Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Soggettiva

È inutile, se il meticcio alza la gamba
e orina sullo zolfo del perimetro perbene.
Le bottiglie d'acqua non le degna certo il padrone,
si rovesciano per vari eventi
ancora tappate e colme sul marciapiede o sulla strada.
L'apposita appiccicosa forchettina di plastica
si piega ma non s'infilza nella dura polpa zuccherina
del dattero denocciolato, ed è sùbito da buttare.
È inutile quando la primula bianca
passa e s'increspa da se stessa che era in pattumiera;
idem tutti i fiori che avrei potuto regalarle.

I morsetti fermafogli sono da anni nella confezione,
non hanno mai pinzato la mezzeria dell'apertura,
non hanno mai tenuto uniti i fogli di un quotidiano.
Anzi, il giornale comprato ogni giorno,
certi giorni nemmeno riesco a sfogliarlo;
finisce nella pila perfettamente piegato
per un futuro raptus delle pulizie, ed è inutile.
È inutile la nostalgia appassionata del fado:
se non conosco il portoghese,
e non lo conosco, mi annoia.
Lo stesso potrei dire di altro ed altro ancora.

Bassa pianura d'impermeabile mortale argilla
dove arrivano il fiume e i suoi depositi,
con poiesi e parole,
vi sto forse tracciando le isoipse
delle altitudini sognate, mancate?
Nel lattice sottile
ad oggi un altro figlio è in salvo da questo uomo.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Vicino a me e dentro di me

    C'è una donna più bella di te
    nel tavolino seduta vicino a me
    c'è una donna più ricca di te
    nel tavolino seduta vicino a me
    c'è una donna più bionda di te
    nel tavolino seduta vicino a me
    c'è una donna sola nella mia mente
    mentre sono seduto davanti ad una donna
    seduta nel tavolino vicino a me.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Gabbiano India

      Come un Gabbiano volerò
      incitato
      da alberi dalle fronde scomposte
      io, piccolo Buddah dell'amore sorridente bikku
      volerò
      sulla tua pelle sincera
      piegata nel Karma
      raccolta sul sasso
      di un piccolo fiume
      nel sole, nel sorriso,
      silenzioso azzurro perfetto
      dove le nostre ombre s'incontrano
      solitaria India
      occhi di brace
      sentimento fanciullo
      gabbiano suadente
      così
      importante.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        La crisi

        Quell'alba
        di nefandezza stantia,
        armonia
        perduta d'un tempo d'arte,
        oppure un ritorno
        alle origini
        del giorno.

        Colpa dei pescatori di Granada,
        colpa dei timori,
        dei prossimi abbagli
        spazianti verso stordita luce
        da sbagli;
        sguardo rivolto ai popoli di montagna
        che indipendenti scappano verso la Crimea
        attraverso il mare di Azov,
        pensiero rivolto alle crome intense
        e sguardi sfibrati attorno
        ciò che tento di trovare non offrono
        sempre,
        dall'esterno in nessun caso niente;
        trovare armonia,
        armonia perduta d'un tempo d'arte.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Siamo tutti figli della stessa madre

          Chi muore è un eroe allora siamo tutti eroi
          e siamo tutti cantanti alcolizzati,
          tutti liberi da ogni male, tutti dei dell’Olimpo
          con il permesso di fulminare i passanti.
          Tutti siamo dadi e rotolare ci fa stare bene,
          soavemente rotolare ci fare stare bene.
          Siamo tutti figli della stessa madre
          e nostro padre è il milite ignoto,
          nostro padre è un mezzo Buddha
          che ignora il nostro rotolare soave.
          Nostro padre ha una barba finta,
          è truccato male e fuma il sigaro
          nei giorni feriali, nei festivi muore,
          soavemente muore, rotolando muore.
          Abbiamo dato i nostri risparmi
          per la nostra droga, noi tutti,
          soavemente ora rotoliamo.
          Dio non è santo, noi tutti preghiamo
          i santi del cielo maldisposto
          e cerchiamo il nostro dio ad ogni costo.
          Siamo tutti delle spie sull’orlo del braciere,
          intenti solo a rotolare, senza paura di bruciare.
          Siamo tutti suicidi, secondini nell’ora di libertà,
          non sappiamo stare al nostro posto perché amiamo rotolare,
          siamo poeti a dondolo alla mercé dei nostri nemici,
          perché non abbiamo partiti per i quali votare.
          Siamo il nemico e tutti i figli suoi
          e non conosciamo il futuro, così certo.
          Voltati, bendati, siamo il plotone d’esecuzione,
          davanti ci troviamo i nostri peccati,
          con proiettili scheggiati
          miriamo al cuore del nostro passato.
          Stiamo tutti in coda, fanti di coppe,
          alfieri rossi su caselle bianche,
          siamo il bossolo nel caricatore,
          pallina rotolante rotoliamo nella roulette
          fino a svenire di vanità e di noia.
          Indagati per illeciti, illecito è il nostro pensare.
          Siamo città inventate su mappe dell’Impero,
          calici ricolmi di bronzo fuso fumante,
          orizzonti innevati dall’alba polare,
          rotoliamo sul nevischio soave.
          Con gli zigomi ardenti scaliamo le montagne
          alla ricerca del segreto del rubino
          ma siamo noi il segreto e siamo noi il rubino.
          Diciamo parole di cotone e cantiamo,
          soavemente cantiamo liturgie pagane
          e flauti sono le nostre braccia, arpe i nostri capelli
          e violini le dita e viola il nostro cuore.
          Catapulte, masse di fuoco,
          incendiamo i villaggi dei giusti
          ma siamo noi i giusti, siamo noi i nostri avi
          che viviamo a stento per raggiungere la morte soave.
          Siamo l’esorcismo divino, sbronzati rotoliamo
          verso l’estasi dei deboli, siamo i fragili.
          Tutti camionisti senza carico,
          sorpassi in corsia d’emergenza,
          sirene soavi spiegate per la tangente.
          Noi siamo la nebbia, avvolgiamo rotolando,
          avvolgiamo il sole, stiamo nel sole
          e aspettiamo l’attimo per morire.
          Ma chi è mio padre, chi è mia madre?
          E noi, chi siamo noi?
          Noi siamo soli, fuori soli
          e soli lottando, soli fuggendo,
          soli rotolando, soavemente rotolando.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            L'anno 3000

