È inutile, se il meticcio alza la gamba e orina sullo zolfo del perimetro perbene. Le bottiglie d'acqua non le degna certo il padrone, si rovesciano per vari eventi ancora tappate e colme sul marciapiede o sulla strada. L'apposita appiccicosa forchettina di plastica si piega ma non s'infilza nella dura polpa zuccherina del dattero denocciolato, ed è sùbito da buttare. È inutile quando la primula bianca passa e s'increspa da se stessa che era in pattumiera; idem tutti i fiori che avrei potuto regalarle.
I morsetti fermafogli sono da anni nella confezione, non hanno mai pinzato la mezzeria dell'apertura, non hanno mai tenuto uniti i fogli di un quotidiano. Anzi, il giornale comprato ogni giorno, certi giorni nemmeno riesco a sfogliarlo; finisce nella pila perfettamente piegato per un futuro raptus delle pulizie, ed è inutile. È inutile la nostalgia appassionata del fado: se non conosco il portoghese, e non lo conosco, mi annoia. Lo stesso potrei dire di altro ed altro ancora.
Bassa pianura d'impermeabile mortale argilla dove arrivano il fiume e i suoi depositi, con poiesi e parole, vi sto forse tracciando le isoipse delle altitudini sognate, mancate? Nel lattice sottile ad oggi un altro figlio è in salvo da questo uomo.
C'è una donna più bella di te nel tavolino seduta vicino a me c'è una donna più ricca di te nel tavolino seduta vicino a me c'è una donna più bionda di te nel tavolino seduta vicino a me c'è una donna sola nella mia mente mentre sono seduto davanti ad una donna seduta nel tavolino vicino a me.
Ti ho visto tre o quattro volte attraversare la sala non camminavi volavi apparivi poi scomparivi mi hanno detto che hai 18 anni non ci credo ma ti prego per i prossimi 180 1800 18000 anni non andartene più continua a volare.
Perché c'è sempre chi ama di più? Perché c'è sempre chi ama di meno? Verrà mai il tempo che i due si ameranno alla stessa intensità? Si, è stato un flash.
Come un Gabbiano volerò incitato da alberi dalle fronde scomposte io, piccolo Buddah dell'amore sorridente bikku volerò sulla tua pelle sincera piegata nel Karma raccolta sul sasso di un piccolo fiume nel sole, nel sorriso, silenzioso azzurro perfetto dove le nostre ombre s'incontrano solitaria India occhi di brace sentimento fanciullo gabbiano suadente così importante.
Quell'alba di nefandezza stantia, armonia perduta d'un tempo d'arte, oppure un ritorno alle origini del giorno.
Colpa dei pescatori di Granada, colpa dei timori, dei prossimi abbagli spazianti verso stordita luce da sbagli; sguardo rivolto ai popoli di montagna che indipendenti scappano verso la Crimea attraverso il mare di Azov, pensiero rivolto alle crome intense e sguardi sfibrati attorno ciò che tento di trovare non offrono sempre, dall'esterno in nessun caso niente; trovare armonia, armonia perduta d'un tempo d'arte.
Chi muore è un eroe allora siamo tutti eroi e siamo tutti cantanti alcolizzati, tutti liberi da ogni male, tutti dei dell’Olimpo con il permesso di fulminare i passanti. Tutti siamo dadi e rotolare ci fa stare bene, soavemente rotolare ci fare stare bene. Siamo tutti figli della stessa madre e nostro padre è il milite ignoto, nostro padre è un mezzo Buddha che ignora il nostro rotolare soave. Nostro padre ha una barba finta, è truccato male e fuma il sigaro nei giorni feriali, nei festivi muore, soavemente muore, rotolando muore. Abbiamo dato i nostri risparmi per la nostra droga, noi tutti, soavemente ora rotoliamo. Dio non è santo, noi tutti preghiamo i santi del cielo maldisposto e cerchiamo il nostro dio ad ogni costo. Siamo tutti delle spie sull’orlo del braciere, intenti solo a rotolare, senza paura di bruciare. Siamo tutti suicidi, secondini nell’ora di libertà, non sappiamo stare al nostro posto perché amiamo rotolare, siamo poeti a dondolo alla mercé dei nostri nemici, perché non abbiamo partiti per i quali votare. Siamo il nemico e tutti i figli suoi e non conosciamo il futuro, così certo. Voltati, bendati, siamo il plotone d’esecuzione, davanti ci troviamo i nostri peccati, con proiettili scheggiati miriamo al cuore del nostro passato. Stiamo tutti in coda, fanti di coppe, alfieri rossi su caselle bianche, siamo il bossolo nel caricatore, pallina rotolante rotoliamo nella roulette fino a svenire di vanità e di noia. Indagati per illeciti, illecito è il nostro pensare. Siamo città inventate su mappe dell’Impero, calici ricolmi di bronzo fuso fumante, orizzonti innevati dall’alba polare, rotoliamo sul nevischio soave. Con gli zigomi ardenti scaliamo le montagne alla ricerca del segreto del rubino ma siamo noi il segreto e siamo noi il rubino. Diciamo parole di cotone e cantiamo, soavemente cantiamo liturgie pagane e flauti sono le nostre braccia, arpe i nostri capelli e violini le dita e viola il nostro cuore. Catapulte, masse di fuoco, incendiamo i villaggi dei giusti ma siamo noi i giusti, siamo noi i nostri avi che viviamo a stento per raggiungere la morte soave. Siamo l’esorcismo divino, sbronzati rotoliamo verso l’estasi dei deboli, siamo i fragili. Tutti camionisti senza carico, sorpassi in corsia d’emergenza, sirene soavi spiegate per la tangente. Noi siamo la nebbia, avvolgiamo rotolando, avvolgiamo il sole, stiamo nel sole e aspettiamo l’attimo per morire. Ma chi è mio padre, chi è mia madre? E noi, chi siamo noi? Noi siamo soli, fuori soli e soli lottando, soli fuggendo, soli rotolando, soavemente rotolando.
