Poesie personali


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie personali)

Un po' di pietà

Erano ragazzi normali e intelligenti,
mi direte, e quando
uccisero la madre di lei si dimostrarono
lucidi e spietati...
Ora applaudite la condanna
unendovi al coro degli ipocriti:
volete esorcizzare il vostro male!
Erano ragazzi normali e potevano
essere figli vostri...
e ciò v'inorridisce.
Ma forse noi dovremmo avere
un po' di pietà per loro.

Ora che cosa potrei dire a Erika
se fossi suo padre:
Oddio, dov'ero Erika,
come potevo non accorgermi
che in cuore ti ribolliva quell'assurda
e orrenda gelosia;
perché soltanto di gelosia si tratta,
ne sono certo.
È colpa mia, non tua,
se non me ne sono accorto.
Come potevi credere
che il mio amore fosse poco e divisibile?
Il mio amore, tu non lo sapevi,
era più grande e illimitato
e comprendeva te, la mamma e il fratellino.
È colpa mia, non tua,
se tu non lo hai capito.

O voi tutti che giudicate, siete buoni!
Voi avete sempre amato vostra madre, ricordate.
Quando era vecchia l'avete messa in un ospizio,
quel più comodo,
sulla strada percorsa nei weekend.
Così potevate fermarvi un momentino,
senza perder tempo:
-Cara mamma, ti ho portato un regalino,
una scatola di biscotti, quelli molli,
che puoi mangiare anche tu, senza dentiera.
Sei contenta? - E andate via.

Anche voi avete ucciso vostra madre
e dovreste avere almeno
un po' di pietà per voi.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie personali)

    Non m'importa

    Che senso ha coprirmi di attenzioni
    proprio ora che mi stai lasciando?
    E perché continui a cucinare
    che non abbiamo neanche voglia di mangiare?

    Da dietro ti guardo di sfuggita
    mentre tu trambusti tra i fornelli,
    vedo il tuo collo bianco e il tuo codino
    e le tue gambe sottili di bambina;
    e il cuore mi si gonfia di tristezza.

    Poi ti giri e nel tuo viso contratto
    leggo una dura ostinazione
    e da un puntino nero della pelle
    che non ti avevo mai notato prima
    sembra sprizzare fuori il tuo rancore.
    Non riesco a capire cosa ho fatto
    per suscitare un odio così forte.

    Tuttavia mi prepari il caffelatte
    col pane raffermo, che a me piace,
    cosa che tu mai facevi prima;
    mi sembra un gesto pietoso come quando
    si offre un lauto pranzo al condannato
    prima di trascinarlo dal suo boia.

    Che me ne importa a me del caffelatte
    se ora tu vuoi andare via?
    Che importa a me di lavorare,
    che m'importa dei soldi e della roba?
    Che m'importa di finire sotto un camion,
    che m'importa di cadere da un ponteggio,
    che m'importa di morire per un cancro
    se ora vuoi andare via?
    Non m'importa, non m'importa,
    non m'importa proprio niente.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie personali)

      Ultima poesia

      La lebbra ha devastato il tuo bel volto
      che ora è nascosto da una pezza,
      ti conosco soltanto dai tuoi occhi
      miopi che mi guardano con astio.

      Il tarlo del tempo corrode i miei ricordi
      e di ciò che mi fu speranza e amore
      rimane un pugno di cenere amorfa
      spazzata via dal vento inesorabile.

      Oh il vento! Porti via anche la polvere
      del mio corpo corrotto dalla morte,
      mulinando cancelli ogni mia traccia.
      Di me più non rimanga nulla.

      Soltanto quando avrai dimenticato
      la mia bocca piena di vermi,
      tu riderai fuggendo il mio ricordo
      fastidioso come insetto da schiacciare.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie personali)

        Contrasto

        Tornano le notti tiepide di aprile,
        o amore, e nuovamente la luna
        batte sul mio vaso di viole soavemente
        e su le irte siepi fiorite
        di rovo e biancospino.
        Lievi si dischiudono intanto,
        come rose tra spine, i nostri
        sogni d'amore,
        così come vedremo
        fiorire la felicità
        in una forse imminente primavera.

        Si, nuovamente la luna
        si riflette nei torbidi miei occhi,
        si specchia nei pantani,
        e inutilmente
        vuoi strappare la gramigna dal mio cuore
        con le tue piccole mani.
        Ma se l'arido stelo dell'ortica
        che nasce fra le crepe della pietra
        tu vedi fiorire a primavera,
        anche la serpe
        si scioglie a lente spire dal letargo;
        e il mio cuore si gonfia come un rospo,
        perché l'innocenza è perduta
        e il bene non è
        che l'assenza del male.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie personali)

          Bestemmia

          come le scintille che dal legno
          che arde rapide sprizzano
          così le nostre vite per un attimo
          di odio e amore si accendono
          e svaniscono in un vortice di fumo

          così pure gli infiniti universi
          durano un tempo effimero
          che a noi pare interminabile
          e irresistibilmente
          sono attratti in un orrido imbuto

          oh tu, se esisti
          oltre lo spazio e il tempo
          e origini questo caos
          e contempli l'inutile dolore
          di ogni vita,
          la nascita e la morte,
          la pianta che germoglia e rinsecchisce,
          cessa, ti prego, il tuo gioco perverso
          e riducimi in polvere insensibile.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie personali)

            L'ippocastano malato

            Da dove viene questa larva che s'insinua
            fra le tenere foglie dei castani
            amari e invisibile ne succhia
            la linfa e le lascia secche
            e attorcigliate, come in un precoce
            autunno? E questa pianta che morendo
            impazzisce, nei suoi rami bassi
            rigetta nuove foglie e alcuni
            grappoli di sterili fiori, quasi fosse
            ingannata dal pallido sole
            che non riscalda e tristemente prelude
            alle imminenti gelate dll'inverno.

