Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)
O di mille tiranni, a cui rapina
Riga il soglio di sangue, imbelle terra!
'Ve mentre civil fama ulula ed erra,
Siede negra Politica reina;

     Dimmi: che mai ti val se a te vicina
Compra e vil pace dorme, e se ignea guerra
A te non mai le molli trecce afferra
Onde crollarti in nobile ruina?

     Già striscia il popol tuo scarno e fremente,
E strappa bestemmiando ad altri i panni,
Mentre gli strappa i suoi man più potente.

     Ma verrà il giorno, e gallico lo affretta
Sublime esempio, ch'ei de' suoi tiranni
Farà col loro scettro alta vendetta.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Le rimembranze

    E questa è l'ora! mormorar io sento
    Co' miei sospiri in suon pietoso e basso
    Tra fronda e fronda il solitario vento.
         E scorgo il caro nome; e veggo il sasso
    Ove Laura s'assise, e scorro i prati
    Ch'ella meco trascorse a passo a passo.
         Quest'è la pianta che le diè i beati
    Fior ch'ella colse, e con le molli dita
    Vaga si fe, ghirlanda ai crini aurati.
         E questo è il conscio speco, e la romita
    Sponda cui mesto lambe un fonte e plora,
    E i ben perduti a piangere m'invita
         Qui de’ più gai colori ornossi Flora,
    Qui danzaro le Grazie, e qui ridente
    A mirar la mia donna uscì l'Aurora. 15
         E qui la Luna cheta e risplendente
    Guatocci, e rise; e irradïò quel ramo
    Ove ha nido usignol dolce-gemente;
         E scosso l'augellin, mentre ch'io: " T'Amo "
    A Laura replicava, uscir s'udia
    Ne' suoi dolci gorgheggi: " Io t'amo io t'amo ".
         O sacra rimembranza, o della mia
    Prima felicità tenera immago,
    Cui Laura forse a consolarmi invia;
         Vieni: tu vedi solitario e vago
    Il giovin vate, che piangendo porta
    Ahi! d'affanni più gravi il cor presago.
         Già s'avanza la Sera, e la ritorta
    Conca tien alla destra, e di rugiade
    Le languid'erbe, e i fiori arsi conforta.
         E il Sol che all'Oeeàn fiammeo ricade,
    Vario-tinge le nubi, e lascia il mondo
    All'atra Notte che muta lo invade.
         E tutto è mesto: e dal cimmerio fondo
    S'alzan con l'Ore negre e taciturne
    Oscuritate e Silenzio profondo.
         Era l'istante che su squallide urne
    Scapigliata la misera Eloisa
    Invocava le afflitte ombre notturne;
         E su1 libro del duolo u' stava incisa
    ETERNITADE E MORTE, a lamentarsi
    Veniasi Young sul corpo di Narcisa:
         Ch'io smarrito in sembiante, e aperti ed arsi
    I labbri, e incerto i detti, e gli occhi in pianto,
    Coi crin sul fronte impallidito sparsi,
         Addio diceva a Laura, e Laura intanto
    Fise in me avea le luci, ed agli addio
    Ed ai singulti rispondea col pianto
         E mi stringea la man: - tutto fuggìo
    Della notte l'orrore, e radïante
    Io vidi in cielo a contemplarci Iddio,
         E petto unito a petto palpitante,
    E sospiro a sospir, e riso a riso,
    La bocca le baciai tutto tremante.
         E quanto io vidi allor sembrommi un riso
    Dell'universo, e le candide porte
    Disserrarsi vid'io del Paradiso....
         Deh! a che non venne, e l'invocai, la morte?
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Al sole

      Scritto e pubblicato nel 1797.

           Alfin tu splendi, o Sole, o del creato
      Anima e vita, immagine sublime
      Di Dio, che sparse la tua faccia immensa
      Di sua luce infinita! Ore e Stagioni,
      Tinte a vari color danzano belle
      Per l'aureo lume tuo misuratore
      De' secoli, e de' secoli scorrenti,
      Alfin tu splendi! tempestoso e freddo
      Copria nembo la terra; a gran volute
      Gravide nubi accavallate il cielo
      Empian di negre liete, e brontolando
      Per l'ampiezza dell'aere tremendi
      Rotolavano i tuoni, e lampi lampi
      Rompeano il bujo orribile. - Tacea
      Spaventata natura; il ruscelletto
      Timido e lamentevole fra l'erbe
      Volgeva il corso, nè stormian le frondi
      Per la foresta, nè dall'atre tane
      Sporgean le belve l'atterrita fronte. -
      Ulularono i venti, e ruinando
      Fra grandini, fra folgori, fra piove
      La bufera lanciosse, e riottoso
      Diffuse il fiume le gonfie e spumose
      Onde per le campagne, e svelti i tronchi
      Striderono volando, e da’ scommossi
      Ciglion dell'ondeggianti audaci rupi
      Piombàr torrenti, che spiccati massi
      Coll'acque strascinarono. Dal fondo
      D'una caverna i fremiti e la guerra
      Degli elementi udii; Morte su l'antro
      Mi s'affacciò gigante; ed io la vidi
      Ritta: crollò la testa e di natura
      L'esterminio additommi. - In ciel spiegasti,
      O Sol, tua fronte, e la procella orrenda
      Ti vide e si nascose, e i paurosi
      Irti fantasmi sparvero.... ma quanti
      Segni di lutto su i vedovi campi,
      Oimè, il nembo lasciò! Spogli di frutta,
      Aridi, e mesti sono i pria sì vaghi
      Alberi gravi, e le acerbette e colme
      Promettitrici di liquor giocondo
      Uve giacciono al suol; passa 1'armento
      E le calpesta; e istupidito e muto
      L'agricoltore le contempla e geme.

