Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)
E depor le corone in Campidoglio,
E i re in trionfo tributari e schiavi
Roma già vide, e rovesciati i troni:
Re-sacerdoti or con mentite chiavi
Di oro ingordi e di sangue, altri Neroni,
Grandeggiar mira in usurpato soglio:
Siede a destra l'Orgoglio
Cinto di stola, e ferri e nappi accoglie
Sotto le ricche spoglie,.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)
    Di mille e mille che vittoria, o morte
    Da l'italiche porte
    Giuran brandendo la terribil asta;
    E guerrier veggo di fiorente alloro
    Cinto le bionde chiome
    Su cui purpuree tremolando vanno
    Candide azzurre piume; egli al tuo nome
    Suo brando snuda e abbatte, arde, devasta;
    Senno dè suoi corsier governa il morso,
    Ardir li 'ncalza, e dè marziali il coro
    Genj lo irraggia, e dietro lui si stanno
    In aer librate con perpetuo corso
    Sorte, Vittoria, e Fama.
    Or che fia dunque, o diva?
    Onde tal'ira? E qual fato te chiama
    A trar tant'armi da straniera riva
    Su questa un dì reina, or nuda e schiava
    Italia, ahi! Solo al vituperio viva,
    Al vituperio che piangendo lava!
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)
      Ombre dè Bruti, ai secoli mostrando
      Alteramente il brando
      Del padre tinto e dei figliuol nel sangue;
      Te, o Libertà, se per le gelid'onde
      Del Danubio e del Reno
      Gisti fra genti indomite guerriere;
      Te se raccolse nel sanguineo seno
      Brittannia, e t'ascondea mortifer angue;
      Te se al furor di mercenarie spade
      De l'Oceàno da le ignote sponde
      T'invitàr meste, e del tuo nome altero
      Le americane libere contrade;
      O le batave fonti,
      O ti furo ricetto.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)
        O di mille tiranni, a cui rapina
        Riga il soglio di sangue, imbelle terra!
        'Ve mentre civil fama ulula ed erra,
        Siede negra Politica reina;

             Dimmi: che mai ti val se a te vicina
        Compra e vil pace dorme, e se ignea guerra
        A te non mai le molli trecce afferra
        Onde crollarti in nobile ruina?

             Già striscia il popol tuo scarno e fremente,
        E strappa bestemmiando ad altri i panni,
        Mentre gli strappa i suoi man più potente.

             Ma verrà il giorno, e gallico lo affretta
        Sublime esempio, ch'ei de' suoi tiranni
        Farà col loro scettro alta vendetta.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Le rimembranze

          E questa è l'ora! mormorar io sento
          Co' miei sospiri in suon pietoso e basso
          Tra fronda e fronda il solitario vento.
               E scorgo il caro nome; e veggo il sasso
          Ove Laura s'assise, e scorro i prati
          Ch'ella meco trascorse a passo a passo.
               Quest'è la pianta che le diè i beati
          Fior ch'ella colse, e con le molli dita
          Vaga si fe, ghirlanda ai crini aurati.
               E questo è il conscio speco, e la romita
          Sponda cui mesto lambe un fonte e plora,
          E i ben perduti a piangere m'invita
               Qui de’ più gai colori ornossi Flora,
          Qui danzaro le Grazie, e qui ridente
          A mirar la mia donna uscì l'Aurora. 15
               E qui la Luna cheta e risplendente
          Guatocci, e rise; e irradïò quel ramo
          Ove ha nido usignol dolce-gemente;
               E scosso l'augellin, mentre ch'io: " T'Amo "
          A Laura replicava, uscir s'udia
          Ne' suoi dolci gorgheggi: " Io t'amo io t'amo ".
               O sacra rimembranza, o della mia
          Prima felicità tenera immago,
          Cui Laura forse a consolarmi invia;
               Vieni: tu vedi solitario e vago
          Il giovin vate, che piangendo porta
          Ahi! d'affanni più gravi il cor presago.
               Già s'avanza la Sera, e la ritorta
          Conca tien alla destra, e di rugiade
          Le languid'erbe, e i fiori arsi conforta.
               E il Sol che all'Oeeàn fiammeo ricade,
          Vario-tinge le nubi, e lascia il mondo
          All'atra Notte che muta lo invade.
               E tutto è mesto: e dal cimmerio fondo
          S'alzan con l'Ore negre e taciturne
          Oscuritate e Silenzio profondo.
               Era l'istante che su squallide urne
          Scapigliata la misera Eloisa
          Invocava le afflitte ombre notturne;
               E su1 libro del duolo u' stava incisa
          ETERNITADE E MORTE, a lamentarsi
          Veniasi Young sul corpo di Narcisa:
               Ch'io smarrito in sembiante, e aperti ed arsi
          I labbri, e incerto i detti, e gli occhi in pianto,
          Coi crin sul fronte impallidito sparsi,
               Addio diceva a Laura, e Laura intanto
          Fise in me avea le luci, ed agli addio
          Ed ai singulti rispondea col pianto
               E mi stringea la man: - tutto fuggìo
          Della notte l'orrore, e radïante
          Io vidi in cielo a contemplarci Iddio,
               E petto unito a petto palpitante,
          E sospiro a sospir, e riso a riso,
          La bocca le baciai tutto tremante.
               E quanto io vidi allor sembrommi un riso
          Dell'universo, e le candide porte
          Disserrarsi vid'io del Paradiso....
               Deh! a che non venne, e l'invocai, la morte?
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Al sole

