Poesie personali


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie personali)

Il vestito più bello

Ti ho disegnato addosso il vestito più bello
e ti ho guardato a lungo.
Sono arrivata fino alla porta del cuore
ho aperto ed ho guardato anche là
e mi è piaciuto quello che ho visto,
o forse ho visto quello che mi è piaciuto...
su, su, sono entrata nella tua testa
ed ho letto i pensieri,
ho letto quelli scritti con la mia grafia,
erano belli e dentro c'ero anch'io.

Ti guardo e penso:
se ti spoglio cosa resta?
Cosa resta sotto il vestito,
dentro il cuore, nella testa...
Cosa resta di quello che vedo,
di quello che leggo,
di quello che penso che tu sia?

Resto io.
Resta la mia passione stupida
che con la violenza di uno schiaffo sonoro,
improvviso,
ritorna ogni volta al mittente.

Resti tu.
Quello vero,
quello che non conosco,
che non oso guardare,
e che forse non mi piacerebbe neanche...

Ma è così bello il tuo vestito,
non toglierlo,
voglio guardarti ancora!
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie personali)
    Figli di una generazione
    Uomini della continua lotta
    camminano nel fumo e nella nebbia
    arrampicati sulle schegge dei muri.
    Le canne grigie puntate sui pensieri
    e le marce come cordoni ombelicali
    per servire il popolo.
    Le mani si stringono
    le tempie riempiono i polmoni di rabbia
    serpeggia la morte nel volo delle bottiglie.
    Si diffonde la luce della comune
    si divulga con sigarette e mozziconi brulicanti
    ogni parola ha la forza di un proiettile.
    Nessun suono spara abbastanza per la sordità del tempo
    e questo tempo non risparmia i sogni
    non coltiva martiri e seppellisce gli eroi.
    La propaganda delle risposte imbavagliate
    con i pugni allo stomaco ribelle
    e il vomito dell'odio e del dileggio.
    Figli di una generazione
    canti rubati per niente
    e troppi silenzi nelle bare mute.

    ** riflessione di un estremista degli "anni di piombo"
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie personali)

      Il Natale di Goma

      Palline nere sull'albero dell'indifferenza
      cioccolatini stremati dopo lunghi giorni di cammino
      piccole luci nell'esodo della disperazione.
      Sotto l'albero le mosche come fiocchi sui regali
      sciamano sopra corpi di mamme bambine
      dentro la pelle virgulta del loro amorino.
      Saltano gli occhi rovesciati
      come il miele sulle nostre belle tavole imbandite
      ci riportano in sella al confine dell'odio.
      Passano i pastori di questa cecità
      brandiscono il macete del genocidio
      poi si fanno dimenticare in qualche pagina nascosta di quotidiano.
      Il Natale di Goma.

      ** Città di confine tra Zaire e Ruanda dove un esercito
      di profughi si sposta e vaga senza meta alcuna, in un genocidio
      assurdo tra etnie hutu e tutsi.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie personali)

        Non v'è cosa che l'uomo non possa aspettarsi

        Non v'è cosa che l'uomo non possa aspettarsi, o negare giurando,
        o che desti stupore, da che Zeus, il padre degli dèi nell'Olimpo,
        fece notte nel mezzo del giorno, occultando la luce
        al sole splendente. E una triste paura sugli uomini venne.
        Tutto da allora è degno di fede, tutto dall'uomo può essere atteso:
        nessuno di voi si stupisca, nemmeno se vede
        le fiere scambiar coi delfini il pascolo marino,
        e che ad esse le onde echeggianti del mare siano più gradite
        della terra, così come ai delfini il monte boscoso.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie personali)

          La Fattoria di Bradin

          Pioggia di guerra
          sulle teste dei soldati
          Nel baratro di una guerra da cani
          Pelle segnata e ferita
          Sguardi in fuga oltre ogni frastuono

          Pioggia di guerra
          sulle teste dei bambini
          Con il peso dell'odio negli occhi
          Giochi di guerra fuori nei cortili
          Ronzio di mosche
          su orecchie sorde e bocche di fame

          Pioggia di guerra
          su corpi nudi di donne
          Violenza carnale senza passione
          Urlo di paura
          sibilo di proiettile
          Al di là della linea di confine.

          Pioggia di guerra
          sulle case di periferie
          Bruciate in attimi di lucido bang umano
          Bomba odio senza avviso
          E distruzione intorno alla fattoria di Bradin

          Pioggia di guerra
          Sul cortile della stazione
          Treni in fiamme sui ponti di ferro
          Crateri e buche nelle strade deserte
          Acqua veleno da Pristina a Novi Sad

          Pioggia di guerra
          Bagnati di odio
          Avanzano eserciti fantasma
          Senza un nemico da scovare
          Senza bersagli da colpire
          Senza fiori da regalare

          Pioggia di guerra
          sui carri che vagano nei campi
          In file interminabili di speranza e fatica
          Oltre ogni muro di indifferenza
          La sera
          sugli altipiani
          tende e stracci
          Chiazze di dolore perse in un lembo di terra ferita

          Pioggia di guerra
          Su questa terra di nessuno
          tra una parte e l'altra del mare
          Terra contesa col sangue di corpi in pace
          C'è pioggia negli sguardi stanchi e tristi
          con ancora un pezzo di vita da buttare

          pioggia di piombo
          pioggia di fuoco
          pioggia di odio
          pioggia di nulla

          bagnati da una pioggia assassina
          senza più vita da vivere
          sono uomini e donne

          Perduti.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie personali)

            12 Settembre 1966

            Sei comparsa al portone
            in un vestito rosso
            per dirmi che sei fuoco
            che consuma e riaccende.

            Una spina mi ha punto
            delle tue rose rosse
            perché succhiassi al dito,
            come già tuo, il mio sangue.

            Percorremmo la strada
            che lacera il rigoglio
            della selvaggia altura,
            ma già da molto tempo
            sapevo che soffrendo con temeraria fede,
            l'età per vincere non conta.

            Era di lunedì,
            per stringerci le mani
            e parlare felici
            non si trovò rifugio
            che in un giardino triste
            della città convulsa.
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