Poesie


Scritta da: Sabina Patruno

Dentro ad una data

Ci sono anni che segnano in eterno,
Anni in cui ci sono date che diventano
tatuaggi dentro di noi.
Per noi quattro
è stato il 2015.
Anno in cui abbiamo affrontato noi figli
il dolore del passaporto per il cielo di...
Il loro saluto ha portato il nostro inizio,
Fato / destino... e chi lo sa.
Il nostro incontrarci avvolto da una persona in comune,
che senza ma,
e senza chiederci
ci ha unito intorno ad un tavolo.
La vita proietta percorsi che nessuno sa
ma...
che invoca direzioni,
pronunciandosi silenziosamente sottovoce:
"strada facendo... vedrai".
Composta giovedì 10 aprile 2025
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    Io ti perdonerò

    Dentro al tuo caldo ventre
    sentivo le tue carezze sul mio corpo
    Per nove mesi aspettai di vedere
    il tuo dolce viso,
    di poter un giorno chiamarti mamma
    e vivere accanto a fino a vedere
    la tua testa bianca.
    Ma tutto questo non fu mai possibile,
    perché mi gettasti in un buoi cassonetto
    dove la luce mai più rivedrò.
    La dove i miei sogni svanirono.
    Perché l'hai fatto? Perché non mi hai voluto?
    Io ti avrei amato contro tutto e contro tutti.
    Ora ritornerò dov'ero prima che gli occhi
    miei si aprissero al fato.
    E ti perdonerò per non avermi amato.
    Composta venerdì 13 giugno 2025
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      A fronte di te...

      A fronte di te...

      Ti ho scritto una poesia, così improvviso,
      Per i tuoi occhi profondi sciolti nel miele;
      Tu mi hai rubato l'anima, con il tuo sorriso,
      E mi hai fatto volare lontano, tra le stelle...

      Che affezione, come eravamo conosciuti!
      (Parlavano i raggi degli occhi confrontati)
      Ma, quando i poeti rimangono, così muti,
      Parlano con se stessi e sembrano matti...
      Composta sabato 19 maggio 2018
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Il tuo profumo nei muri

        Sono passati sei anni,
        o forse un secolo
        o forse di più
        il mio corpo non lo sa dire,
        ma le ossa sentono
        ogni tua mancanza come inverno.

        I rumori del silenzio rimbombano
        come frecce avvelenate,
        piantate dritte nel cuore.
        nessuno le vede
        ma sanguino ancora piano.

        Non c'è angolo che non ti porti,
        una riga nel muro
        è un segno della tua schiena,
        la casa ti tiene nascosto
        dove io non posso toccarti.
        Ogni giorno è un'eco del primo,
        quello senza il tuo fiato
        ho imparato a respirare da sola
        lo facevo già da un po'
        ma è un'aria diversa,
        più dura, più fredda.

        Scrivo il tuo nome sulle stoviglie,
        lo sbuccio dalla frutta,
        lo piego nelle lenzuola,
        lo verso nel caffè del mattino,
        TU resti, nel modo in cui manchi.

        Ora sei tempo,
        ma non passato
        sei voce senza suono
        che mi parla nel petto
        quando tutti credono che stia zitta.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Una solitudine con le palle...

          Non cerco qualcuno che riempia la stanza.
          Cerco chi sappia restarci dentro, anche vuota.
          Ho visto troppi sorrisi appoggiati come posacenere su tavoli già sporchi.

          La mia solitudine, invece, ha odore d'incenso e di vino vecchio.
          Mi ci siedo accanto come a una sorella stanca che non parla più,
          ma guarda.

          Non voglio chi scappa dal silenzio,
          voglio chi ci muore dentro,
          e poi rinasce senza fare rumore.
          Le mezze presenze mi hanno lasciato intere ferite.

          Non ho più posto per chi ha paura di guardarmi dove non sorrido.
          Ho dismesso i compromessi,
          ho buttato le parole corte,
          quelle che si dicono solo per non restare soli.
          Preferisco la fame.

          E se mai qualcuno verrà,
          lo capirò dal modo in cui non chiederà niente,
          dal modo in cui saprà stare zitto con me,
          mentre il mondo là fuori bussa coi pugni.