            Scritto e pubblicato nel 1797.

                 Alfin tu splendi, o Sole, o del creato
            Anima e vita, immagine sublime
            Di Dio, che sparse la tua faccia immensa
            Di sua luce infinita! Ore e Stagioni,
            Tinte a vari color danzano belle
            Per l'aureo lume tuo misuratore
            De' secoli, e de' secoli scorrenti,
            Alfin tu splendi! tempestoso e freddo
            Copria nembo la terra; a gran volute
            Gravide nubi accavallate il cielo
            Empian di negre liete, e brontolando
            Per l'ampiezza dell'aere tremendi
            Rotolavano i tuoni, e lampi lampi
            Rompeano il bujo orribile. - Tacea
            Spaventata natura; il ruscelletto
            Timido e lamentevole fra l'erbe
            Volgeva il corso, nè stormian le frondi
            Per la foresta, nè dall'atre tane
            Sporgean le belve l'atterrita fronte. -
            Ulularono i venti, e ruinando
            Fra grandini, fra folgori, fra piove
            La bufera lanciosse, e riottoso
            Diffuse il fiume le gonfie e spumose
            Onde per le campagne, e svelti i tronchi
            Striderono volando, e da’ scommossi
            Ciglion dell'ondeggianti audaci rupi
            Piombàr torrenti, che spiccati massi
            Coll'acque strascinarono. Dal fondo
            D'una caverna i fremiti e la guerra
            Degli elementi udii; Morte su l'antro
            Mi s'affacciò gigante; ed io la vidi
            Ritta: crollò la testa e di natura
            L'esterminio additommi. - In ciel spiegasti,
            O Sol, tua fronte, e la procella orrenda
            Ti vide e si nascose, e i paurosi
            Irti fantasmi sparvero.... ma quanti
            Segni di lutto su i vedovi campi,
            Oimè, il nembo lasciò! Spogli di frutta,
            Aridi, e mesti sono i pria sì vaghi
            Alberi gravi, e le acerbette e colme
            Promettitrici di liquor giocondo
            Uve giacciono al suol; passa 1'armento
            E le calpesta; e istupidito e muto
            L'agricoltore le contempla e geme.

                 Intanto scompigliata, irta e piangente
            Te, o Sol, ripriega la Natura, e il tuo
            Di pianto asciugator raggio saluta;
            E tu la accendi, e si rallegra e nuovi
            Prometto frutti e fior. Tutto si cangia,
            Tutto père quaggiù! Ma tu giammai,
            Eterna lampa, non ti cangi? mai?
            Pur verrà dì che nell'antiquo vòto
            Cadrai del nulla, allor che Dio suo sguardo
            Ritirerà da te: non più le nubi
            Corteggeranno a sera, i tuoi cadenti
            Raggi su l'Oceàno; e non più l'Alba
            Cinta di un raggio tuo, verrà su l'Orto
            Ad annunziar che sorgi. Intanto godi
            Di tua carriera: oimè! ch'io sol non godo
            De' miei giovani giorni: io sol rimiro
            Gloria e piacere, ma lugubri e muti
            Sono per me, che dolorosa ho l'alma.
            Sul mattin della vita io non mirai
            Pur anco il Sole; e omai son giunto a sera
            Affaticato; e sol la notte aspetto
            Che mi copra di tenebre e di morte
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)
              Quando la terra è d'ombre ricoverta,
              E soffia 'l vento, e in su le arene estreme
              L'onda va e vien che mormorando geme,
              E appar la luna tra le nubi incerta;

                   Torno dove la spiaggia è più deserta
              Solingo a ragionar con la mia speme,
              E del mio cor che sanguinando geme
              Ad or ad or palpo la piaga aperta.

                   Lasso! me stesso in me più non discerno,
              E languono i miei dì come viola
              Nascente ch'abbia tempestata il verno;

                   Chè va lungi da me colei che sola
              Far potea sul mio labbro il riso eterno:
              Luce degli occhi miei, chi mi t'invola
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