Scritta da: Antonio Belsito
in Poesie (Poesie d'Autore)
D'un frastuono
cupo
quando s'infrange
pietra
contro pietra
e scintilla
fa brillare
l'incontro
d'un intenso sfaldarsi
di schegge
furibonde
perse nell'essere unità.
Frammenti.
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D'un frastuono
cupo
quando s'infrange
pietra
contro pietra
e scintilla
fa brillare
l'incontro
d'un intenso sfaldarsi
di schegge
furibonde
perse nell'essere unità.
Frammenti.
Il mio pensiero ha una mano
che sfiora il tuo silenzio,
ha orecchie per sentire lacrime
dietro la voce dolce di un sorriso,
passi per camminare
sulla strada del cuore...
Pensiero vestito di velo
illumina le note del cuscino
mi conduce nell'isola
dove i sogni si possono toccare,
suona la sera dolce appuntamento
come un bacio sospeso sulle labbra
che si sveglia con l'ali addormentate
per la magia dolce di cullare
una poesia, sentita recitare
nelle attese pazienti,
nella gelosia che traspare
dai tuoi gesti impigliati
a qualche scoglio,
nel dono che mi sfogli e affidi al vento
versi che colorano di luce
più forte di parole
e non temono polvere del tempo.
Per voi anime elette
la vita
deve continuare
nella speranza
che malattia trovi pentimento
e cessi di ammalare
e la giustizia abbia
nel trionfo umano
a trionfare
Non mi ammalerò
ne mai sarò malaria
non avrò da tossire
ne mai, per causa mia
avrete da tossire
io sono il nulla
sterilità di male
io...
sono che il niente
niente di buono
niente di male
voi possessori di magiche carte
voi che richiudete nei dorati scrigni il bene
vi è ancora posto sulle vostre croci?
Faticherete a conficcare i chiodi
così per voi sarà sublime incedere
peccato grave che mai vi soffermaste
a esaminarmi i passi
credete ch'io sia, forse
allodola da specchi?
In volo in cieli senza trucchi
seguiste la mia rotta ignari, credendo di instradarmi
credendo di condurmi, vi condussi
mi coricai spontaneo sulla croce
mentre voi
affannati ad inchiodarmi
sono il peccato e voi i peccatori
avete scelto di ammalarvi
non ch'io fossi il male
tossite ch'io possa sentirvi
vi lascio a vostra sorte
ho da esaminar
la mia condanna a morte.
Seduto sul gradino
d'appoggio levigato
col sole che conta le rughe
del tempo
e nel tempo
continua lo sguardo
d'iride dilatato
come finestra su un campo
orizzonte
senza ostacoli presenti
ma
duramente
passati
di occhi bagnati
di fatica
a deglutire bisogno
e nel sonno
a tirar via i denti
d'una dignità
che imperversa
come stelle nel cielo
a raccoglier briciole
di sorrisi
mentre i calli
di mani e piedi
decorati
gridano l'orgoglio
d'un bicchiere di vino
a voler dimenticare
tristezza
con la forza
d'un gomito alzato.
Uomo o Dannato.
Attimi che tolgono il respiro
precedono il perdersi nella paura inespressa,
di un tumulto risuonante ed represso.
"Attimi".
Attimi che tolgono
e aggiungono il senso del tempo
a questo tempo, che senso sembra non averne.
Ode alla vita che ha presente
la sostanza di nuovi inizi.
Ode all'amore che ha come meta
l'infinito e oltre.
Ode a te tempo,
che con passo sicuro ti affretti senza nessuna paura.
Ed io,
alla rinfusa girovaga mi accingo
a sostenere il domani.
Ribadendo ogni di la stessa melodia;
che la vita non è una rete da potervi impigliare dentro.
La vita:
è solo un labirinto confuso
che con equilibrio e stabilità
può condurci alla via d'uscita.
Attimi, di mille sfumature.
Attimi che alla fine incontrano il loro orizzonte.
Il cuore ha un sentiero
che passa attraverso
la luce degli occhi,
percepisce il profumo
nascosto
nel fondo blindato
dove non arrivano
le riflessioni,
si lascia abbagliare
da melodie di voci.
Nel giardino
d'autunno
dove non nasce
erba di domani
poiché l'inverno spoglia
le foglie di pensieri,
i fiori della vita
sentono più forte
il desiderio
prima di addormentarsi
nei deserti
di sogni senza sole.
La vertigine della mia parola
sulla tua carne
è un volo pindarico
nel non senso
il paradosso di certe mie nature storte
che si fanno dure e dritte in te
e il momento
in cui tu sei più in me
l'ho quando ti togli dalle mie braccia
e mi resti a mezz'aria
sopra la testa e tra le gambe
nell'abisso di un cielo basso.
Siamo consanguinei di Pensiero
siamesi nelle finte omissioni
e quando mi fai opera
nel battermi il petto
- e non solo -
mi sali sul palo del rogo
- incendiari -
nello stesso attimo
ché la mia eresia vien bruciata.
Se sei tu
il peso della mia colpa
il sigillo dell'assoluzione
il tredicesimo giudice
dei miei scandali
scritti sul sangue che bolle
come se il corpo mi fosse fucina
e le tue parole mi divenissero lapilli
nell'incandescenza del comprenderci
Allora, io sono in te.
Sono solo scivolato nella stanza accanto.
Io sono io e tu sei tu.
Quello che eravamo l'uno per l'altro, lo siamo ancora.
Chiamami col mio solito nome.
Parlami nel modo in cui eri solita parlarmi.
Non cambiare il tono della tua voce.
Non assumere espressioni forzate di solennità o dispiacere.
Ridi come eravamo soliti ridere
dei piccoli scherzi che ci divertivano.
Gioca... sorridi... pensami... prega per me.
Lascia che il mio nome sia la parola familiare
che è sempre stata.
Lascia che venga pronunciato con naturalezza,
senza che in esso vi sia lo spettro di un ombra.
La vita ha il significato che ha sempre avuto.
È la stessa di prima.
Esiste una continuità mai spezzata.
Che cos'è la morte se non un incidente insignificante?
Dovrei essere dimenticato solo perché non mi si vede?
Sto solo aspettandoti, è un intervallo.
Da qualche parte molto vicino, proprio girato l'angolo.
Va tutto bene.