Poesie personali


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie personali)

Souvenir

Quand'egli impallidì una sera, e la voce
tremante
sul nascere di un suono si spense
all'improvviso;
quando i suoi occhi alzando la palpebra
bruciante
mi presero d'un male da cui lo pensai
preso;
quando i suoi tratti più struggenti, ardore
d'un fuoco che non può mai
declinare
mi s'impressero vivi in fondo al cuore,
lui non amava: ero io ad amare.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie personali)

    L'ultima poesia

    Il termine, la vetta
    di quella scoscesa serpentina
    ecco si approssimava,
    ormai era vicina,
    ne davano un chiaro avvertimento
    i magri rimasugli
    della tappa pellegrina
    su alla celestiale cima.
    Poco sopra
    alla vista
    che spazio si sarebbe aperto
    dal culmine raggiunto...
    immaginarlo
    già era beatitudine
    concessa
    più che al suo desiderio, al suo tormento.
    Sì l'immensità, la luce
    ma quiete vera ci sarebbe stata?
    Lì avrebbe la sua impresa
    avuto il luminoso assolvimento
    da se stessa nella trasparente spera
    o nasceva una nuova impossibile scalata...
    Questo temeva, questo desiderava.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie personali)

      Viaggiare

      (alla maniera di Gösta Ågren)

      Se dovessi andare a Samarcanda
      magari troveresti Sherazade
      in mille riproduzioni,
      vestita di lustrini, come souvenir,
      e le cupole dorate di Al-al-Din
      ricoperte di segnali turistici sovietici
      e ossidate, su un cielo metallico.

      Ma restare è come partire.
      Da qui si stendono i campi
      dell'Oxfordshire
      già del colore di una sovrana d'oro.
      E quando il fieno è raccolto in balle
      che sembrano ruote, e l'occhio corre
      dai solchi scuri dei trattori all'orizzonte
      nudo dell'autunno,
      là brucerà là Samarcanda

      e Samarcanda, e Samarcanda.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie personali)
        Non è tempo di scrivere e io non ho
        che il solco della penna e sotto il foglio.
        Un inchiostro facile, un dire fragile
        tra voci che confondono, che vanno.
        E questo è un anno che trattiene i giorni
        li lega al calendario. I volti stanno
        lì, per caso. Ci chiedono un appiglio,
        lo scompiglio di un'altra primavera.
        Quasi non ci fossero, come se
        svanissero. Sistemali per poco
        qui, con le parole. In qualche stanza
        chiusa, in una nuova sera. Una nicchia,
        e poi fermarli, e poi imparare a dirli,
        a riconoscerli dagli occhi almeno.
        Tu, punto a capo senza corpo. Tu
        rimedio dell'assenza, poesia.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie personali)
          Abbiamo nel cuore un solitario
          amore, nostra vita infinita,
          e negli occhi il cielo per nostro vario
          cammino. Le spiagge i cieli, la riva
          su cui sassi e rovi e il solitario
          equisèto, e colli erbosi grassi
          rioni, città dispiegate come
          belle bandiere, e nude prigioni.
          Questa è la nostra vita. Questi nostri
          volti vagabondi come musi
          di cani ci somigliano. Il vento
          il sole le corolle rosse e blu,
          i sogni mai sognati i nostri sogni.
          Questa è la nostra vita e nulla più.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie personali)

            Origami

            Vince chi piega la luce
            da farne origami;
            e lo ammiri: si può.
            Carta, quei fiori carnivori
            diretti da dita veloci
            e dimentico che s'aprono
            a rischio di scelta
            scricchiolano musica spinosa
            e vorrei che la luce lasciasse
            il suo angolo lineare
            per dirsi curva perfetta,
            insinuarmi nel cerchio
            da sola: non posso.
            Impermeabile strumento
            fuori resto a dare il ritmo
            agli ingranaggi; scivola
            altrove il merito di figli.
            Solo ha forma qualche
            cosa che rischia di cadere.
            Continueranno le mani
            a piegare la carta
            e incartare la luce,
            a rilucere i muti origami
            lì sul ciglio della buca.
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