Poesie d'Autore migliori


in Poesie (Poesie d'Autore)
Questo amore
Così violento
Così fragile
Così tenero
Così disperato
Questo amore
Bello come il giorno
E cattivo come il tempo
Quando il tempo è cattivo
Questo amore così vero
Questo amore così bello
Così felice
Così gaio
E così beffardo
Tremante di paura come un bambino al buio
E così sicuro di sé
Come un uomo tranquillo nel cuore della notte
Questo amore che impauriva gli altri
Che li faceva parlare
Che li faceva impallidire
Questo amore spiato
Perché noi lo spiavamo
Perseguitato ferito calpestato ucciso
negato dimenticato
Perché noi l'abbiamo perseguitato ferito
calpestato ucciso negato
dimenticato
Questo amore tutto intero
Ancora così vivo
E tutto soleggiato
É tuo
É mio
É stato quel che è stato
Questa cosa sempre nuova
E che non è mai cambiata
Vera come una pianta
Tremante come un uccello
Calda e viva come l'estate
Noi possiamo tutti e due
Andare e ritornare
Noi possiamo dimenticare
E quindi riaddormentarci
Risvegliarsi soffrire invecchiare
Addormentarci ancora
Sognare la morte
Svegliarci sorridere e ridere
E ringiovanire
Il nostro amore è là
Testardo come un asino
Vivo come il desiderio
Crudele come la memoria
Sciocco come i rimpianti
Tenero come il ricordo
Freddo come il marmo
Bello come il giorno
Fragile come un bambino
Ci guarda sorridendo
E ci parla senza dir nulla
E io tremante l'ascolto
E grido
Grido per te
Grido per me
Ti supplico
Per te per me e per tutti coloro che si amano
E che si sono amati
Sì io gli grido
Per te per me per tutti gli altri
Che non conoscono
Fermati là
Là dove sei
Là dove sei stato altre volte
Fermati
Non muoverti
Non andartene
Noi che siamo amati
Noi ti abbiamo dimenticato
Tu non dimenticarci
Non avevamo che te sulla terra
Non lasciraci diventare gelidi
Anche se molto lontano sempre
E non importa dove
Dacci un segno di vita
Molto più tardi ai margini di un bosco
Nella foresta della memoria
Alzati subito
Tendici la mano
E salvaci.
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    Scritta da: Marilù Rossi
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Non celare il segreto del tuo cuore

    Non celare il segreto del tuo cuore,
    amico mio.
    Dillo a me, solo a me, in segreto.
    Tu che sorridi tanto gentilmente,
    sussurralo sommessamente,
    il mio cuore l'udrà,
    non le mie orecchie.

    La notte è fonda,
    la casa è silenziosa,
    i nidi degli uccelli
    son coperti di sonno.

    Dimmi tra lacrime esitanti,
    tra sorrisi titubanti,
    tra dolore e dolce vergogna,
    il segreto del tuo cuore.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Ti sei stancata di portare il mio peso

      Ti sei stancata di portare il mio peso
      ti sei stancata delle mie mani
      dei miei occhi della mia ombra
      dei miei tradimenti
      le mie parole erano incendi
      le mie parole erano pozzi profondi
      le mie parole erano stanchezza, noia serale,
      un giorno improvvisamente
      sentirai dentro di te
      il peso dei miei passi
      che si allontanano esitando
      quel peso sarà quello più grave.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        La verità, vi prego, sull'amore

        Dicono alcuni che amore è un bambino
        e alcuni che è un uccello,
        alcuni che manda avanti il mondo
        e alcuni che è un'assurdità
        e quando ho domandato al mio vicino,
        che aveva tutta l'aria di sapere,
        sua moglie si è seccata e ha detto che
        non era il caso, no.

        Assomiglia a una coppia di pigiami
        o al salame dove non c'è da bere?
        Per l'odore può ricordare i lama
        o avrà un profumo consolante?
        È pungente a toccarlo, come un prugno
        o è lieve come morbido piumino?
        È tagliente o ben lischio lungo gli orli?
        La verità, vi prego, sull'amore.

