Non mi accorsi del momento in cui varcai per la prima volta la soglia di questa vita Quale fu la potenza che mi schiuse in questo vasto mistero come sboccia un fiore in una foresta a mezzanotte? Quando al mattino guardai la luce, subito sentii che non ero uno straniero in questo mondo, che l'inscrutabile, senza nome e forma mi aveva preso tra le sue braccia sotto l'aspetto di mia madre. Così, nella morte, lo stesso sconosciuto m'apparirà come sempre a me noto. e poiché amo questa vita so che amerò anche in morte.
Come crepiti nelle mie mani. Da quando ti ho conosciuto ho perso i valori estremi della vita. Sai quanto pesa una carezza? Sai cosa sono le mani? Sono uccelli che cercano orizzonti, sono uccelli che cercano pace, sono le mani dell'intelligenza e della ritrosia, sono il pane quotidiano degli angeli, sono le ali che cercano refrigerio. Il tuo volto è un nido d'aria attraverso il quale io trovo il mio nulla.
In te sono stato albume, uovo, pesce, le ere sconfinate della terra ho attraversato nella tua placenta, fuori di te sono contato a giorni.
In te sono passato da cellula a scheletro un milione di volte mi sono ingrandito, fuori di te l'accrescimento è stato immensamente meno. Sono sgusciato dalla tua pienezza senza lasciarti vuota perché il vuoto l'ho portato con me.
Sono venuto nudo, mi hai coperto così ho imparato nudità e pudore il latte e la sua assenza. Mi hai messo in bocca tutte le parole a cucchiaini, tranne una: mamma. Quella l'inventa il figlio sbattendo le due labbra quella l'insegna il figlio. Da te ho preso le voci del mio luogo, le canzoni, le ingiurie, gli scongiuri, da te ho ascoltato il primo libro dietro la febbre della scarlattina. Ti ho dato aiuto a vomitare, a friggere le pizze, a scrivere una lettera, ad accendere un fuoco, a finire le parole crociate, ti ho versato il vino e ho macchiato la tavola, non ti ho messo un nipote sulle gambe non ti ho fatto bussare a una prigione non ancora, da te ho imparato il lutto e l'ora di finirlo, a tuo padre somiglio, a tuo fratello, non sono stato figlio. Da te ho preso gli occhi chiari Non il loro peso a te ho nascosto tutto. Ho promesso di bruciare il tuo corpo di non darlo alla terra. Ti darò al fuoco fratello vulcano che ci orientava il sonno. Ti spargerò nell'aria dopo l'acquazzone all'ora dell'arcobaleno che ti faceva spalancare gli occhi.
Allora una donna disse: Parlaci della Gioia e del Dolore. E lui rispose: La vostra gioia è il vostro dolore senza maschera, E il pozzo da cui scaturisce il vostro riso, è stato sovente colmo di lacrime. E come può essere altrimenti? Quanto più a fondo vi scava il dolore, tanta più gioia potrete contenere. La coppa che contiene il vostro vino non è forse la stessa bruciata nel forno del vasaio? E il liuto che rasserena il vostro spirito non è forse lo stesso legno scavato dal coltello? Quando siete felici, guardate nel fondo del vostro cuore e scoprirete che è proprio ciò che vi ha dato dolore a darvi ora gioia. E quando siete tristi, guardate ancora nel vostro cuore e saprete di piangere per ciò che ieri è stato il vostro godimento. Alcuni di voi dicono: "La gioia è più grande del dolore", e altri dicono: "No, è più grande il dolore". Ma io vi dico che sono inseparabili. Giungono insieme, e se l'una siede con voi alla vostra mensa, ricordate che l'altro è addormentato nel vostro letto.
In verità voi siete bilance che oscillano tra il dolore e la gioia. Soltanto quando siete vuoti, siete equilibrati e saldi. Come quando il tesoriere vi solleva per pesare oro e argento, così la vostra gioia e il vostro dolore dovranno sollevarsi oppure ricadere.
