Scritta da: Violetta Serreli
in Poesie (Poesie personali)
L'amore, per me,
è il mio mondo illuminato
dal tuo sguardo.
Composta giovedì 31 dicembre 2009
L'amore, per me,
è il mio mondo illuminato
dal tuo sguardo.
Anche questo giorno passerà.
Domani
sarà diverso.
Questo vuoto,
agonia di un amore disperato,
si riempirà
di nuovi sogni.
Spegnerò il cuore
guarderò solo avanti
m'attaccherò alla vita
con la disperazione
che solo il dolore ti dà.
Si può morire
anche vivendo.
Sei cresciuta troppo in fretta
ma sei ancora una ragazzina...
È bastato così poco
per farti sentir grande,
per farti sentir donna!
Fino a ieri giocavi con le bambole,
adesso giochi con i maliziosi sguardi
degli amichetti di te un po' più grandi.
Provi bellissime nuove emozioni,
ma non correre...
Non correre incontro all'amore!
Fermati, aspettalo!
È ancora lontano!
Lascia che venga da te...
Non fantasticare i desideri di un'adulta.
Vivi la tua vita, ma continua a sognare
con gli occhi e i sentimenti
di una ingenua fanciulla...
Continua a giocare con le bambole,
c'è tempo per l'amore...
Godi la tua età, i giorni non ritornano.
Quando sentirai la nostalgia
di quello che hai lasciato,
potrai solo viverlo nei tuoi sogni
e nei giochi innocenti di una ragazzina...
Sentirsi mamma
Qualcosa si muove in grembo...
Pulsazioni e sospiri.
Gioie e batticuori.
Timori e trepidazioni...
Una creatura che si forma,
una creatura che vive,
una creatura che cresce...
Dolce attesa...
Giorni brevi,
giorni lunghi...
Arriva l'evento: È nato!
Immensa gioia!
Luce ed allegria degli occhi
di mamma e papà...
Là, nell'angolo più bello
dell'orto del mio ostello,
sprigionata da una rosa
che profuma ogni cosa
un odore inebriante
da più tempo è vagante.
Son'ott'anni ch'è costante
e non cede mai un istante.
Al pari del suo odore
è perenne pur l'ardore
e così m'ha preso il cuore
che ridonda pel suo amore.
Tanti beni ho al cospetto
e a ciascuno don'affetto;
notte e dì, però, al mio petto
uno solo ne tengo stretto.
È quel fiore inebriante
che rubato m'ha cuore e mente,
mai potrà esserm'assente:
Morirebbero cuore e mente.
Questa Rosa bella e fresca
porta il nome di Francesca.
Mai nulla saprete della mia vita
che muta lascerà questa valle
per non turbar gli animi che la amarono.
Il male la spolpa piano piano...
Non di continuo, no... Ma la lacera
profondamente lasciando sgorgar
dalle ferite tutto il bello che vi è.
Quando poi il Male, lascia gli artigli a riposar,
ella lecca le ferite per tentar di ricucir
i fil strappati di felicità.
Inutile, bella mia. La felicità non ritorna.
Partorirai un nuovo dolore ancora.
Piccoli figli di cui nessuno sarà memore.
Li accudirai da sola, isolata dal mondo,
li su, guardando questa valle decadere
sotto grossi macigni opachi
di sogni spezzati.
E rincorro pezzi di cielo fatti di te
e quanto invidio le nuvole che
possono il tuo volto accarezzar;
e quanto invidio gli uccelli che
posson il tuo volto baciar.
Già tanto quanto invidio le stelle che
posson, quando hai paura,
regalarti la luce;
Tanto quanto invidio la luna che
può seguirti nel tuo cammino
alleviandoti i dolori.
Mentre io sol da qui ti posso ammirar,
senza speranza di poterti amar,
ma posso sol raccoglier e baciar le tue lacrime
quando il tuo ferito cuore piange e
la pioggia amara cade.
A volte, mi sento un'albero in mezzo al deserto
che attende solo d'essere bagnato
da improbabili gocce d'acqua.
A volte, sembra che tutto mi sia concesso
e non possa chiedere altro
per completare questa mia esistenza.
Quest'oggi il nervosismo è culminato,
per questo ogni fatica ho trascurato,
dopo avere girovagato alquanto
entro deluso nella stanza accanto.
Quel che quest'anno qui è capitato
è avvenimento che va raccontato
alfin che sappia chi ci ruota intorno
della confusion che regna e del frastorno.