        I manuali di storia ce ne parlano
        in qualche noticina misteriosa,
        ma è un argomento assai comune
        a bordo delle navi da crociera;
        ho trovato che vi si accenna nelle
        cronache dei suicidi
        e l'ho visto persino scribacchiato
        sul retro degli orari ferroviari.

        Ha il latrato di un alsaziano a dieta
        o il bum-bum di una banda militare?
        Si può farne una buona imitazione
        su una sega o uno Steinway da concerto?
        Quando canta alle este è un finimondo?
        Apprezzerà soltanto roba classica?
        Smetterà se si vuole un po' di pace?
        La verità grave, vi prego, sull'amore.

        Sono andato a guardare nel bersò
        lì non c'era mai stato;
        ho esportato il Tamigi a Maidenhead,
        e poi l'aria balsamica di Brighton.
        Non so che cosa mi cantasse il merlo,
        o che cosa dicesse il tulipano,
        ma non era nascosto nel pollaio
        e non era nemmeno sotto il letto.

        Sa fare delle smorfie straordinarie?
        Sull'altalena soffre di vertigini?
        Passerà tutto il suo tempo alle corse
        o strimpellando corde sbrindellate?
        Avrà idee personali sul denaro?
        È un buon patriota o mica tanto?
        Ne racconta di allegre, anche se spinte?
        La verità, vi prego, sull'amore.

        Quando viene, verrà senza avvisare,
        proprio mentre sto frugando il naso?
        Busserà la mattina alla mia porta
        o là sul bus mi pesterà un piede?
        Accedrà come quando cambia il tempo?
        Sarà cortese o spiccio il suo saluto?
        Darà una svolta a tutta la mia vita?
        La verità, vi prego, sull'amore.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Canto notturno di un pastore errante dell'Asia

          Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,
          Silenziosa luna?
          Sorgi la sera, e vai,
          Contemplando i deserti; indi ti posi.
          Ancor non sei tu paga
          Di riandare i sempiterni calli?
          Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
          Di mirar queste valli?
          Somiglia alla tua vita
          La vita del pastore.
          Sorge in sul primo albore;
          Move la greggia oltre pel campo, e vede
          Greggi, fontane ed erbe;
          Poi stanco si riposa in su la sera:
          Altro mai non ispera.
          Dimmi, o luna: a che vale
          Al pastor la sua vita,
          La vostra vita a voi? Dimmi: ove tende
          Questo vagar mio breve,
          Il tuo corso immortale?
          Vecchierel bianco, infermo,
          Mezzo vestito e scalzo,
          Con gravissimo fascio in su le spalle,
          Per montagna e per valle,
          Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
          Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
          L'ora, e quando poi gela,
          Corre via, corre, anela,
          Varca torrenti e stagni,
          Cade, risorge, e più e più s'affretta,
          Senza posa o ristoro,
          Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
          Colà dove la via
          E dove il tanto affaticar fu volto:
          Abisso orrido, immenso,
          Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
          Vergine luna, tale
          È la vita mortale.
          Nasce l'uomo a fatica,
          Ed è rischio di morte il nascimento.
          Prova pena e tormento
          Per prima cosa; e in sul principio stesso
          La madre e il genitore
          Il prende a consolar dell'esser nato.
          Poi che crescendo viene,
          L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
          Con atti e con parole
          Studiasi fargli core,
          E consolarlo dell'umano stato:
          Altro ufficio più grato
          Non si fa da parenti alla lor prole.
          Ma perché dare al sole,
          Perché reggere in vita
          Chi poi di quella consolar convenga?
          Se la vita è sventura
          Perché da noi si dura?
          Intatta luna, tale
          È lo stato mortale.
          Ma tu mortal non sei,
          E forse del mio dir poco ti cale.
          Pur tu, solinga, eterna peregrina,
          Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
          Questo viver terreno,
          Il patir nostro, il sospirar, che sia;
          Che sia questo morir, questo supremo
          Scolorar del sembiante,
          E perir dalla terra, e venir meno
          Ad ogni usata, amante compagnia.
          E tu certo comprendi
          Il perché delle cose, e vedi il frutto
          Del mattin, della sera,
          Del tacito, infinito andar del tempo.
          Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
          Rida la primavera,
          A chi giovi l'ardore, e che procacci
          Il verno cò suoi ghiacci.
          Mille cose sai tu, mille discopri,
          Che son celate al semplice pastore.
          Spesso quand'io ti miro
          Star così muta in sul deserto piano,
          Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
          Ovver con la mia greggia
          Seguirmi viaggiando a mano a mano;
          E quando miro in cielo arder le stelle;
          Dico fra me pensando:
          A che tante facelle?
          Che fa l'aria infinita, e quel profondo
          Infinito seren? Che vuol dir questa
          Solitudine immensa? Ed io che sono?
          Così meco ragiono: e della stanza
          Smisurata e superba,
          E dell'innumerabile famiglia;
          Poi di tanto adoprar, di tanti moti
          D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
          Girando senza posa,
          Per tornar sempre là donde son mosse;
          Uso alcuno, alcun frutto
          Indovinar non so. Ma tu per certo,
          Giovinetta immortal, conosci il tutto.
          Questo io conosco e sento,
          Che degli eterni giri,
          Che dell'esser mio frale,
          Qualche bene o contento
          Avrà fors'altri; a me la vita è male.
          O greggia mia che posi, oh te beata,
          Che la miseria tua, credo, non sai!
          Quanta invidia ti porto!
          Non sol perché d'affanno
          Quasi libera vai;
          Ch'ogni stento, ogni danno,
          Ogni estremo timor subito scordi;
          Ma più perché giammai tedio non provi.
          Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
          Tu sè queta e contenta;
          E gran parte dell'anno
          Senza noia consumi in quello stato.
          Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
          E un fastidio m'ingombra
          La mente, ed uno spron quasi mi punge
          Sì che, sedendo, più che mai son lunge
          Da trovar pace o loco.
          E pur nulla non bramo,
          E non ho fino a qui cagion di pianto.
          Quel che tu goda o quanto,
          Non so già dir; ma fortunata sei.
          Ed io godo ancor poco,
          O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
          Se tu parlar sapessi, io chiederei:
          Dimmi: perché giacendo
          A bell'agio, ozioso,
          S'appaga ogni animale;
          Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?
          Forse s'avess'io l'ale
          Da volar su le nubi,
          E noverar le stelle ad una ad una,
          O come il tuono errar di giogo in giogo,
          Più felice sarei, dolce mia greggia,
          Più felice sarei, candida luna.
          O forse erra dal vero,
          Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
          Forse in qual forma, in quale
          Stato che sia, dentro covile o cuna,
          È funesto a chi nasce il dì natale.
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            Scritta da: Gaetano Toffali
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Bum

            Noi inchiodati
            qui
            a scrivere poesie.
            So
            che questa
            non è poesia.
            È la storia di un treno.
            So
            che su quel treno
            c'erano
            un barbone
            un emigrante
            un operaio
            una studentessa
            un padre di famiglia.
            So
            che il barbone
            ha la mia età
            senza denti
            senza capelli
            e ride e piange
            e non va da nessuna parte
            e non ha nessuna valigia.
            So
            che l'emigrante ha cinquantatré anni
            e viene dalla Germania.
            So
            che va in Sicilia
            e nella valigia
            una stecca di cioccolata.
            So
            che l'operaio
            lavora all'Alfa Romeo.
            So
            che ha quarantadue anni
            nella valigia
            l'ultima busta paga.
            So
            che la studentessa
            è molto bella
            e ha diciassette anni.
            So
            che va a vedere Roma,
            nella valigia
            la macchina fotografica.
            So
            che il padre di famiglia
            ha gli occhiali sessantadue anni
            un nipote a Bari
            e nella valigia
            "la cena per i suoi rondinini".
            So
            che stanno aspettando qualcosa
            e ridono
            e il treno ride
            e le valigie ridono
            e la democrazia
            nascosta sotto i binari
            come sempre
            ride.
            Bum.
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