo, ch'avea nome dal padre, così sicura senza compagnia, come avesse in sua guardia mille squadre: e fatto ch'ebbe al re di Circassia battere il volto dell'antiqua madre, traversò un bosco, e dopo il bosco un monte, tanto che giunse ad una bella fonte.
Or a poppa, or all'orza hann'il crudele, che mai non cessa, e vien più ognor crescendo: essi di qua di là con umil vele vansi aggirando, e l'alto mar scorrendo. Ma perché varie fila a varie tele uopo mi son, che tutte ordire intendo, lascio Rinaldo e l'agitata prua, e torno a dir di Bradamante sua.
Calano tosto i marinari accorti le maggior vele, e pensano dar volta, e ritornar ne li medesmi porti donde in mal punto avean la nave sciolta. - Non convien (dice il Vento) ch'io comporti tanta licenza che v'avete tolta; - e soffia e grida e naufragio minaccia, s'altrove van, che dove egli li caccia.
Contra la voluntà d'ogni nocchiero, pel gran desir che di tornare avea, entrò nel mar ch'era turbato e fiero, e gran procella minacciar parea. Il Vento si sdegnò, che da l'altiero sprezzar si vide; e con tempesta rea sollevò il mar intorno, e con tal rabbia, che gli mandò a bagnar sino alla gabbia.
Prendimi fra le braccia, notte eterna, e chiamami tuo figlio. Io sono un re che volontariamente ha abbandonato il proprio trono di sogni e di stanchezze.
La spada mia, pesante in braccia stanche, l'ho confidata a mani più virili e calme; lo scettro e la corona li ho lasciati nell'anticamera, rotti in mille pezzi.
La mia cotta di ferro, così inutile, e gli speroni, dal futile tinnire, li ho abbandonati sul gelido scalone.
La regalità ho smesso, anima e corpo, per ritornare a notte antica e calma, come il paesaggio, quando il giorno muore.
È l'amore che è essenziale. Il sesso è solo un accidente. Può essere uguale o differente. L'uomo non è un animale è una carne intelligente, anche se a volte malata.