Il cielo è nero su una chitarra che accompagna il cavaliere della luna mentre un giocatore sublime danza vorticosamente con una gonna al vento e i capelli rossi di donna su una bianca spiaggia.
Uccelli migranti sulla nube della grande sera costruiscono i nidi di ghiaccio dell'ultima estate perduta.
Il ciclo dei robot è oltre il tramonto: stirpi di uomini vagano nella città della vertigine e gli angeli piangono i 150 anni in giallo in un giardino dell'Eden. Io guardo il segreto del millennio per la straordinaria storia dell'uomo.
Cittadino della xxvii città muoio alla ricerca di balene che restano sedute sulla spiaggia.
Il coprifuoco indaga sul gioco delle passioni: dunque vivrò come le famiglie dei castori, delle foche, degli scoiattoli e dormirò, per l'ultima volta, su un letto di leoni, simile a stirpi di uomini nella terra di Canaan.
Il libro dei re si apre, ormai, sulla fondazione della terra con insostenibile leggerezza: mostra, solo, una mano senza pelle, complice di Dio.
Ecco un centauro lontano che piange lacrime d'ambra su una croce di cristallo: forse domani la mia stanza vuota si riempirà delle piaghe della storia.
Dolce signora della mia prima elementare, hai sempre sulla bocca quella semplice canzone da due soldi?
Sai, sento ancora le grandi gocce di pioggia che battono sui vetri, ed oggi, pensa un po', anche la mia scrivania è color noce.
Forse non sei stata veramente così bella come ti ricordo: sei soltanto un aquilone sperduto tra le nuvole grigie dei rimpianti e trasportato in alto dal vento.
Ho avuto un sogno troppo breve per farti risvegliare oggi, dolce signora di un mondo ovattato! Nel tuo cuore batte ancora la pioggia di quel novembre buio che ora sento dentro di me?
Un bacio corre sull'illusione della mia fanciullezza e la vecchia estate è ferma, catino della memoria, infernale ed impietoso.
Dolce signora della mia prima elementare, adesso sto danzando con una sconosciuta: forse ho volato oltre l'aurora.
Ma tu non avrai freddo e suonerò per tutta una vita elementare, con una chitarra spezzata: ricorderò ancora il bambino vestito d'azzurro, mentre è il profumo del tuo fiore rosso che mi ha ucciso.
Sei dunque tu, Dio del tumore di mia madre, Dio dei bambini di Brasilia, Dio degli sguardi di terrore ubriachi, Dio delle donne di Zabrè riunite in cooperative?
Tu ritorni indietro nel tempo, perché io sono dentro di Te e fuori di Te, e Tu sei dentro di me e fuori di me, tra questi cieli, questi uccelli, queste pietre, questi ulivi.
Questo tuo suono di pace conosce i miei silenzi ed i miei sogni, ed il fruscio degli alberi è clemente come una mite aurora.
Vieni, o Dio, con le mani giunte ed udrai i miei sospiri, poveri, di un fanciullo pallido, e la piazza della chiesa, il sonno della memoria e l'odore d'incenso.
Dio degli eterni e dei miei tanti errori, quante cose ho schiacciato per non morire; poche volte ti ho cercato ma sempre ti ho voluto, mentre le bianche mani toccavano un santino colorato, memoria e sogno, fichi ed erba gialla, cielo stellato e voce di donna.
Prigioniero di me stesso e degli altri, con te mi tornerà la fiaba dei giorni lontani: non sono più solo su una piazza deserta di sole.