Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Specchio

Sono esatto e d'argento, privo di preconcetti.
Qualunque cosa io veda subito l'inghiottisco
tale e quale senza ombre di amore o disgusto.
Io non sono crudele, ma soltanto veritiero -
quadrangolare occhio di un piccolo iddio.
Il più del tempo rifletto
sulla parete di fronte.
È rosa, macchiettata. Ormai da tanto tempo la guardo che la sento
un pezzo del mio cuore. Ma lei c'è e non c'è.
Visi e oscurità continuamente si separano.

Adesso io sono un lago. Su me si china una donna
cercando in me di scoprire quella che lei è realmente.
Poi a quelle bugiarde si volta: alle candele o alla luna.
Io vedo la sua schiena e la rifletto fedelmente.
Me ne ripaga con lacrime e un agitare di mani.
Sono importante per lei. Anche lei viene e va.
Ogni mattina il suo viso si alterna all'oscurità.
In me lei ha annegato una ragazza, da me gli sorge incontro
giorno dopo giorno una vecchia, pesce mostruoso.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    The appeal

    If I have given you delight
    By aught that I have done,
    Let me lie quiet in that night
    Which shall be yours anon:
    And for the little, little, span
    The dead are borne in mind,
    Seek not to question other than
    The books I leave behind
    L'appello
    Se qualche diletto vi ho pur dato
    per qualcosa che io abbia operato,
    possa ora giacer sereno in quella notte
    che sarà anche vostra quando che sia:
    e per quel poco, poco spazio
    che i morti rioccupano nelle menti,
    vorrei che altro non cercaste
    che i libri che mi lasciai dietro.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Im Vorübergehn

      Ich ging im Felde
      So für mich hin,
      Und nichts zu suchen,
      Das war mein Sinn.

      Da stand ein Blümchen
      Sogleich so nah,
      Daß ich im Leben
      Nichts lieber sah.

      Ich wollt es brechen,
      da sagt es schleunig:
      Ich habe Wurzeln,
      Die sind gar heimlich.

      Mentre andavo

      Andavo per i campi
      così, per conto mio,
      e non cercare niente
      era quello che volevo.

      E lì c'era un fiorellino,
      subito lì, vicino,
      che nella vita mai
      ne vidi uno più bello.

      Volevo coglierlo,
      ma il fiore mi disse:
      possiedo radici,
      e sono ben nascoste.

      Giù nel profondo
      sono interrato;
      per questo i miei fiori
      son belli tondi.

      Non so amoreggiare,
      non so adulare;
      non cogliermi devi,
      ma trapiantare.

      Im tiefen Boden
      bin ich gegründet;
      Drum sind die Blüten
      So schön geründet.

      Ich kann nicht liebeln,
      Ich kann nicht schranzen;
      Mußt mich nicht brechen,
      Mußt mich verpflanzen.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)
        Odi che il bronzo rimbombando langue,
        E l'ultimo momento
        Morte si strappa, e sul tuo volto esangue
        Stende le man:... sei spento.

        Urlan le furie accapigliate, e intorno
        Stanti con folta notte,
        Chè alfine di putredine il soggiorno
        Con gli abissi t'inghiotte.

        O tu, folle! sperasti altro compenso
        Dall'empietà che teco
        Negra impresa di sangue, e volo immenso
        Tentò eretta del cieco

        Ardir su l'ali? accumulare i scempi
        Dè tiranni piú rei,
        Non re, sapesti; ma percoton gli empi
        Non chimerici Dei.

        Invan gloria sognasti, il grido invano
        Tu dè secoli udisti,
        Ch'or plausi turpi d'uno stuolo insano
        A esecrazion van misti.

        Vincesti? e invan; regnasti? e invan, superbo,
        Chè con destra di possa
        Dè giusti il Dio del tuo comando acerbo
        La catena ha già scossa.

        Veggio l'empio seder amplo in suo orgoglio
        Qual di monte ombra in campo;
        Sublime al par di cedro erge suo soglio;
        Ma squarcia l'aer un lampo;

        Tosto il veggio tremar, piombar, sotterra
        Cacciarsi al divin foco;
        Invan lo sguardo mio cercandol erra,
        Nemmen conosco il loco.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          La verità

          Sino al trono di Dio
          anciò mio cor gli accenti,
          Che in murmure tremendo
          Rispondono i torrenti,
          E dalla ferrea calma
          Delle notti profonde
          Palma battendo a palma
          Ogni morto risponde.

