Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Mario Bellocchi
in Poesie (Poesie d'Autore)
La vita non è uno scherzo,
prendila sul serio
come fa lo scoiattolo, ad esempio,
senza aspettarti nulla
dal di fuori o nell'al di là.
Non avrai altro da fare che vivere.

La vita non è uno scherzo,
prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che messo contro un muro, ad esempio, le mani legate,
o dentro un laboratorio
col camice bianco e grandi occhiali,
tu muoia affinché vivano gli uomini,
gli uomini di cui non conoscerai la faccia,
e morrai sapendo
che nulla è più bello, più vero della vita.

La vita non è uno scherzo,
prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant'anni, ad esempio,
pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli,
ma perché non crederai alla morte,
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Benvenuta, donna mia, benvenuta!

    Benvenuta, donna mia, benvenuta!

    Certo sei stanca
    come potrò lavarti i piedi
    non ho acqua di rose né catino d'argento

    certo avrai sete
    non ho una bevanda fresca da offrirti

    certo avrai fame
    e io non posso apparecchiare
    una tavola con lino candido

    la mia stanza è povera e prigioniera
    come il nostro paese.

    Benvenuta, donna mia, benvenuta!

    Hai posato il piede nella mia cella
    e il cemento è divenuto prato

    hai riso
    e rose hanno fiorito le sbarre

    hai pianto
    e perle son rotolate sulle mie palme

    ricca come il mio cuore
    cara come la libertà
    è adesso questa prigione.

    Benvenuta, donna mia, benvenuta!
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      La fonte di Castelvecchio

