Scritta da: Mariella Buscemi
in Poesie (Poesie d'Autore)
Annuso il tuo Volo.
Lì!
Tra le coste mi genera nuovo fiato.
Mi sverni da dentro.
Ritornandomi.
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Annuso il tuo Volo.
Lì!
Tra le coste mi genera nuovo fiato.
Mi sverni da dentro.
Ritornandomi.
Quando la notte mi rompe gli occhi
e più sete mi scorre in vena
e la pelle tramuta in lunare
e la luna mi strappa la carne
prende a dormirmi qualcosa accanto
ed io gli sto sveglia
Ha il furore del tuo abbandono
e le sembianze delle mie cavità vuote.
Sotto il peso di orchidee bianche
che trasmutano la mia pelle
in mistura di aulenze
- e s'allargano petali
e si spalancano le mie bocche -
scende l'acqua perché mi dischiuda.
Lavatemi il cuore
e fatemi Eden.
D'una Sposa Nera
è rimasto fil di ferro
stretto all'anulare
e la finitudine
Se rievocassi
primenotti
il tuo corpo
mi sarebbe
sudario_Sindone
-custodia e guaina
È sapore di Sangue vivo
per la gola
diluito col tuo Seme
nel mio ingoio
Mi sono rimaste fistole vive
segno per simbolo
di qualcosa di nuovo
qualcosa di vecchio
qualcosa di prestato
E Tu, ché t'evoco
Ed Io, evocata
| ampia, densa |
nella luccicanza_evanescenza.
Di quanto stupore io posso ancora amarti, pioggia fuggita dal cielo?
Di quanto stupore spigolo interminabile, in cerca d'un angolo d'infinito?
T'avrei cercata se non fossi mai nata, t'avrei trovata nido d'acqua salata ad aspettarmi fiume, tra grano e ranocchi saltellanti di salti più alti del mio respiro.
Di quanto stupore io posso ancora amarti, se ladra già rubi dell'amore parlano di te e ne tingi pareti e parole da cui dipendo e vivo?
Di quanto stupore chino sulla notte ti osservo, cosicché, ogni cosa d'oggi ti possa volere?
Di quanto stupore io posso ancora amarti pioggia fuggita dal cielo?
Posso amarti pensiero di marzo?
Posso amarti da riderne e piangere ancora.
Ed esso muore
Colui che in trono posa lascia lo segno
dello pugnale infitto entro lo petto
ché di tale malvagità è figlio degno.
Tutto nega quanto che prima detto,
de li discorsi fatti null'ammette
e d'ogni sua parola nega concetto.
Di torte gusta appieno tutte fette
che per ingordigia sua nulla è bastanza,
pel popolo, però, son cinghie strette.
Quando su trono assiso è in adunanza
a lungo disquisisce di scarsezza
fingendo, quasi piange, di doglianza.
Al popolo affamato in su la piazza
ringhia qual cane che di tigna more,
infamia, qual verità, mostra con stizza.
Amici cari, a me langue lo core,
giacché donar vorrei gioie e tesori,
ma preannunciare devo altro dolore.
Pel nostre casse vuote di valori
dobbiamo dar di piglio a nostra messe
onde pianare debiti a fornitori.
Le vigliaccate restano le stesse
perché col garbo di grand'imbroglione
riesce a ingarbugliare tutte matasse.
Lui s'impinguisce ancora'l furfantone
e non ha cura di paesello che more,
ma pensa a tasche sue, il gran ladrone
ch'è esente core suo all'altrui dolore.
In questa stanza
senza umori
ove tornano i ricordi
e i sapori
accucciato
al rumore del fato
stretto
nella morsa della vita
tra cielo e mare
come fosse via proibita
e d'ingeneroso ritmo
a saltellare
nella mente le parole
come fossero strascichi
di comete impazzite
desideri
e figure tornite
di dolcezza
all'eco della fragile
tenerezza
è ampiezza di passi
posati
interrati
scoperti
pensati
in un rincorrersi
di colori figurati
agguerriti
custoditi
nel tempo che pesa
come foglia
al dolce cadere
verso terra.
Eri seduta su una panchina del parco
in un pomeriggio assolato
la prima volta che ti ho visto.
Capelli sciolti, occhiali da sole
twin set giallo, aria felice,
tra le mani un libro
e tu che pensavi.
Ero seduto su una panchina del parco
in un pomeriggio assolato
la prima volta che ti ho visto.
Occhiali da sole, jeans e camicia,
aria felice, tra le mani un libro
ed io che pensavo solo a te.
Prendi la mia ultima vita che resta
l'ultimo sogno, la giusta prigione per la mia debolezza
nient'altro, mentre sordo con piccoli passi
senza rumore nascondo la testa
tengo basso lo sguardo, cercando il tuo abbraccio.
Prendi la mia ultima voce che resta
i silenzi, sono infiniti momenti di bellezza
prendimi la mano nel cammino
la solitudine offre favolosi orizzonti di tempo
non sono ancora pronto per l'inverno.
Se puoi, proteggimi dal freddo
più di ieri, i tuoi occhi
sono gocce di luminosa saggezza.
Come cadono le foglie silenziose
in questo mite autunno del cuore,
come si adagiano le dolci rose
alla terra che geme di dolore,
così la penna non conosce pose
per questi silenzi sparsi d'amore,
caduti, tratti, stelle tempestose
di un cielo scritto di nero colore.
come foglie d'autunno cadono i versi,
mossi dal canto del vento interiore
che, per l'ultima volta, sospirano;
siamo radici, siamo rami diversi
di uno stesso albero che, spoglio, muore:
siamo come foglie, foglie che cadono.