Scritta da: Andrea Manfrè
in Poesie (Poesie d'Autore)
La morte non è l'ultima verità.
Ci appare nera come ci appare blu il cielo,
ma non annerisce la vita più di quanto
l'azzurro celeste sporchi le ali dell'uccello.
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La morte non è l'ultima verità.
Ci appare nera come ci appare blu il cielo,
ma non annerisce la vita più di quanto
l'azzurro celeste sporchi le ali dell'uccello.
La mattina è gonfia di tempesta
nel cuore dell'estate.
Come bianchi fazzoletti d'addio viaggiano le nubi,
il vento le scuote con le sue mani peregrine.
Cuore infinito del vento
che palpita sul nostro silenzio innamorato.
E ronza tra gli alberi, orchestrale e divino,
come una lingua piena di guerre e di canti.
Vento che rapina fulmineo le foglie secche
e devia le frecce palpitanti degli uccelli.
Vento che le travolge in onda senza spuma
e sostanza senza peso, e fuochi inclinati.
Si rompe e sommerge il suo volume di baci
combattuto sulla porta del vento dell'estate.
Come è forte il rumore dell'alba!
Fatto di cose più che di persone.
Lo precede talvolta un fischio breve,
una voce che lieta sfida il giorno.
Ma poi nella città tutto è sommerso.
E la mia stella è quella stella scialba
mia lenta morte senza disperazione.
Manicomio è parola assai più grande
delle oscure voragini del sogno,
eppur veniva qualche volta al tempo
filamento di azzurro o una canzone
lontana di usignolo o si schiudeva
la tua bocca mordendo nell'azzurro
la menzogna feroce della vita.
O una mano impietosa di malato
saliva piano sulla tua finestra
sillabando il tuo nome e finalmente
sciolto il numero immondo ritrovavi
tutta la serietà della tua vita.
Le sere d' autunno mi ricordano te
I boschi giacciono bui, il giorno si scolora
ai bordi dei colli in rosse aureole.
In un casolare vicino piange un bimbo.
Il vento se ne va a passi tardi
attraverso i tronchi a raccogliere le ultime foglie.
Poi sale, abituata ormai da lungo ai torbidi sguardi,
l'estranea solitaria falce di luna
con la sua mezza luce da terre sconosciute.
Se ne va fredda, indifferente, per il suo sentiero.
La sua luce avvolge il bosco, il canneto, lo stagno e il
sentiero
con pallido alone melanconico.
Anche d'inverno in notti senza luce
quando alle finestre vorticano danze di fiocchi
e il vento tempestoso, ho spesso l'impressione di
guardarti.
Il piano intona con forza ingannevole
e la tua profonda e cupa voce di contralto
mi parla al cuore. Tu la più crudele delle belle donne.
La mia mano afferra alle volte la lampada
e la sua luce tenue posa sulla larga parete.
Dalla antica cornice la tua immagine oscura guarda
mi conosce bene e mi sorride, stranamente.
Ma io ti bacio mani e capelli
e sussurro il tuo nome.
Nella notte d'inverno
galoppa un grande uomo bianco
galoppa un grande uomo bianco
è un omone di neve
ha una pipa di legno
un omaccio di neve
inseguito dal freddo
arriva in paese
arriva in paese
vedendo la luce
si sente sicuro
in una casetta
entra e non bussa
in una casetta
entra e non bussa
e per riscaldarsi
e per riscaldarsi
si siede sulla stufa arroventata
e d'improvviso ecco che scompare
e rimane solamente la sua pipa
proprio nel mezzo di una pozzanghera
e rimane solamente la sua pipa
e il suo vecchio cappello.
Alto rombano i secoli
Su rapidissim'ali,
E dall'aere giù vibrano
Dritti infiammati strali
Che additano agl'ingegni
D'eterna gloria i segni:
Ma qual nebbia! Qual livido
Umor spargon dai vanni
Che in fetida caligine
Attomban nomi ed anni,
E rodono quel serto
Che ombreggia un tenue merto!