      O voi che, mentre i culmini Apuani
      il sole cinge d'un vapor vermiglio,
      e fa di contro splendere i lontani
      vetri di Tiglio;
      venite a questa fonte nuova, sulle
      teste la brocca, netta come specchio,
      equilibrando tremula, fanciulle
      di Castelvecchio;
      e nella strada che già s'ombra, il busso
      picchia dè duri zoccoli, e la gonna
      stiocca passando, e suona eterno il flusso
      della Corsonna:
      fanciulle, io sono l'acqua della Borra,
      dove brusivo con un lieve rombo
      sotto i castagni; ora convien che corra
      chiusa nel piombo.
      A voi, prigione dalle verdi alture,
      pura di vena, vergine di fango,
      scendo; a voi sgorgo facile: ma, pure
      vergini, piango:
      non come piange nel salir grondando
      l'acqua tra l'aspro cigolìo del pozzo:
      io solo mando tra il gorgoglio blando
      qualche singhiozzo.
      Oh! la mia vita di solinga polla
      nel taciturno colle delle capre!
      Udir soltanto foglia che si crolla,
      cardo che s'apre,
      vespa che ronza, e queruli richiami
      del forasiepe! Il mio cantar sommesso
      era tra i poggi ornati di ciclami
      sempre lo stesso;
      sempre sì dolce! E nelle estive notti,
      più, se l'eterno mio lamento solo
      s'accompagnava ai gemiti interrotti
      dell'assiuolo,
      più dolce, più! Ma date a me, ragazze
      di Castelvecchio, date a me le nuove
      del mondo bello: che si fa? Le guazze
      cadono, o piove?
      E per le selve ancora si tracoglie,
      o fate appietto? Ed il metato fuma,
      o già picchiate? Aspettano le foglie
      molli la bruma,
      o le crinelle empite nè frondai
      in cui dall'Alpe è scesa qualche breve
      frasca di faggio? Od è già l'Alpe ormai
      bianca di neve?
      Più nulla io vedo, io che vedea non molto
      quando chiamavo, con il mio rumore
      fresco, il fanciullo che cogliea nel folto
      macole e more.
      Col nepotino a me venìa la bianca
      vecchia, la Matta; e tuttavia la vedo
      andare come vaccherella stanca
      va col suo redo.
      Nella deserta chiesa che rovina,
      vive la bianca Matta dei Beghelli
      più? Desta lei la sveglia mattutina
      più, dè fringuelli?
      Essa veniva al garrulo mio rivo
      sempre garrendo dentro sé, la vecchia:
      e io, garrendo ancora più, l'empivo
      sempre la secchia.
      Ah! che credevo d'essere sua cosa!
      Con lei parlavo, ella parlava meco,
      come una voce nella valle ombrosa
      parla con l'eco.
      Però singhiozzo ripensando a questa
      che lasciai nella chiesa solitaria,
      che avea due cose al mondo, e gliene resta
      l'una, ch'è l'aria.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)
        Or son molti e molti anni
        che in un regno in riva al mare
        viveva una fanciulla che col nome
        chiamerete di Annabel Lee:
        e viveva questa fanciulla con non altro pensiero
        che d'amarmi e d'essere amata da me.
        Io ero un bimbo e lei una bimba,
        in questo regno in riva al mare;
        ma ci amavamo d'un amore ch'era più che amore-
        io e la mia Annabel Lee –
        d'un amore che gli alati serafini in cielo
        invidiavano a lei ed a me.
        E fu per questo che –oh, molto tempo fa-
        in questo regno in riva al mare
        un vento soffiò da una nube, raggelando
        la mia bella Annabel Lee;
        così che vennero i suoi nobili parenti
        e la portarono da me lontano
        per rinchiuderla in un sepolcro
        in questo regno in riva al mare.
        Gli angeli, non così felici in cielo come noi,
        a lei e a me portarono invidia –
        oh sì! E fu per questo ( e tutti ben lo sanno
        in questo regno in riva al mare)
        che quel vento irruppe una notte dalla nube
        raggelando e uccidendo la mia bella Annabel Lee.
        Ma molto era più forte il nostro amore
        che l'amor d'altri di noi più grandi-
        che l'amor d'altri di noi più savi-
        e né gli angeli lassù nel cielo
        né i demoni dentro il profondo mare
        mai potran separare la mia anima dall'anima
        della bella Annabel Lee: -
        giacché mai raggia la luna che non mi porti sogni
        della bella Annabel Lee;
        e mai stella si leva ch'io non senta i fulgenti occhi
        della bella Annabel Lee: -
        e così, nelle notti, al fianco io giaccio
        del mio amore – mio amore – mia vita e mia sposa,
        nel suo sepolcro lì in riva al mare,
        nella sua tomba in riva al risonante mare.
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          Scritta da: Laura Di Nella
          in Poesie (Poesie d'Autore)
          Se
          Se... riesci a a non perdere la testa,
          quando tutti intorno a te la perdono e ti mettono sotto accusa
          Se... riesci ad aver fiducia di te stesso, quando tutti dubitano di te
          ma a tenere nel giusto conto il loro dubitare
          Se... riesci ad aspettare, senza stancarti di aspettare,
          o, se mentono a tuo riguardo, a non rispondere con calunnie
          o, essendo odiato, a non lasciarti prendere dall'odio
          e tuttavia a non mostrati troppo buono e a non parlare troppo da saggio
          Se... riesci a sognare senza fare del tuo sogno il tuo padrone
          Se... riesci a pensare, senza fare dei pensieri il tuo fine
          Se... riesci a far fronte al Trionfo e alla Rovina
          e trattare questi due impostori allo stesso modo
          Se... riesci a sopportare di udire la verità che hai detto,
          distorta da furfanti per ingannare gli sciocchi,
          o contemplare le cose a cui tu hai dedicato la vita, distrutte
          e, umilmente, ricostruirle con i tuoi strumenti ormai logori
          Se... riesci a fare un sol fagotto delle tue vittorie,
          e rischiarle in un colpo a testa e croce
          e perdere, e ricominciare di nuovo dal principio
          e non dire mai una parola sulla perdita
          Se... riesci a costringere il tuo cuore, i tuoi nervi, i tuoi polsi
          a sorreggerti, anche dopo molto tempo che non te li senti più,
          e a tener duro quando in te non resta altro,
          tranne la tua Volontà che ripete... resisti
          Se... riesci a parlare con la folla e a conservare la tua onestà,
          o a passeggiare con il re senza perdere il contatto con la gente
          Se... tanto amici che nemici non possono ferirti
          Se... tutti gli uomini per te contano, ma nessuno troppo
          Se... riesci a colmare l'inesorabile minuto,
          dando valore a ogni attimo che passa,
          Tua è la terra e tutto ciò che è in essa
          e quel che più conta... sarai un uomo... figlio mio!
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            Scritta da: Andrew Ricooked
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Dove ero finito?