          D'entusïasmo ho l'anima
          Albergo; e sol d'un Nume
          Io son cantor: degli angeli
          L'impenetrabil lume
          Circonda il mio pensiero,
          Ch'erto su lucid'ali,
          Sprezza l'invito altero
          Dè superbi mortali.

          E coronar di laudi
          Dovrò chi turpe e folle
          Splendido sol per l'auro
          Sa l'orgoglio s'estolle?
          Che dir deggio di lui?
          Pria di giustizia il brando
          Sù forti bracci sui
          Vada folgoreggiando;

          E canterò. Nettarea
          Da me non cerchi ei lode,
          Se a lutulenta in braccio
          Sorte tripudia e gode,
          E tra un'immensa schiera
          D'insania al carro avvinto
          scioglie con sua man nera
          A iniquitate il cinto.

          E tu chi sei che il titolo
          Santo d'amico usurpi?
          E vile d'amicizia
          L'aspetto almo deturpi?
          Chi sei tu che m'inviti
          Di gloria a spander raggio
          E a sciòrre inni graditi
          A chi in virtù è selvaggio?

          Non sai che santuario
          Al ver nell'alma alzai
          E che io del vero antistite
          Sempre d'esser giurai?
          Non sai che mercar fama
          Da tal canto non curo,
          E più dolce m'è brama
          Sul ver posarmi oscuro?

          Vero suonò di Davide
          Il pastoral concento,
          E a Dio piacque il veridico
          Suono, e tra cento e cento
          L'unse à popoli ebrei
          Rege di pace, e adorni
          D'illustri eventi e bèi
          Fè dell'uom giusto i giorni.

          E immagine d'obbrobrio
          Vuoi tu farmi, o profano?
          Oh! quell'immonda faccia
          Copriti con la mano
          Lungi da me: chi fia
          Cui faccian forza i detti
          Ch'io l'alta cetra mia
          Di ricca peste infetti!

          Garrir fole non odemi
          L'atrio di adulazione,
          E in questa solitudine
          Dall'aurata prigione
          Fuggo; esecrando il folle
          Che blandisce con mèle
          Il grande; e in sen gli bolle
          Rancor, invidia, e fiele.

          Dunque chi vuol, d'encomio
          Canti impudente intuoni
          Per lo tuo eroe; ch'io cantici
          Fra gli angelici suoni
          Ergo al Solopossente,
          Che dall'empirea sede
          Gl'inni in letizia sente
          Di verità e di fede.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            A Dante

            Alto rombano i secoli
            Su rapidissim'ali,
            E dall'aere giù vibrano
            Dritti infiammati strali
            Che additano agl'ingegni
            D'eterna gloria i segni:

            Ma qual nebbia! Qual livido
            Umor spargon dai vanni
            Che in fetida caligine
            Attomban nomi ed anni,
            E rodono quel serto
            Che ombreggia un tenue merto!

            O mio Poeta, o altissimo
            Signor del sommo canto,
            Che con sublime cetera
            Per la casa del pianto
            Girasti, e fra la gente,
            Che o gioisce, o si pente,

            Tu vivi eterno. - Gloria
            Di suo fulgor ti cinse,
            Tuonò sua voce; un fulmine
            Fu per chi ti dipinse
            Testor stentato, oscuro
            Di carmi e stile impuro.

            Pèra! La lingua sucida
            Costui nutra nel sangue,
            E per delfici lauri
            Gli accerchi invece un angue,
            Sanie stillante infesta,
            L'abbominevol testa.

            Dicesti: ed ecco stridono
            In suon ringhiante e forte
            Gli aspri tartarei cardini:
            Della cappa di morte
            Infino à più vestute
            Ecco l'Ombre perdute.

            Io già le ascolto: echeggiano
            Per l'aer senza stelle
            Batter di man, bestemmie,
            Orribili favelle,
            Voci alte e fioche, accenti
            D'ire in dolor furenti.

