Allora una donna disse: Parlaci della Gioia e del Dolore. E lui rispose: La vostra gioia è il vostro dolore senza maschera, E il pozzo da cui scaturisce il vostro riso, è stato sovente colmo di lacrime. E come può essere altrimenti? Quanto più a fondo vi scava il dolore, tanta più gioia potrete contenere. La coppa che contiene il vostro vino non è forse la stessa bruciata nel forno del vasaio? E il liuto che rasserena il vostro spirito non è forse lo stesso legno scavato dal coltello? Quando siete felici, guardate nel fondo del vostro cuore e scoprirete che è proprio ciò che vi ha dato dolore a darvi ora gioia. E quando siete tristi, guardate ancora nel vostro cuore e saprete di piangere per ciò che ieri è stato il vostro godimento. Alcuni di voi dicono: "La gioia è più grande del dolore", e altri dicono: "No, è più grande il dolore". Ma io vi dico che sono inseparabili. Giungono insieme, e se l'una siede con voi alla vostra mensa, ricordate che l'altro è addormentato nel vostro letto.
In verità voi siete bilance che oscillano tra il dolore e la gioia. Soltanto quando siete vuoti, siete equilibrati e saldi. Come quando il tesoriere vi solleva per pesare oro e argento, così la vostra gioia e il vostro dolore dovranno sollevarsi oppure ricadere.
Darei valore alle cose non per quello che valgono ma per quello che significano.
Dormirei poco, sognerei di più.
So che per ogni minuto che chiudiamo gli occhi perdiamo 60 secondi di luce di cioccolata.
Se Dio mi concedesse un brandello di vita, vestito con abiti semplici, mi sdraierei, al sole e lascerei a nudo non solo il mio corpo ma anche la mia anima.
Dio mio, se avessi cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio e aspetterei che si alzasse il sole.
Dipingerei le stelle con un sogno di Van Gogh. con un poema di Benedetti, una canzone di Serrat sarebbe la mia serenata alla luna.
Bagnerei con le mie lacrime le rose per sentire il dolore delle spine ed il bacio vermiglio dei petali.
Dio mio, se io avessi ancora un brandello di vita non lascerei passare un solo giorno senza dire alla gente che io amo, io amo la gente.
Convincerei ogni uomo ed ogni donna che sono i miei favoriti e vivrei innamorato dell'amore.
E dimostrerei agli uomini quanto sbagliano quando pensano di smettere di innamorarsi quando invecchiano senza sapere che invecchiano quando smettono di innamorarsi.
Darei ad ogni bambino le ali ma lo lascerei imparare, da solo, a volare.
Ai vecchi insegnerei che la morte non arriva con la vecchiaia ma con l'oblio.
Ho imparato molte cose da voi, dagli uomini... Ho imparato che tutti, al mondo, vogliono vivere in cima alla montagna senza sapere che la vera felicità sta in come si sale la china.
Ho imparato che quando un neonato afferra, per la prima volta, con il suo piccolo pugno, il dito di suo padre, lo terrà prigioniero per sempre.
Ho imparato che un uomo ha diritto di guardare un altro uomo dall'alto verso il basso solo quando lo aiuta a rialzarsi.
Sono tante le cose che ho potuto imparare da voi ma non mi serviranno davvero più a molto perché quando guarderanno in questa mia valigia, infelicemente io starò morendo.
Parole? Sì, di aria e nell'aria perdute. Tu lascia che mi perda tra parole, lasciami essere aria su labbra, un soffio vagabondo senza sagoma, breve aroma che l'aria fa svenire.
Parte delle stelle mattutine La luna e la posta L'insaziabile X, il dolore delirante, - la luna Sittle La Pottle, teh, teh, teh, - I poeti in vecchie stanze gufose che scrivono curvi parole sanno che le parole furono inventate perché il nulla era nulla Usando le parole, usate le parole, le X e gli spazi vuoti E la pagina bianca dell'Imperatore E l'ultimo dei Tori Prima che la primavera si metta in moto Sono una montagna di nulla di cui volenti o nolenti disponiamo Così di notte contratteremo nel mercato delle parole.
Se muoio sopravvivimi con tanta forza pura che desti la furia del pallido e del freddo, da sud a sud leva i tuoi occhi indelebili, da sole a sole suoni la tua bocca di chitarra. Non voglio che vacillino il tuo riso o i tuoi passi, non voglio che muoia la mia eredità d'allegria, non bussare al mio petto, sono assente. Vivi in mia assenza come in una casa. È una casa tanto grande l'assenza che v'entrerai traverso i muri e appenderai i quadri all'aria. È una casa tanto trasparente l'assenza che senza vita ti vedrò vivere e se soffri, amor mio, morirò un'altra volta.
Io crebbi in un silenzio arabescato, in un'ariosa stanza del nuovo secolo. Non mi era cara la voce dell'uomo, ma comprendevo quella del vento. Amavo la lappola e l'ortica, e più di ogni altro un salice d'argento. Riconoscente, lui visse con me la vita intera, alitando di sogni con i rami piangenti la mia insonnia. Strana cosa, ora gli sopravvivo. Lì sporge il ceppo, e con voci estranee parlano di qualcosa gli altri salici sotto quel cielo, sotto il nostro cielo. Io taccio... come se fosse morto un fratello.
Adesso ci sono computer e ancora più computer e presto tutti ne avranno uno, i bambini di tre anni avranno i computer e tutti sapranno tutto di tutti gli altri molto prima di incontrarli e così non vorranno più incontrarli. Nessuno vorrà incontrare più nessun altro mai più e saranno tutti dei reclusi come me adesso.
I furbi scendono la corrente come pesci bianchi sulla cresta d'acque blu, oltre le rapide. I furbi, con le loro gole e sopracciglia da furbi, i loro furbi peli nel naso, entrambe le scarpe allacciate, tutte le tragedie cancellate, denti splendenti. I furbi non si scompongono. Anche le loro morti sono morti al quadrato, furbi furbi furbi. Hanno case migliori, auto migliori, risate migliori. Persino i loro incubi sono sogni sgargianti. Questi furbi ti siedono di fronte, con un sorriso pulito, che li riempe, financo i capelli sprizzano nitore. Quanto ho vissuto e quanti ne ho visti. Sapete cos'è davvero la morte? È uno di questi furbi rottinculo che ti stringe la mano e ti abbraccia. Sapete cos'è davvero la morte? Venite a vedermi mentre allungo la carta di credito al cameriere disprezzandovi. O peggio.
Ricordo il meraviglioso istante: davanti a me apparisti tu, come una visione fugace, come il genio della pura bellezza.
Nei tormenti di una tristezza disperata, nelle agitazioni di una rumorosa vanità, suonò per me a lungo la tenera voce, e mi apparvero in sogno i cari tratti.
Passarono gli anni. Il ribelle impeto delle tempeste disperse i sogni di una volta, e io dimenticai la tua tenera voce, i tuoi tratti celestiali.
Nella mia remota e oscura reclusione trascorrevano quietamente i miei giorni senza divinità, senza ispirazione, senza lacrime, senza vita, senza amore.
Ma venne dell'anima il risveglio: ed ecco di nuovo sei apparsa tu, come una visione fugace, come il genio della tua pura bellezza.
E il cuore batte nell'inebriamento, e sono per esso risuscitati di nuovo e la divinità e l'ispirazione, e la vita, e le lacrime e l'amore.