            Non sapevo da dove venissi
            o dove stessi
            andando.
            Ero perso.
            Mi ritrovavo seduto
            in strani ingressi
            per ore,
            senza pensare
            semza muovermi
            finché mi chiedevano
            di andarmene.

            Non voglio dire che ero
            idiota o
            stupido.
            Quello che voglio dire è che
            ero senza
            interessi.

            Non me ne fregava niente se cercavate
            di uccidermi.
            Non vi avrei fermato.

            Stavo vivendo un esistenza che
            non significava niente per
            me.

            Trovavo posti dove stare.
            Stanzette in affitto. Bar. Prigioni.
            Sonno e indifferenza sembravano
            le uniche
            possibilità.
            Tutto il resto sembrava
            privo di senso.

            Una volta rimasi tutta la notte a guardare
            il Mississipi.
            Non so perché.
            Il fiume scorreva lì accanto e
            l'unica cosa che ricordo è che
            puzzava.

            Mi sembrava sempre di essere
            su una corriera
            che attraversava il paese
            diretta
            da qualche parte.
            A guardare fuori da un finestrino
            sporco
            il nulla
            assoluto.

            Sapevo sempre esattamente quanti
            soldi avevo
            con me.
            Per esempio:
            un biglietto da cinque e due da uno
            nel portafoglio
            una moneta da venticinque, una da dieci e una
            da due centesimi nella tasca
            destra davanti.

            Non avevo voglia di parlare
            con nessuno e non volevo che nessuno
            mi parlasse.

            Ero considerato un
            disadattato e un tipo
            strambo.
            Mangiavo pochissimo ma
            ero incredibilmente
            forte.
            Una volta, quando lavoravo in una fabbrica
            dei ragazzotti giovani, strafottenti,
            stavano cercando di sollevare un pezzo
            di macchinario pesante
            dal pavimento.
            Non ci riusciva nessuno.

            "Ehi, Hank, provaci tu!" Dissero
            ridendo.

            Mi avvicinai, lo sollevai,
            lo rimisi a terra,
            tornai al
            lavoro.

            Mi valse il loro rispetto
            non so perché
            ma io non lo
            volevo.

            A volte abbassavo
            le tapparelle nella mia stanza
            e me ne stavo a letto per una
            settimana o più.

            Ero in uno strano viaggio
            ma era
            privo di senso.
            Non avevo idee.
            Non avevo progetti.
            Dormivo.
            Non facevo altro che dormire
            e aspettare.

            Non mi sentivo solo.
            Non soffrivo di vittimismo.
            Ero solo invecchiato in una
            vita nella quale
            non riuscivo a trovare alcun
            senso.

            Allora ero
            un giovanotto di
            mille anni.

            Adesso sono un vecchio
            che aspetta di rinascere.
            Composta domenica 3 gennaio 2010
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              Scritta da: Gaetano Toffali
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Bum

              Noi inchiodati
              qui
              a scrivere poesie.
              So
              che questa
              non è poesia.
              È la storia di un treno.
              So
              che su quel treno
              c'erano
              un barbone
              un emigrante
              un operaio
              una studentessa
              un padre di famiglia.
              So
              che il barbone
              ha la mia età
              senza denti
              senza capelli
              e ride e piange
              e non va da nessuna parte
              e non ha nessuna valigia.
              So
              che l'emigrante ha cinquantatré anni
              e viene dalla Germania.
              So
              che va in Sicilia
              e nella valigia
              una stecca di cioccolata.
              So
              che l'operaio
              lavora all'Alfa Romeo.
              So
              che ha quarantadue anni
              nella valigia
              l'ultima busta paga.
              So
              che la studentessa
              è molto bella
              e ha diciassette anni.
              So
              che va a vedere Roma,
              nella valigia
              la macchina fotografica.
              So
              che il padre di famiglia
              ha gli occhiali sessantadue anni
              un nipote a Bari
              e nella valigia
              "la cena per i suoi rondinini".
              So
              che stanno aspettando qualcosa
              e ridono
              e il treno ride
              e le valigie ridono
              e la democrazia
              nascosta sotto i binari
              come sempre
              ride.
              Bum.
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