            O Padre! O Vate! Un giovane
            Cui l'estro ai cieli innalza,
            Che pel genio che l'agita
            Fervidamente sbalza
            A inerudita cetra
            Canti spargendo all'etra,

            A te si prostra: un'anima
            Che in sè ognor si ravvolge,
            Che in ermi boschi tacita
            Fugge dall'atre bolge
            Di cittadino tetto,
            Gl'irraggia l'intelletto.

            Di sapienza nettare
            Fra mie voglie delibo,
            E, meditante, ai spiriti
            Porgo l'augusto cibo
            Che questa etade impura,
            Famelica, non cura.

            Muta di luce eterea
            Alle peccata in grembo
            Fra cupo orror s'avvoltola
            L'Umanità: il suo lembo
            Spruzzi di sangue stilla,
            Ed ella va in favilla.

            Ma ira di giustizia
            Lui che può ciò che vuole
            Ruggisce in cielo, e scaglia
            Di spavento parole;
            Vennero i giorni alfine
            Di piaghe e di ruine.

            Vennero si; ma sorgere,
            Giganteggiando, i nostri
            Carmi vedransi, e liberi
            Calpestare què mostri
            Che tumidi d'orgoglio
            Siedono ingiusti in soglio.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              La campagna

              O tu cantor di morbidi
              Pratei, di dolci rivi,
              Che i verdi poggi, e gli alberi
              Soavemente avvivi
              Con gli armonici versi
              Da fresche tinte aspersi,

              Odi un poeta giovane,
              Che il genio che l'ispira
              Devoto siegue, e libero
              Percote ardita lira,
              E cò suoi canti vola
              Al suo gentil Bertòla.

              Fra campestri delizie
              Tranquillo e lieto io vivo.
              E col pensier fantastico
              Tra me canto e descrivo
              Sì vaghi paeselli,
              Che ognor sembran novelli.

              Pingo; ma resto attonito
              Allor che su i tuoi fogli
              Veggo fiorire, e sorgere
              Pianto e marini scogli,
              Che sembrano invitarmi
              A sacrar loro i carmi.

              Da me s'invola subito
              Il mio picciol soggiorno,
              E sol veggo Posilipo
              E il mar che vanta intorno
              Di Mergellina il lido
              Ameno più che Gnido.

              Estatici contemplano
              Tuoi campi i cupid'occhi:
              O come allor nell'anima
              Sento beati tocchi,
              Che mi dicono ognora:
              Sì dolce vate onora.

              Salve, dunque, del tenero
              Gesnèr felice alunno!
              Il lor poeta adorino
              D'aprile e dell'autunno
              Le Grazie e i lindi Amori
              Coronati di fiori.

              Il lor poeta adorino
              Le serpeggianti linfe,
              E dai monti scherzevoli
              Scendan le gaje Ninfe,
              E alternin baci in fronte
              Al tòsco Anacreonte.

              Ed io tesso tra cantici
              Ghirlandetta odorosa
              Non d'orgogliosi lauri,
              Ma sol d'umida rosa,
              E il capo ombreggio al molle
              Abitator del colle.

              E in cor brillante io dico:
              Questa dona Natura
              Al suo più ingenuo amico,
              Ch'ella d'altro non cura:
              Da lui schietto-dipinta
              Di fior va anch'ella cinta.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
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                Volta il cavallo, e ne la selva folta
                lo caccia per un aspro e stretto calle:
                e spesso il viso smorto a dietro volta;
                che le par che Rinaldo abbia alle spalle.
                Fuggendo non avea fatto via molta,
                che scontrò un eremita in una valle,
                ch'avea lunga la barba a mezzo il petto,
                devoto e venerabile d'aspetto.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  in Poesie (Poesie d'Autore)
                  Forse era ver, ma non però credibile
                  a chi del senso suo fosse signore;
                  ma parve facilmente a lui possibile,
                  ch'era perduto in via più grave errore.
                  Quel che l'uom vede, Amor gli fa invisibiIe,
                  e l'invisibil fa vedere Amore.
                  Questo creduto fu; che 'l miser suole
                  dar facile credenza a quel che vuole.
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