O mio Poeta, o altissimo
Signor del sommo canto,
Che con sublime cetera
Per la casa del pianto
Girasti, e fra la gente,
Che o gioisce, o si pente,
Tu vivi eterno. - Gloria
Di suo fulgor ti cinse,
Tuonò sua voce; un fulmine
Fu per chi ti dipinse
Testor stentato, oscuro
Di carmi e stile impuro.
Pèra! La lingua sucida
Costui nutra nel sangue,
E per delfici lauri
Gli accerchi invece un angue,
Sanie stillante infesta,
L'abbominevol testa.
Dicesti: ed ecco stridono
In suon ringhiante e forte
Gli aspri tartarei cardini:
Della cappa di morte
Infino à più vestute
Ecco l'Ombre perdute.
Io già le ascolto: echeggiano
Per l'aer senza stelle
Batter di man, bestemmie,
Orribili favelle,
Voci alte e fioche, accenti
D'ire in dolor furenti.
O Padre! O Vate! Un giovane
Cui l'estro ai cieli innalza,
Che pel genio che l'agita
Fervidamente sbalza
A inerudita cetra
Canti spargendo all'etra,
A te si prostra: un'anima
Che in sè ognor si ravvolge,
Che in ermi boschi tacita
Fugge dall'atre bolge
Di cittadino tetto,
Gl'irraggia l'intelletto.
Di sapienza nettare
Fra mie voglie delibo,
E, meditante, ai spiriti
Porgo l'augusto cibo
Che questa etade impura,
Famelica, non cura.
Muta di luce eterea
Alle peccata in grembo
Fra cupo orror s'avvoltola
L'Umanità: il suo lembo
Spruzzi di sangue stilla,
Ed ella va in favilla.
Ma ira di giustizia
Lui che può ciò che vuole
Ruggisce in cielo, e scaglia
Di spavento parole;
Vennero i giorni alfine
Di piaghe e di ruine.
Vennero si; ma sorgere,
Giganteggiando, i nostri
Carmi vedransi, e liberi
Calpestare què mostri
Che tumidi d'orgoglio
Siedono ingiusti in soglio.
Roccia e sabbia e non acqua
Sabbia trapunta dai suoi passi
Senza numero fino all'orizzonte:
Era in fuga, e nessuno lo inseguiva.
Ghiaione trito e spento
Pietra rosa dal vento
Scissa dal gelo alterno,
Vento asciutto e non acqua.
Acqua niente per lui
Che solo d'acqua aveva bisogno,
Acqua per cancellare
Acqua feroce sogno
Acqua impossibile per rifarsi mondo.
Sole plumbeo senza raggi
Cielo e dune e non acqua
Acqua ironica finta dai miraggi
Acqua preziosa drenata in sudore
E in alto l'inaccesa acqua dei cirri.
Trovò il pozzo e discese,
Tuffò le mani e l'acqua si fece rossa.
Nessuno poté berne mai più.
Destandomi all'alba ho trovato la sua lettera.
Non so che dica, perché leggere non so.
Lascerò il savio, solo cò suoi libri, senza
turbarlo: chi sa mai s'egli possa leggervi dentro?
Io me la vò posare sulla fronte, io me
la vò premere sul cuore.
Quando la notte placida s'inoltr e sorgano
le stelle ad una ad una, io me la spiegherò
sul grembo, e rimarrò in silenzio.
Ad alta voce me la leggeranno stormendo le foglie,
me la intonerà la correntìa
del torrente, e le sette stelle veggenti me
la canteranno dal cielo.
Non riesco a trovare quel che cerco;
non posso comprendere ciò che sapere vorrei;
ma questo messaggio non letto mi ha già reso
più lieve ed ha cambiato in cantici i miei pensieri.
Tu mi domandi per sempre,
ma io non ho vita continua;
ti nutrirei di attimi soltanto.
Sono l'apparizione che dilegua,
e il tempo che intercorre fra due tappe
è una tregua a favore della morte.
Io vivo nello spazio di un amplesso:
tu stesso mi maturi senza accorgerti
sotto il tepore delle tue carezze...
Ma ti confesso, e credimi:
non c'è forma di donna che continui,
dentro di me, il rovescio dell'amante.