            Da dove viene questo amore
            così fuori stagione, che rinasce
            nel cuore di un vecchio solo e disilluso?
            È forse la paura della morte
            che mi fa scoppiare nella testa
            questa insana pazzia, perché nulla
            mi può ingannare, se ragiono.
            Oppure è il mio solito bisogno
            di invaghirmi di un sogno, ed ora
            mi sembra di amare questa donna
            che è così simile a lei, ma non è vero.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie personali)

              Allegoria

              Il mandarino contenne la sua ira
              quando i sevitori tremanti riferirono
              che dalla gabbietta aperta il passerotto,
              che più di ogni cosa amava, era sparito.
              Egli salì sopra la torre
              e scrutando il cielo in lontananza
              vide l'uccellino che fuggiva
              e che, credendo di volare verso il sole,
              s'inoltrava fra le nubi di tempesta.
              Con terrore pensò al buio della notte
              popolato di orribili grifagni
              che fra poco avrebbe avvolto
              l'improvvido uccellino infreddolito.
              Allora fu grande il suo dolore.

              Arrivarono da tutto il regno
              musici, buffoni e concubine
              e le stanze della reggia risuonavano
              di allegre musiche di danza.
              Ma più niente rallegrava il mandarino.

              I mercanti portarono le sete
              più lievi fruscianti e colorate
              e le gemme preziose incastonate
              in splendidi gioielli.
              Ma più niente interessava al mandarino.

              I maghi allora gli donarono
              pavoni finti costruiti
              con piume d'oro o di cristallo
              e con occhi di zaffiro o rubino
              e che dentro avevano un congegno
              che imitava il trillo di un uccello.
              Ma più niente ingannava il mandarino.

              E i savi dottori che venivano
              con libri polverosi gli spiegavano
              che gli uccelli derivano dai rettili
              e che lui si era innamorato
              di un piccolo serpente con le piume.
              Ma più niente consolava il mandarino.

              Tutti i giorni seguenti il mandarino
              saliva sulla torre alta
              e con un lungo cannocchiale
              scrutava il cielo fino all'orizzonte,
              incurante delle orde dei nemici
              che premevano oltre la muraglia.
              Sperava di vedere l'uccellino
              volare in lontananza;
              e il cielo era solcato
              dai voli dei terribili rapaci.

              Oh se ti avessi dato
              una gabbietta con le stecche d'oro,
              oppure avessi costruito per te, nel mio giardino,
              con fili invisibili, un'aerea voliera.
              Ora ti poseresti felice
              fra i cespi delle rose e sopra i rami
              dei ciliegi in fiore.
              O forse bastava
              che io ti parlassi ogni mattina,
              e tu saresti qui sulla mia mano.

              Ora attendo soltanto
              le orde dei nomadi nemici
              feroci tagliatori di teste che verranno
              dalle steppe immense,
              cavalcando diabolici destrieri;
              e scaleranno i bastioni di difesa
              e irromperanno nella fertile pianura
              incendiando i campi di riso e la mia reggia.
              Ma più nulla m'importa e io non temo
              l'infausto mio destino e la morte atroce
              che inesorabilmente, a lunghi passi, si avvicina.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie personali)
                Paradisi perduti ora non ricordiamo il dolce
                tempo delle colombe
                e la felicità
                non si è posata più
                sui nostri cuori.

                No, non dite
                a noi stoltamente piangenti
                che gli orridi imbuti sono aperti,
                ora come sempre,
                e che l'angelo più bianco
                starnazza con ali di corvo!

                Ma nuovamente Satana che ride
                a noi grida la nostra solitudine
                mostrando i giardini deserti
                e la serpe annidata sotto i fiori.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  in Poesie (Poesie personali)
                  Dalle fosse ardeatine, 31 Aprile 2001 buio, fosse, pietre recenti sul muro.
                  Un grido, alto come il silenzio, fucili,
                  rumori (bangbang)
                  grida, fine.

                  Vi sento con me, mi camminate
                  al fianco mentre
                  cammino sui vostri passi
                  Vi sento con me, mi fate
                  un sorriso invisible attraverso
                  i vostri luoghi bui che sto
                  guardando
                  Vi sento con me, mi abbracciate
                  con le vostre ossa mentre i
                  miei occhi piangono lacrime
                  di storia

                  Luce, Prati verdi, alberi ricchi di frutti.
                  Ecco dove siete ora, amici
                  Perdonaste, oh quanto
                  perdonaste.
                  Ma un grido mi suona in gola:
                  "Pagheranno quei bastardi
                  per quel che han fatto! "
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