Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)
Tale una brama d'amore...
Tale una brama d'amore, sotto il cuore avviluppatasi,
versò sugli occhi una densa nebbia,
e dal petto rapì i molli sensi.
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Tale una brama d'amore, sotto il cuore avviluppatasi,
versò sugli occhi una densa nebbia,
e dal petto rapì i molli sensi.
Cuore, mio cuore, turbato da affanni senza rimedio,
sorgi, difenditi, opponendo agli avversari
il petto; e negli scontri coi nemici poniti, saldo,
di fronte a loro; e non ti vantare davanti a tutti, se vinci;
vinto, non gemere, prostrato nella tua casa.
Ma gioisci delle gioie e soffri dei dolori
non troppo: apprendi la regola che gli uomini governa.
Una giovane ha appena accavallato le gambe
E il poeta spera che il vento sia suo complice.
Sorveglia irrispettosamente l'orlo del vestito,
l'unica strada verso la felicità.
La giovane sorride, estranea all'importanza della sua coscia
parlando di profumi o ragazzi o promesse.
E il vento soffierà
- di fronte a tanta insistenza soffierà –
ma la vera fortuna sta nel fatto che la mano della giovane
scenda in tempo, e la sua pelle continui ad essere possibile.
Quella ragazza dalla pelle scura,
quella che bacia e abbraccia lo straniero,
con le sue trecce false, Cuba pura
che scola birra Hatuey e usa sincera
accento, gergo e arti di terra dura,
l'arrangiarsi di poveri quartieri;
quella ragazza con la vita tesa
come un violino in preda ai desideri;
quella ragazza con la notte accesa
su tutto il corpo, che tiene distesa
tutta quell'ombra sul sole d'Europa;
quella ragazza ignora che io esisto,
che le scrivo un sonetto, e che la vesto
di versi in rima, mentre lui la spoglia.
I nonni non mi piacciono perché finiscono subito.
Sono a malapena un ginocchio ossuto, una mano
tra i capelli,
e diventano già una foto nella sala,
un volto che s'allontana.
I nonni mi spaventano perché sono molto docili,
sanno tutto e cantano.
I genitori dovrebbero avere i figli più da giovani,
perché questi a loro volta avessero presto figli
e i nonni non arrivassero tanto tardi.
Sono arrivati all'Avana,
passeggeri dello stesso aereo,
vicini di posto,
chiacchierando delle sciocchezze
che riempiono i viaggi lunghi.
Lei ha nascosto la macchina fotografica,
ha comprato pizze infami,
ha usato monosillabi per nascondere il suo accento.
Lui parlava a voce alta
e sorrideva per ogni cosa,
ha visitato gli alberghi,
ha falsificato lo stupore,
ha affittato un'automobile.
Lei è entrata nel mercato,
è salita sugli autobus,
ha visto le costellazioni
dal lungomare,
ha comprato e bevuto acquavite.
Lui ha pagato le ragazze,
ha dato mance,
ha fatto felice un bambino
con gomme da masticare e biro,
ha fotografato le code e le case.
Un giorno prima di ripartire
si sono incontrati sotto i portici
della Piazza d'Armi,
soli, a tarda notte.
E non hanno trovato nulla da dirsi.
Se hai scoperto
che tutti gli oracoli ingannano,
che tutte le strade portano a te stesso,
cosa farai delle tue prossime paure?
Se hai scoperto
che gli astri mentono
— o forse si sbagliano —
che farai delle tue maldicenze?
Se hai scoperto
che la vecchia gitana col fazzoletto rosso
imbroglia da secoli i viaggiatori,
cosa farai di tanti manoscritti,
di tante fidanzate che aspettano fiori?
Se hai scoperto
che anche nella vita
sei un semplice passeggero in transito,
che farai, dove lo farai, e quando?
Per favore, non recuperate le lettere smarrite.
Lasciate la busta accanto al tronco dell'albero,
sotto un'anonima pietra, o a rotolare nei giardini.
Ci sono lettere che si scrivono perché non arrivino,
perché dall'altro lato della voce diffidino di tutto,
perché esista una seconda lettera, esplicita e inutile.
Ciò accade con l'assenso di tutti,
con soprassalti premeditati e complicità.
Sono mesi, anni, di matematica innocenza.
In quelle lettere si confessava tutto,
si annunciavano pericoli che poi la pioggia ha ammorbidito;
in quelle lettere c'erano poscritti che premonivano
sul fatto che sarebbero andate smarrite.
La loro vera destinazione era il silenzio,
le erbacce al bordo dei letti,
le ragnatele sui davanzali,
le nuvole sul volto.
Definitivamente,
dall'altro lato della voce non l'aspettavano.
Lasciatela accanto all'albero,
sotto un'anonima pietra,
a rotolare nella memoria del felice mittente.
Se mi propongo di scriverti una poesia d'amore
il foglio si coprirà di sabbia
o cenere o pozzanghere.
Meglio amarti
e ancora nudi
raccomandarti i versi di qualche altro poeta
che non ti ami.
Dagli occhi di un bambino decollano gli aeroplani.
Se chiudesse gli occhi cadrebbero.
Solo il suo stupore li mantiene sospesi,
la sua piccola mano li innalza,
il suo cuore li muove e li allontana.
Senza un bambino appiccicato ai vetri,
alle alte ringhiere di una terrazza adulta,
gli aeroporti morirebbero d’orrore.
Un bambino non potrà mai pronunciare la parola
“aeronautica”
ma da lui dipenderà l’imitazione dell’uccello.
Un bambino non saprà calcolare le distanze
ma è lui la garanzia del ritorno.
Ogni aeroporto deve avere un bambino incollato ai vetri, accanto agli altoparlanti, dovunque si acquatti la paura.
Grazie a lui durerà meno lacrime il rientro di tutti,
dorrà meno baci l’addio delle madri
e le hostess potranno prescindere da avvisi insulsi.
Un aeroplano per aria
sono molti bambini che guardano l’orizzonte.