          Allora aprirò.
          O forse no.
          Forse resterò con la mia solitudine,
          che almeno, non mente mai.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Memorie di una notte infinita (friuli, 6 maggio 1976)

            La terra si sventrò nel buio
            scosse le sue vene di pietra
            rovesciò il sonno degli uomini
            inghiottì case e campanili
            strappò le mani dai campi
            spense il canto delle madri.

            Eri forte, Friuli,
            di legno e sudore,
            di grano e silenzio,
            eri il pane sulla tavola,
            il profumo della vigna,
            il passo sicuro del contadino.

            Ma venne la notte,
            quella senza stelle,
            quella che frantuma i nomi,
            che lascia l'amore sotto le macerie
            e semina lamenti tra le valli.

            Ti cercarono, Friuli,
            nelle pieghe della polvere,
            nelle mani spezzate,
            nelle croci piantate in fretta
            sul cuore ancora caldo della terra.

            Eppure, dalle crepe del dolore
            spuntò la tua voce di pietra,
            il tuo passo saldo tornò alla strada,
            la tua gente si fece argilla e fuoco,
            mani ruvide a ricostruire il giorno.

            Oggi cammini, Friuli, a testa alta
            ma nei tuoi borghi rinati,
            tra le vigne e la gratitudine,
            ancora il vento racconta
            di madri, padri e figli disperati
            di chi non vide l'alba
            ma lasciò il suo respiro
            impastato nella tua terra.

            -© Silvana Stremiz-.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Cose che impari all'ora blu...

              C'è un'ora in cui il sole si inginocchia,
              non per morire,
              ma per ricordarmi che anche la luce
              ha bisogno del buio per sentirsi vera.

              IO, in quell'istante,
              non sono madre, non sono figlia,
              non sono l'amante che hanno perso o tenuto.
              Sono donna che resta,
              anche quando il mondo se ne va.
              Ho avuto giorni che mi hanno lasciata nuda,
              con le mani sporche di sogni
              e i piedi feriti da tutte le partenze.
              Ma non mi sono mai tolta la pelle
              per piacere a chi non sapeva toccare.
              Sono stata dolce fino a scorticarmi.

              Poi un giorno, ho capito:
              la dolcezza non è silenzio.
              È forza che sceglie di non mordere.
              Adesso mi guardo,
              nella luce che scivola sul mare
              come una verità che non ha più paura.

              E mi piaccio.
              Con le rughe dell'anima,
              con la voce sbucciata dalle parole rimaste dentro,
              con i sogni che sanno aspettare.
              Perché io non sono solo quella che resiste,
              sono quella che arde.

              Non chiedo più permesso al mondo
              per nascere ogni volta che tramonto.
              Domani verrà,
              con l'alba che ha il mio nome inciso
              sulla pelle del tempo.

              IO sono mia.
              Non serve altro.
              Neanche saperlo dire meglio.
              - @Silvana Stremiz-.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                Siete cresciuti...
                Senza chiedere permesso.
                Avete allungato le gambe,
                rotto i giocattoli,
                smesso di chiamarmi piano nel cuore della notte.

                Un giorno,
                senza suono,
                è arrivata l'ultima favola.
                E io ho continuato a leggerla,
                anche se vi eravate già addormentati altrove.

                Le vostre mani,
                che cercavano la mia come rifugio,
                ora stringono il mondo
                come se non aveste mai avuto paura.
                Ma io me le ricordo tutte le paure.

                E le febbri.
                E le ginocchia sbucciate.
                E quella fame di vita
                che si curava solo con un bacio sulla fronte.
                Ho conservato i vostri "mamma"
                come reliquie dentro al petto,
                e anche se ora li dite più di rado,
                li sento ancora
                nelle stanze che avete lasciato vuote,
                piene di memoria.

                Mi mancate anche quando ci siete.
                Perché siete diventati altro.
                Siete diventati ciò che dovevate essere,
                ma non più il mio grembo,
                non più il mio braccio,
                non più le mie ginocchia come trono.
                Eppure vi amo come allora.

                Con lo stesso tremore,
                con la stessa voce che vi sussurrava di dormire
                mentre fuori il vento portava via le stagioni.
                Siete cresciuti...

                E io,
                senza che ve ne accorgeste,
                sono rimasta lì
                a raccogliere le ultime nuvole,
                a piegare i vostri anni nei cassetti del cuore,
                come si piegano le magliette che non vanno più.

                E vi aspetto.
                Non per tornare bambini,
                ma per tornare a casa.
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