Abitavamo uno accanto all'altro, separati da una via, un muretto, una siepe. Ci scambiavamo le opinioni e gli auguri, ci prestavamo il sale e lo zucchero Quando nevicava spalavamo la neve insieme sul vialetto. Era tutto così naturale, vivere, lavorare, divertirsi. Come fratelli.
Poi la via diventò una strada, la siepe una barriera, il muretto una barricata Qualcuno rubò all'altro lo zucchero, qualcuno la terra, qualcuno la casa. Qualcuno rubo all'altro la vita e il furto diventò rapina e poi strage. Era tutto così naturale, odiare, sparare, uccidere. Non come fratelli.
Quando più nessuno aveva niente arrivarono soldati nuovi, soldati diversi Portavano divise diverse, avevano macchine diverse, parlavano lingue diverse Separarono le vie, tagliarono le siepi, demolirono i muretti, per noi e gli altri. Era tutto così naturale, accettare, sperare, dimenticare. Come fratelli.
E vedere cortei di uomini e donne seguire uno strano percorso. Salire dove prima erano scesi, scendere dove prima erano saliti. Riprendersi quello che avevano ceduto, lasciare quello che avevano preso Era tutto così naturale, vincere, perdere, vendicare. Non come fratelli
Adesso abitiamo uno accanto all'altro, separati da una via, un muretto, una siepe. Se finiamo lo zucchero restiamo senza dolce, se scende la neve il vialetto resta vuoto. È tutto così naturale, come un gruppo di eredi che si deve spartire il lascito Arriva il notaio, ognuno prende la sua parte e senza salutare se ne va. Come fratelli.
Calde, sensuali note di profumi d'oriente, toni speziati e tenui insieme, liberi nell'aria, tra colori di tende di seta e arazzi... traspare quel viso, velato dal lungo, scuro sari che il vento del deserto, arido e secco, stira sulla bruna pelle, decantando del tuo corpo, le forme, sinuose, celestiali, ed i tuoi occhi d'ebano, contrasto e armonia con l'universo intorno, s'io avessi avuto ali ne avrei fatto dono a te, angelo di un paradiso perduto, e ora spiccheremmo il volo; s'io avessi avuto petali di orchidee e passiflora, avrei ornato il tuo capo... ora già manca il velluto delle tue mani, che sinuose volteggiano quando discorri... già manca il tuo corpo, che flessuoso balla tra le musiche dei sitar e degli esraj, angelo del deserto, preziosa perla di giada, ascolta il mio grido lontano, che come una palla di fuoco squarcia il cielo ad occidente, e s'infrange su quella magica sabbia ai tuoi piedi, fra rose del deserto a me distanti, tra orme, che il vento celerà a nuovi, ignari viandanti.
Dolce nettare, d'ambrosia e d'idromele, profumato, bollente, questo è la tua bocca mentre sfiora la mia, vorace la invochi, leccandone la polpa, e suggelli in un istante il desiderio, la fame che ho di quell'essenza... l'essenza di te... nel buio arranco, cercando le tue mani, attento a non tradire l'ardire che mi turbina dentro, e che la violenta bramosia della tua carne t'inviterebbe a respingermi, eppure è una vampa dentro, e nasconderlo m'è arduo; potrei navigare i sette mari e varcare le soglie del tempo e camminare nel vuoto infinito, ma non privarmi del fulcro del mio essere, non orbarmi della perla dei miei occhi, diamante, non spogliarmi di te.
Rapiti sensi, date a questa bocca il fervore di raccontare di lei, del suo passaggio seppellito dalle onde, e di un pianoforte sulla sabbia, che penetrante scandiva quella musica immortale... racconta, mio cuore, lo sforzo di sostenere il suo sguardo, quando gli occhi di lei osservavano estasiandosi le armonie del mio battere e levare sull'ebano e l'avorio... rimembra, pensiero, dei giorni passati a tentar di replicare quei magici istanti e racconta la poesia degli occhi d'una donna, specchio di soave essenza. Se sei sogno fammi dormire in eterno, fulgida passione, se sei vita non impigrire i miei sensi, vivida enfasi, or fantasticavo... Le mie dita adesso calcano i caldi tasti, come allora, e il tramonto riflette l'ultimo bagliore sullo scorcio del mare calmo, eppure dei suoi passi sulla spiaggia non resta che lo spirito.
