Contra la voluntà d'ogni nocchiero, pel gran desir che di tornare avea, entrò nel mar ch'era turbato e fiero, e gran procella minacciar parea. Il Vento si sdegnò, che da l'altiero sprezzar si vide; e con tempesta rea sollevò il mar intorno, e con tal rabbia, che gli mandò a bagnar sino alla gabbia.
Prendimi fra le braccia, notte eterna, e chiamami tuo figlio. Io sono un re che volontariamente ha abbandonato il proprio trono di sogni e di stanchezze.
La spada mia, pesante in braccia stanche, l'ho confidata a mani più virili e calme; lo scettro e la corona li ho lasciati nell'anticamera, rotti in mille pezzi.
La mia cotta di ferro, così inutile, e gli speroni, dal futile tinnire, li ho abbandonati sul gelido scalone.
La regalità ho smesso, anima e corpo, per ritornare a notte antica e calma, come il paesaggio, quando il giorno muore.
È l'amore che è essenziale. Il sesso è solo un accidente. Può essere uguale o differente. L'uomo non è un animale è una carne intelligente, anche se a volte malata.
La musica prima di tutto e dunque scegli il metro dispari più vago e più lieve, niente in lui di maestoso e greve.
Occorre inoltre che tu scelga le parole con qualche imprecisione: nulla di più amato del canto ambiguo dove all'esatto si unisce l'incerto.
Son gli occhi belli dietro alle velette, l'immenso dì che vibra a mezzogiorno, e per un cielo d'autunno intepidito l'azzurro opaco delle chiare stelle!
Perché ancora bramiamo sfumature, sfumatura soltanto, non colore! Oh! lo sfumato soltanto accompagna il sogno al sogno e il corno al flauto!
Fuggi più che puoi il Frizzo assassino, il crudele Motteggio e il Riso impuro che fanno lacrimare l'occhio dell'Azzurro, e tutto quest'aglio di bassa cucina!
Viviamo in tempi infami dove il matrimonio delle anime deve suggellare l'unione dei cuori; in quest'ora di orribili tempeste non è troppo aver coraggio in due per vivere sotto tali vincitori.
Di fronte a quanto si osa dovremo innalzarci, sopra ogni cosa, coppia rapita nell'estasi austera del giusto, e proclamare con un gesto augusto il nostro amore fiero, come una sfida.
Ma che bisogno c'è di dirtelo. Tu la bontà, tu il sorriso, non sei tu anche il consiglio, il buon consiglio leale e fiero, bambina ridente dal pensiero grave a cui tutto il mio cuore dice: Grazie!
Vola, canzone, rapida davanti a Lei e dille che, nel mio cuor fedele, gioioso ha fatto luce un raggio, dissipando, santo lume, le tenebre dell'amore: paura, diffidenza e incertezza. Ed ecco il grande giorno! Rimasta a lungo muta e pavida - la senti? - l'allegria ha cantato come una viva allodola nel cielo rischiarato. Vola, canzone ingenua, e sia la benvenuta senza rimpianti vani colei che infine torna.
Saltimbanco, addio! Buona sera, Pagliaccio! Indietro, Babbeo: Fate posto, buffoni antiquati, dalla burla impeccabile, Fate largo! Solenne, altero e discreto, ecco venire il migliore di tutti, l'agile clown.
Più snello d'Arlecchino e più impavido di Achille è lui di certo, nella sua bianca armatura di raso: etereo e chiaro come uno specchio senza argento. I suoi occhi non vivono nella sua maschera d'argilla.
Brillano azzurri fra il belletto e gli unguenti mentre, eleganti il busto e il capo si bilanciano sull'arco paradossale delle gambe.
Poi sorride. Intorno il volgo stupido e sporco la canaglia puzzolente e santa dei Giambi applaude al sinistro istrione che l'odia.