Scritta da: Silvana Stremiz
A un gabbiano sulla scogliera
Quante spiagge sfiorano assenti
i tuoi passi più fragili della rena
nei mattini ancora ebbri di sensazioni
e delle braci di qualche tardivo falò
nelle lunghe estati chiassose...

chi le conta più?

Giocoso gabbiano colore del sale
tu rammenti tutte queste feste pazze
le lunghe danze le onde placide
che van domando le melodie
i tuoi occhi a sognare da lontano...

un giorno speciale.

Quante volte sei scappato lassù al faro
che da tanti anni ti dà rifugio
spalancando lo sguardo a quei racconti
intrisi d'acque chiare e terre magiche
che i tuoi amici hanno sorvolato...

ed intanto sogni.

Sogni di trovare l'isola meravigliosa
che ti attende oltre il litorale natio
la intravedi nello splendore dell'alba
mentre assapori sulla battigia
la mistura di scrosci e di silenzi...

il blu dei mari ascoltati.

I pensieri sorpassano il tempo
e tu allora voli verso la scogliera
lungo quel filo di vaga angoscia
che già lega giorno e assenza d'ombre
e là nel grigio il pianto si sperde nel vento...

le tue lacrime dolci nel mare.

Ma quando la spaventosa burrasca
ha sciolto le mura dell'ultimo castello
aspetta la calma e corri sulla spiaggia
cerca fra le alghe sparpagliate dalle correnti
sulla riva il tuo tesoro o nel cielo...

un raggio verde una stella.
Anonimo
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Il sogno che mi resta

    Oh, i miei sogni!
    Erano come fiori finti che nascondevo
    sotto l'erba del mio giardino
    già fradicia di pioggia e li dimenticavo.
    Erano così pochi i fiori veri
    e non li distinguevo,
    li confondevo sempre con i sogni.

    Ora che il tempo avanza inesorabile
    come la macchina che trebbia il grano
    e sferraglia senza pietà,
    no, io non potrò sognare!

    Raccoglierò i miei sogni
    come fiori di carta sgualciti e impolverati
    e li chiuderò nel cassetto più nascosto.
    Butterò la chiave per non aprirlo.

    E tu sai che ne terrò soltanto uno,
    dei miei sogni: questo amore.
    Io non vorrò sapere, non m'importa
    di capire se il sogno che mi resta
    è un fiore o un coriandolo di carta.
    Sarà soltanto quello che puoi darmi.

    Io curerò il mio amore
    come un vaso di viole,
    lo innaffierò con l'acqua del mio pozzo;
    solamente il tuo sole lo farà fiorire.
    Anonimo
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Nella nebbia

      Immerso nella nebbia apro le braccia
      e procedo a tentoni, brancolando.
      Dove sei, amore? Io non trovo
      la strada che conduce alla tua casa
      e non odo la tua voce che mi chiama.
      Perché non hai appeso una lanterna alla tua porta?

      Vago da solo in questa notte fredda, incespicando
      nei binari del tram, e mi accompagna
      il latrato di un cane.
      Ormai è tardi ed io non so sperare
      che tu mi stia aspettando ancora,
      come facevi una volta.

      Disorientato vado percorrendo
      strade dissestate che non conosco,
      per venire da te; ma forse giro
      sempre attorno allo stesso isolato di case.
      Non so se mi avvicino o mi allontano.

      E soltanto questo freddo pungente,
      che penetra nelle ossa e mi raggela
      le mani e i piedi, mi ricorda
      che sono vivo.

      Forse sarà così la morte
      che ha da venire,
      come un mantello di nebbia che ci avvolge;
      e spariranno i contorni delle cose
      e non udremo più le voci amate.

      Ma non avrò l'angoscia di cercarti.
      Anonimo
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Io non soffocherò il mio amore

        Io non soffocherò il mio amore.
        Non ti chiederò nulla
        e accetterò soltanto quello che puoi darmi.
        Come un lupo assetato
        berrò l'acqua raccolta nei tuoi palmi
        e se vuote saranno le tue mani
        non devi fartene una colpa,
        avrò almeno la felicità di amarti.

        Gli ingranaggi ruotano impazziti
        con fragore assordante
        a la lancetta dell'orologio gira
        a scandire il tempo breve che mi resta.

        Ma questa volta io saprò distruggere
        la macchina che stritola i miei sogni.
        Anonimo
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Poeti di paese

          La gente non sapeva che il maestro
          Bottarelli, che tutte le mattine
          puntuale prendeva la corriera,
          timido e solo, con le lenti spesse
          e la sua cartella piena di libri,
          fosse un delicatissimo poeta.