Pagine di storia sulla colla, fissata nei pensieri, e che vorrei lavar via appena sale l'ultimo alito di vento, eppure non ti muovi, e t'immergi nel morboso ricordo che mi angoscia e neutralizza; temo per questo cuore, che pavido e claustrale ancora spera e mi percuote, protetto nel suo misero guscio di carne e ossa... manchi a questi occhi, splendida, stupida creatura e forse ad ogni parte di me, ad ogni tessera di questo corpo e in ogni squarcio della mia vita, solitario volo, gabbiano su questo oceano di memorie in burrasca travisate le mie ali, che arrancano per sostenersi nel cielo, mentre le onde di questa tempesta s'infrangono dure sugli scogli della mia memoria.
Boccale, colmo di trattenute lacrime, amare come fiele, questo è ora il mio cuore... e sopportarlo è indegno... strano... osservarti mentre scomparivi e non carpire il tormento del vuoto nelle mie future notti, insonni, solitarie, come ombre senza memoria... come fantasmi tra lenzuoli al vento e le voci dei ricordi e del rimpianto, lasciate trasparire da una lacrima che si fa strada sulla guancia e muore sulle labbra... ora è l'amaro sulla bocca... quella stessa bocca che una volta aveva provato il miele. Ora è il ricordo ormai lontano di un sorriso con un volto sempre più alieno, sconosciuto... Non voltarti... guarda d'avanti a te, permettimi solo di sprecare ancora un momento per ricordarti, così come eri...
Parlami, sull'echeggiare di onde che cullano il mio lento, profondo respirarti, baciami, freddo Mistral, e scaglia la bianca schiuma di mare sull'arida scogliera... come trema l'erba, alle urla del vento, impetuoso, violento, sei così simile alla mia anima, fredda, incostante, incontenibile, nel suo vagabondare solitaria, assorta nell'infinita tempesta dei pensieri, troppo fugaci, repentini, eppur per un istante così chiari, pescatori e albatross si contendono l'ultima pesca prima di cercare l'effimero riparo forse è ora di rientrare... è bello ascoltarti mentre guardo alla finestra, e resto in ascolto, ammaliato, del prossimo ruggito di mare.
Misere e immobili giacciono sulla fredda terra le ultime vestigia di un consunto amore, spoglie di un gioco mortale, nemici in campi di battaglia, come pedine su di una pregiata scacchiera, fronteggiandoci invano, mentre l'odio e l'amore chiudevano la loro partita, senza vincitori, ne vinti... ora, solo i freddi corpi... affonda una volta ancora la tua lama nella piaga, e fremi alla vista del mio caldo sangue, fluido vitale, che sento, m'abbandona fluido mortale, per te che te ne nutri; trascinami giù con te verso l'abisso, e mentre il sole a oriente spegne la notte, spegni quest'ultima speme, che fioca ancora brilla dentro noi; soffia su quel petalo caduto e spazzalo lontano da te, illudiamoci per l'ultimo, impalpabile istante, e uccidiamo una volta per tutte questo guasto amore, vorticando nell'inferno, in un inutile, stupido romanticidio.
Resta con me, quando la notte affoga la mente nel letargico torpore di un sonno senza sogni, e col latrato dei lupi nella fitta foresta vacilla l'ultimo barlume della ragione;
stringiti a me, come se un uragano che nasce dovesse portarmi via, e avvolgiti con me, in un vortice di ardite passioni che travolge in un brutale coito anche l'ultimo degli annebbiati sensi;
senti con me, come è dolce sprofondare nell'intensità del momento, quando due amanti diventano una cosa sola, ed effluvi animali imbastiscono l'aria; il piacere carnale diventa dolore, e il dolore piacere, e poi orgasmo, e poi dissolvenza dell'estasi;
resta con me, quando i primi colori dell'aurora fanno l'amore con la notte, e il silenzio è rotto soltanto dai grilli e dal respiro affannato di due impetuosi amanti;
rendi imperitura la magia del fugace istante, pelle di seta, ascolta il mistico suono del silenzio intorno e dentro di te, poi accosta il tuo viso sul mio petto e dormi sul tambureggiare del mio cuore.
E c'era la notte, e c'erano le stelle e poi c'eri tu, brillavi tra le belle posta al mio fianco, da un benevolo destino che il cuore mio impazziva, quando eri li vicino quando poi ci siam divisi, quando poi andasti via ti sei portata dietro quei momenti di magia mi hai lasciato la, senza fama e senza gloria ed ora mi è impossibile tradirne la memoria...
che storia...
e c'era il mare e c'erano le onde, grido un nome e solo l'eco mi risponde, guardo sempre nel profondo del passato, dove trovo solo il cuore mio malato, gravito da solo, satellite di niente, luna di una stella che ormai è un pianeta... trasparente.