Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Federico
in Poesie (Poesie d'Autore)
Afferro le sue mani
e la stringo al mio petto.
Tento di riempire le mie braccia
della sua bellezza,
di depredare con i baci
il suo dolce sorriso,
di bere i suoi bruni sguardi
con i miei occhi.
Ma dov'è?
Chi può spremere l'azzurro dal cielo?
Cerco di afferrare la bellezza;
essa mi elude
lasciando soltanto il corpo
nelle mie mani.
Stanco e frustrato mi ritraggo.
Come può il corpo toccare
il fiore che soltanto
lo spirito riesce a sfiorare?
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    in Poesie (Poesie d'Autore)
    Quando quaranta inverni assedieranno la tua fronte
    e profonde trincee solcheranno il campo della tua bellezza,
    l'orgoglioso manto della gioventù, ora ammirato,
    sarà a brandelli, tenuto in nessun conto.
    Allora, se richiesto dove la tua bellezza giace,
    dove il tesoro dei tuoi gagliardi giorni,
    rispondere ch'essi s'adagiano infossati nei tuoi occhi
    per te vergogna bruciante sarebbe e ridicolo vanto.
    Quanta più lode meriterebbe la tua bellezza,
    se tu potessi replicare: "Questo mio bel bambino
    pareggia il conto e fa perdonare il passare degli anni",
    dando prova che la sua bellezza da te fu data.
    Sarebbe questo un sentirsi giovane quando sei vecchio,
    mirare il tuo sangue caldo quand'esso nelle tue vene è freddo.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Il Cavallino

      O bel clivo fiorito Cavallino
      ch'io varcai cò leggiadri eguali a schiera
      al mio bel tempo; chi sa dir se l'era
      d'olmo la tua parlante ombra o di pino?
      Era busso ricciuto o biancospino,
      da cui dorata trasparia la sera?
      C'è un campanile tra una selva nera,
      che canta, bianco, l'inno mattutino?
      Non so: ché quando a te s'appressa il vano
      desìo, per entro il cielo fuggitivo
      te vedo incerta vision fluire.
      So ch'or sembri il paese allor lontano
      lontano, che dal tuo fiorito clivo
      io rimirai nel limpido avvenire.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Forse un mattino

        Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
        arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
        il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
        di me, con un terrore da ubriaco.

        Poi, come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
        alberi, case, colli per l'inganno consueto.
        Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
        tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Desolazione del povero poeta sentimentale

          Perché tu mi dici: poeta?
          Io non sono un poeta.
          Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
          Vedi: non ha che le lagrime da offrire al Silenzio.
          Perché tu mi dici: poeta?
          Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
          Le mie gioie furono semplici,
          sempilci così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei.
          Oggi io penso a morire.
          Io voglio morire, solamente perché sono stanco;
          solamente perché i grandi angioli
          su le vetrate delle cattedrali
          mi fanno tremare d'amore e di angoscia;
          solamente perché, io sono, oramai,
          rassegnato come uno specchio,
          come un povero specchio melanconico.
          Vedi che io non sono un poeta:
          sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.
          Oh, non meravigliarti della mia tristezza!
          E non domandarmi;
          io non saprei dirti che parole così vane,
          Dio mio così vane,
          che mi verrebbe da piangere come se fossi per morire.
          Le mie lagrime avrebbero l'aria
          di sgranare un rosario di tristezza
          davanti alla mia anima sette volte dolente
          ma io non sarei un poeta;
          sarei semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo
          cui avvenisse di pregare, così, come canta e come dorme.
          Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù.
          E i sacerdoti del silenzio sono i romori,
          poiché senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio.
          Questa notte ho dormito con le mani in croce.
          Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo
          dimenticato da tutti gli umani,
          povera tenera preda del primo venuto;
          e desiderai di essere venduto,
          di essere battuto
          di essere costretto a digiunare
          per potermi mettere a piangere tutto tutto solo,
          disperatamente triste,
          in un angolo oscuro.
          Io amo la vita semolice delle cose.
          Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco,
          per ogni cosa che se ne andava!
          Ma tu non mi comprendi e sorridi.
          E pensi che io sia malato.
          Oh, io sono veramente malato!
          E muoio, un poco, ogni giorno.
          Vedi: come le cose.
          Non sono, dunque, un poeta:
          io so che per esser detto: poeta, conviene
          viver ben altra vita!
          Io non so, Dio mio, che morire.
          Amen.
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            Scritta da: Diego P.
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Parata dionisiaca