           Intanto scompigliata, irta e piangente
      Te, o Sol, ripriega la Natura, e il tuo
      Di pianto asciugator raggio saluta;
      E tu la accendi, e si rallegra e nuovi
      Prometto frutti e fior. Tutto si cangia,
      Tutto père quaggiù! Ma tu giammai,
      Eterna lampa, non ti cangi? mai?
      Pur verrà dì che nell'antiquo vòto
      Cadrai del nulla, allor che Dio suo sguardo
      Ritirerà da te: non più le nubi
      Corteggeranno a sera, i tuoi cadenti
      Raggi su l'Oceàno; e non più l'Alba
      Cinta di un raggio tuo, verrà su l'Orto
      Ad annunziar che sorgi. Intanto godi
      Di tua carriera: oimè! ch'io sol non godo
      De' miei giovani giorni: io sol rimiro
      Gloria e piacere, ma lugubri e muti
      Sono per me, che dolorosa ho l'alma.
      Sul mattin della vita io non mirai
      Pur anco il Sole; e omai son giunto a sera
      Affaticato; e sol la notte aspetto
      Che mi copra di tenebre e di morte
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)
        Quando la terra è d'ombre ricoverta,
        E soffia 'l vento, e in su le arene estreme
        L'onda va e vien che mormorando geme,
        E appar la luna tra le nubi incerta;

             Torno dove la spiaggia è più deserta
        Solingo a ragionar con la mia speme,
        E del mio cor che sanguinando geme
        Ad or ad or palpo la piaga aperta.

             Lasso! me stesso in me più non discerno,
        E languono i miei dì come viola
        Nascente ch'abbia tempestata il verno;

             Chè va lungi da me colei che sola
        Far potea sul mio labbro il riso eterno:
        Luce degli occhi miei, chi mi t'invola
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          In morte di Amaritte

          ELEGIA
           Qui sorge un'urna, e qui in funereo manto
          Erran le Grazie, e qui echeggiar s'ascolta
          Flebili versi, fioche voci, e pianto.
               E di cipressi sotto oscura volta
          Cupa Malinconia muta s'aggira
          Coi crin su gli occhi, e nel suo duol raccolta.
               Qui gemebondo a lagrimar si mira
          Vate canuto su la sorda pietra,
          E ora ammuta, ora geme, ed or sospira:
               Giace da un lato al suol mesta la cetra,
          Che con le dolci fila tremolando
          Manda intorno armonia confusa e tetra;
               E i primi affanni suoi più rammentando
          Al tetro suon Filomela risponde
          Suoi lai soavemente modulando.
               Al duol che il Vate misero diffonde
          Tutto sospira, tutto s'accompagna
          Tutto a piangere seco si confonde.
               Trista è così de' morti la campagna
          Allor che Young fra l'ombre de la notte
          Sul fato di Narcisa egro si lagna.
               E al suon di sue querele alte interrotte
          Silenzio, Oscurità s'alzan turbati
          Dal ferreo sonno di lor ampie grotte.
               Qui pur regna tristezza! E al colle, ai prati
          Agli alberi, alle fonti, ed agli augei
          Narra il buon Veglio d'Amaritte i fati.
               Anch'io, dolce Poeta, anch'io perdei
          Tenera, amica, onde confondo or mesto
          A' tuoi dirotti pianti i pianti miei.
               Erano gli occhi suoi caro e modesto
          Raggio di Luna, era il parlar gentile
          Giojoso cardellino appena desto.
               Ah! la Ninfa più amabile d'aprile
          Che inghirlanda di rose i crini a Flora
          Tanto non era a sua beltà simìle.
               Ma come il Sol de la vezzosa Aurora
          Le chiome arde e le vesti, e co' suoi dardi
          Spegne i fioretti, e di Favonio l'òra;
               Così Morte accigliata i dolci sguardi
          Della tenera amica d'improvviso
          Chiuse, ché i voti miei furono tardi.
               Pallido e smorto io vidi il vago viso,
          Udii gli estremi accenti, e l'fiato estremo
          Esalare fra un languido sorriso.
               È un anno intanto che coi pianti io spremo
          Dell'affannato cor l'immensa doglia,
          Che sol trovo conforto allor ch'io gemo.
               Cinta di bianca radïante spoglia
          Scende talora la pietosa amante
          A consolarmi da l'empirea soglia.
               E poco fa Ella apparve a me dinnante
          A mano d'Amaritte, a cui conforme
          Fu l'età, fu il costume, e fu l'sembiante.
               A le fiorite placide lor orme
          Io le conobbi, ed al sereno riso,
          E le conobbi a le beato forme,
               Sparpagliavano gigli, e dolce, e fiso
          Aveano in me quel raggio, che d'intorno
          Il piacer diffondea del Paradiso.
               Poscia su rosea nube a lor soggiorno
          Corteggiato dai Spiriti innocenti
          Balenando beltà facean ritorno.
               Ma tu, dolce Poeta, a' tuoi lamenti
          Pon modo alfine, e fa' che un lieto canto
          S'unisca ai loro angelici concenti.
               Or che siedi su l'urna, e un serto intanto
          Di cipresso lor tessi, Elle dal Cielo
          Ti guardan coronato d'amaranto.
               Oh! se avvolta talora in niveo volo
          La gentil Coppia a raddolcir discendo
          La piaga che a te fe' di morte il telo;
               Deh! tu ravvisa alle Virginee bende
          Al crin biondo alle cerule pupille
          La mia Angioletta, e sospirando dille:
               Odi che il tuo Fedel piange e t'attende.
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