Darei valore alle cose non per quello che valgono ma per quello che significano.
Dormirei poco, sognerei di più.
So che per ogni minuto che chiudiamo gli occhi perdiamo 60 secondi di luce di cioccolata.
Se Dio mi concedesse un brandello di vita, vestito con abiti semplici, mi sdraierei, al sole e lascerei a nudo non solo il mio corpo ma anche la mia anima.
Dio mio, se avessi cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio e aspetterei che si alzasse il sole.
Dipingerei le stelle con un sogno di Van Gogh. con un poema di Benedetti, una canzone di Serrat sarebbe la mia serenata alla luna.
Bagnerei con le mie lacrime le rose per sentire il dolore delle spine ed il bacio vermiglio dei petali.
Dio mio, se io avessi ancora un brandello di vita non lascerei passare un solo giorno senza dire alla gente che io amo, io amo la gente.
Convincerei ogni uomo ed ogni donna che sono i miei favoriti e vivrei innamorato dell'amore.
E dimostrerei agli uomini quanto sbagliano quando pensano di smettere di innamorarsi quando invecchiano senza sapere che invecchiano quando smettono di innamorarsi.
Darei ad ogni bambino le ali ma lo lascerei imparare, da solo, a volare.
Ai vecchi insegnerei che la morte non arriva con la vecchiaia ma con l'oblio.
Ho imparato molte cose da voi, dagli uomini... Ho imparato che tutti, al mondo, vogliono vivere in cima alla montagna senza sapere che la vera felicità sta in come si sale la china.
Ho imparato che quando un neonato afferra, per la prima volta, con il suo piccolo pugno, il dito di suo padre, lo terrà prigioniero per sempre.
Ho imparato che un uomo ha diritto di guardare un altro uomo dall'alto verso il basso solo quando lo aiuta a rialzarsi.
Sono tante le cose che ho potuto imparare da voi ma non mi serviranno davvero più a molto perché quando guarderanno in questa mia valigia, infelicemente io starò morendo.
Parole? Sì, di aria e nell'aria perdute. Tu lascia che mi perda tra parole, lasciami essere aria su labbra, un soffio vagabondo senza sagoma, breve aroma che l'aria fa svenire.
Chiedo scusa al caso se lo chiamo necessità. Chiedo scusa alla necessità se tuttavia mi sbaglio. Non si arrabbi la felicità se la prendo per mia. Mi perdonino i morti se ardono appena nella mia memoria. Chiedo scusa al tempo per tutto il mondo che mi sfugge a ogni istante. Chiedo scusa al vecchio amore se do la precedenza al nuovo. Perdonatemi, guerre lontane, se porto fiori a casa. Perdonatemi, ferite aperte, se mi pungo un dito. Chiedo scusa a chi grida dagli abissi per il disco col minuetto. Chiedo scusa alla gente nelle stazioni se dormo alle cinque del mattino. Perdonami, speranza braccata, se a volte rido. Perdonatemi, deserti, se non corro con un cucchiaio d'acqua. E tu, falcone, da anni lo stesso, nella stessa gabbia, immobile con lo sguardo fisso sempre nello stesso punto, assolvimi, anche se tu fossi un uccello impagliato. Chiedo scusa all'albero abbattuto per le quattro gambe del tavolo. Chiedo scusa alle grandi domande per le piccole risposte. Verità, non prestarmi troppa attenzione. Serietà, sii magnanima con me. Sopporta, mistero dell'esistenza, se strappo fili dal tuo strascico. Non accusarmi, anima, se ti possiedo di rado. Chiedo scusa al tutto se non posso essere ovunque. Chiedo scusa a tutti se non so essere ognuno e ognuna. So che finché vivo niente mi giustifica, perché io stessa mi sono d'ostacolo. Non avermene, lingua, se prendo in prestito parole patetiche, e poi fatico per farle sembrare leggere.