            Il sontuoso carro di Dioniso,
            Ricolmo di fiori e ghirlande,
            Avanza lento, trainato
            Da feroci bestie ammansite.
            È un percorso che irradia
            Magia: crollano le barriere,
            Si annullano i bisogni,
            Svaporano divieti e arbitrii.
            Riconciliazione, fusione,
            Riunione del singolo
            Con tutti in un'armonia
            Universale: ecco la suprema
            Beatificazione, l'ebbrezza
            Soprannaturale. Non camminiamo
            Più, né più parliamo:
            Cantiamo e danziamo invasati
            Simili a dèi rapiti, artisti
            Dionisiaci dell'ebbrezza.
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              Scritta da: prosdocimo
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Come potrei

              Come potrei trattenerla in me,
              la mia anima, che la tua non sfiori;
              come levarla oltre te, all'infinito?
              Potessi nasconderla in un angolo
              sperduto nelle tenebre;
              un estraneo rifugio silenzioso
              che non seguiti a vibrare
              se vibra il tuo profondo.
              Ma tutto quello che ci tocca, te
              e me insieme
              ci tende come un arco
              che da due corde un suono solo rende
              Su quale strumento siamo tesi,
              e quale grande musicista ci tiene nella mano?
              O dolce canto.
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                Scritta da: Gloria Levrini
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                La tigre

                Tigre! Tigre! Divampante fulgore
                Nelle foreste della notte,
                Quale fu l'immortale mano o l'occhio
                Ch'ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria?

                In quali abissi o in quali cieli
                Accese il fuoco dei tuoi occhi?
                Sopra quali ali osa slanciarsi?
                E quale mano afferra il fuoco?
                Quali spalle, quale arte
                Poté torcerti i tendini del cuore?
                E quando il tuo cuore ebbe il primo palpito,
                Quale tremenda mano? Quale tremendo piede?

                Quale mazza e quale catena?
                Il tuo cervello fu in quale fornace?
                E quale incudine?
                Quale morsa robusta osò serrarne i terrori funesti?

                Mentre gli astri perdevano le lance tirandole alla terra
                e il paradiso empivano di pianti?
                Fu nel sorriso che ebbe osservando compiuto il suo lavoro,
                Chi l'Agnello creò, creò anche te?

                Tigre! Tigre! Divampante fulgore
                Nelle foreste della notte,
                Quale mano, quale immortale spia
                Osa formare la tua agghiacciante simmetria?
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                  Scritta da: Ayesha
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  Svevo aveva ragione

                  Svevo aveva ragione
                  Fuori dalla penna non c'è salvezza
                  diceva Svevo
                  e io m'accorgo
                  c'aveva ragione
                  se questa è l'unica maniera
                  che m'è rimasta di vivere
                  ben venga tale splendore
                  ornato di pezzi di carta
                  e parole venute dal cuore,
                  un cuore di plastica
                  che scioglie al sole,
                  auto combustibile
                  e pieno di vapore -
                  costretto a evaporare
                  senza alcun pudore,
                  lasciare il mondo
                  cacciato dall'amore.

                  Svevo aveva ragione
                  che quando scrivo
                  sento vita fluire
                  nient'altro in questo paradiso
                  mi allieta al punto da dire
                  che vi sia qualcosa di meglio
                  di migliaia di pagine da riempire,
                  con svaghi di realtà e di orrore
                  che paion fantasia
                  all'occhi del lettore
                  e che in verità
                  son più reali
                  di qualsiasi attore
                  che impara a memoria un copione
                  per compensare un vuoto interiore.

                  Siamo attori di noi stessi
                  e ci perdiamo tra i riflessi
                  di una falsa ambizione
                  costruita sulla notte
                  e se mi chiami per nome
                  allora posso dire
                  che mi è concesso l'onore
                  di portare vibrazione
                  un vuoto d'emozione
                  che parla più del sole
                  un'assenza, una canzone
                  una presenza priva di parole.

                  Svevo aveva ragione
                  non c'è salvezza senza penna
                  senza un cuore lacerato
                  che si apra alla vita
                  e le faccia da antenna.
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