          Dal suo cuore
          celato in un misero corpo
          sgorgavano versi limpidi e solari
          traboccanti di ricordi fanciulleschi
          e di serene visioni
          di fiori di siepe e di muraglia.

          E nessuno poteva immaginare
          che un geometra folle e taciturno
          giunto alla soglia della sua vecchiezza,
          incipiendo la demenza senile,
          traumatizzato da un logico abbandono
          esprimesse con versi angosciosi
          la sua solitudine
          e l'amore per una donna.

          Il poeta è una rana
          che ha voce di usignolo.
          Anonimo
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            L'addio

            un piccolo bacio e un sorriso
            e un lieve cenno con la mano
            oltre la sbarra che già ci separava

            anche tu lo sapevi,
            piccola Ibi,
            che quello era un addio

            dell'altra donna che ho amato
            non ricordo nemmeno
            l'ultimo saluto

            ora gira la mia valigia
            come la mia vita
            trascinata da un nastro inarrestabile
            e sparirà in un buio bagagliaio.
            Anonimo
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Incubo

              A te mi legava un tenue filo
              mentre t'immergevi negli anfratti
              delle grotte marine popolate
              di strani pesci colorati e di coralli;
              poi mi apparivi sorridente
              fra le onde che ti sommergevano
              e portavi in mano una conchiglia
              contorta che suonava come il mare.

              Oh non andare più, giù nella buia
              spelonca sommersa, figlio mio!
              Tu non lo sai, ma il filo
              esile che guida il tuo ritorno
              è lo stesso che mi lega alla mia vita;
              e basta un nonnulla per spezzarlo.

              Che posso fare io, se questa corda
              che ci unisce è tranciata da una selce?
              Ti sento annaspare e tu ti perdi
              nel buio labirinto; e più non trovi
              l'uscita nascosta che porta in superficie.
              Il respiro ti manca, i tuoi polmoni
              stanno scoppiando e apri la bocca
              ingurgitando acqua salata. Stai morendo.

              Io so che è la tua fine,
              mi tremano le gambe e sento
              che la corda allentata si riavvolge.
              Il sangue mi pulsa nelle tempie,
              non so che cosa fare per salvarti!
              Anonimo
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Al mio angelo

                Fingevo di ammalarmi e tu venivi
                dal cielo, angelo mio, per consolarmi;
                mi provavi la febbre e trepidante
                mi rimboccavi bene le coperte
                e mi baciavi, lieve, sulla fronte.

                Di colpo io fingevo di guarire,
                ti prendevo sul letto e ti baciavo
                e poi ti penetravo tutta notte.
                Ma, al primo canto del gallo, tu sparivi.

                Adesso io mi sento proprio male,
                la falce della morte mi accarezza
                e i diavoli stanno attorno al letto
                aspettando la mia anima dannata.

                Ti chiamo disperato e tu non senti.
                Angelo mio, perché tu non mi credi?
                Io non sono capace di mentire,
                sto morendo e il mio cuore già non batte.
                O mio angelo, tu devi venire,
                hai dimenticato qui le tue ciabatte.
                Anonimo
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  Ultima poesia

                  La lebbra ha devastato il tuo bel volto
                  che ora è nascosto da una pezza,
                  ti conosco soltanto dai tuoi occhi
                  miopi che mi guardano con astio.

                  Il tarlo del tempo corrode i miei ricordi
                  e di ciò che mi fu speranza e amore
                  rimane un pugno di cenere amorfa
                  spazzata via dal vento inesorabile.

                  Oh il vento! Porti via anche la polvere
                  del mio corpo corrotto dalla morte,
                  mulinando cancelli ogni mia traccia.
                  Di me più non rimanga nulla.

                  Soltanto quando avrai dimenticato
                  la mia bocca piena di vermi,
                  tu riderai fuggendo il mio ricordo
                  fastidioso come insetto da schiacciare.
                  Anonimo
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                    Scritta da: Silvana Stremiz
                    Il piccolo viaggio del dr. Schmidt
                    Nei calcoli, nelle medie,
                    in un turbinio di dati,
                    il dr. Schmidt è morto!
                    Impossibile! Lui era
                    il più preparato,
                    previsioni esatte,
                    calcoli millimetrici, eppure...
                    Il dr. Schmidt è morto!
                    Lo piangono le sue macchine,
                    gli ingranaggi, i monitors,
                    nessuno poteva immaginarselo.
                    Il dr. Schmidt è morto,
                    seppellito in un giardino di silicone,
                    lo vegliano quattro cipressi sintetici,
                    ed era un grand'uomo
                    il dr. Schmidt...
                    Morto suicida,
                    senza saperlo.
                    Anonimo
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