Abbia pietà di nuova circostanza
e prenda dell'ambiente nuova coscienza
onde non abbia lui ad adirarsi
e non costringa altri a morsicarsi.
Approda, cheto cheto, a dirigenza
uomo discreto dai capelli senza;
non un mugugno mai, non una lagna,
convive la miseria e si rassegna.
Al contrario, però, vive quest'io
che pur con nostalgia, fuori d'astio
mi contorcio, mugugno e pur mi lagno
tanto che cancrena l'ho financo in sogno.
Guardo, lì, seduta a tavolino
donna vestita d'abito di lino
che al posto ci cercare d'operare
dilettasi sulla sedia a dondolare.
Lumacone somiglia a movimenti:
Lenta nel fare, lenta in spostamenti.
Con il lavoro pare ci si culla,
a fine giorno non conclude nulla.
Delle tante disgrazie è la più magna
che capitata m'è tra nuca e collo,
meglio se fosse assente alla bisogna
ch'è personaggio di corto cervello.
L'è di coronamento buon compagno
che in tela incagliato pare sia di ragno.
Prende, pone, riprende e poi ripone,
s'arrovella, si strugge e non compone.
Dai gesti, dal parlar, dal comportare
i due al mio cervello fanno pensare:
Bisognerebbe metterli in struttura
ove potere offrir sicura cura.
Stanco di permanenza in sì squallido
loco mestamente m'avvio allo stanzone
donde mi par proviene una canzone;
accanto alla finestra è uomo gelido
che al collo cinghia tiene penzoloni
mentre reggesi con mano i pantaloni.
M'accosto, al saluto mio risponde:
Hai visto al monte che bell'alte onde?
Brillano gli occhi, tremano le mani;
presto men vò dicendo: Addio, a domani.
Nel corridoio restano tre, in crocchio,
che prima mai incontrato avea mio occhio.
L'uno in altezza supera la norma
e dall'aspetto parmi non sia in forma.
Mi dà conferma, di mia impressione,
al mio saluto, la truce espressione.
Dei rimanenti due uno s'inchina,
l'altro lancia coriandoli e farina.
In aria li sparpaglia e volan via
mentre gl'astanti invocano Maria.
Sbigottito del far di quei signori
accedo alla sala di lettura
ove di doglianza carca e malumori
trovo persona di scarsa cultura.
In serbo tiene solo sconoscenza,
superbia, arroganza ed indignanza **
d'intemperanza tien comportamento
e mostra di suo volto abbrutimento.
Delle manchevolezze mie non dico:
Quello che faccio spesso lo modifico.
Dico soltanto che non son quel ch'ero,
mi scordo quel ch'ò detto e se pur c'ero.
Arricchito di sì tant'indigenza
lesto men torno all'usuale permanenza
convinto che l'ambiente mio disabile
è, comunque, degli altri il più agibile.
Frutto di un emerito cretino
circola per le vie un volantino;
scritto l'ha con mano malandrina
persona disgraziata, burattina.
Verme strisciante, misera carogna
l'essere tuo è tutto una vergogna;
sei un vile mascalzone puzzolento,
essere abietto, indegno e virulento.
Mente maligna, produttor di male
la lordura scritta, dimmi, a cosa vale?
Il profano al divino hai mescolato
per questo, farabutto, sarai schiacciato.
Mente malata, instabile e corrotta
l'opera infame segna la tua condotta;
peggio di Giuda sei e di Caino
impiccati, bastardo, sei un assassino.
Di giovani hai violato i sentimenti,
perché non hai attaccato altri elementi?
Rispondi, lestofante, vieni avanti
mostra tua faccia, i toni tuoi arroganti:
Aguzzino, miscredente, delinquente
degno non sei di stare tra la gente
giacché rifuggi dal civil confronto
e dell'anonimato tieni conto.
Vergognati! Anima vile di peggiore
specie, bestia feroce, trafiggitor di cuore,
al posto delle mani hai degli artigli
dimmi, carogna, tu ne hai di figli?
Hai conosciuto mai dei sentimenti?
Sai dirmi quanto sono sublimanti?
O rettile sei nato tu strisciante
ed odio alberghi per la buona gente?
Hai segnalato del Vangel dei versi
ma quei tuoi scritti ad esso son'inversi:
Hai giudicato senz'alcun diritto
possa in eterno piangere il tuo scritto.