            Il cielo è nero
            su una chitarra
            che accompagna il cavaliere della luna
            mentre
            un giocatore sublime
            danza vorticosamente
            con una gonna al vento
            e i capelli rossi di donna
            su una bianca spiaggia.

            Uccelli migranti sulla
            nube
            della grande sera
            costruiscono i nidi di ghiaccio
            dell'ultima estate perduta.

            Il ciclo dei robot
            è oltre il tramonto:
            stirpi di uomini vagano
            nella città della vertigine
            e gli angeli
            piangono i 150 anni in giallo
            in un giardino dell'Eden.
            Io guardo il segreto del
            millennio
            per la straordinaria storia dell'uomo.

            Cittadino della xxvii città
            muoio
            alla ricerca di balene
            che restano sedute sulla spiaggia.

            Il coprifuoco indaga
            sul gioco delle passioni:
            dunque vivrò come
            le famiglie dei castori,
            delle foche,
            degli scoiattoli
            e dormirò,
            per l'ultima volta,
            su un letto di leoni,
            simile a stirpi di uomini
            nella terra di Canaan.

            Il libro dei re si apre,
            ormai,
            sulla fondazione della terra
            con insostenibile leggerezza:
            mostra, solo,
            una mano senza pelle,
            complice di Dio.

            Ecco un centauro lontano
            che piange
            lacrime d'ambra
            su una croce di cristallo:
            forse domani
            la mia stanza vuota
            si riempirà
            delle piaghe della storia.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
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              Dolce signora

              Dolce signora della mia prima
              elementare,
              hai sempre sulla bocca
              quella semplice canzone da due
              soldi?

              Sai,
              sento ancora le grandi gocce di pioggia
              che battono sui vetri,
              ed oggi, pensa un po',
              anche la mia scrivania è color noce.

              Forse non sei stata veramente
              così bella
              come ti ricordo:
              sei soltanto un aquilone sperduto tra
              le nuvole grigie dei rimpianti
              e trasportato in alto dal vento.

              Ho avuto un sogno troppo
              breve
              per farti risvegliare oggi,
              dolce signora di un mondo ovattato!
              Nel tuo cuore batte ancora
              la pioggia di quel novembre buio
              che ora sento dentro di me?

              Un bacio corre sull'illusione
              della mia fanciullezza
              e la vecchia estate è ferma,
              catino della memoria, infernale ed impietoso.

              Dolce signora della mia prima
              elementare,
              adesso sto danzando con una sconosciuta:
              forse ho volato oltre l'aurora.

              Ma tu non avrai freddo
              e suonerò per tutta una vita elementare,
              con una chitarra spezzata:
              ricorderò ancora il bambino vestito
              d'azzurro,
              mentre è il profumo del tuo fiore
              rosso
              che mi ha ucciso.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Sei dunque tu

                Sei dunque tu,
                Dio del tumore di mia madre,
                Dio dei bambini di Brasilia,
                Dio degli sguardi di terrore ubriachi,
                Dio delle donne di Zabrè riunite in
                cooperative?

                Tu ritorni indietro nel tempo,
                perché io sono dentro di Te e
                fuori di Te,
                e Tu sei dentro di me e fuori di me,
                tra questi cieli, questi uccelli,
                queste pietre, questi ulivi.

                Questo tuo suono di pace
                conosce i miei silenzi
                ed i miei sogni,
                ed il fruscio degli alberi è clemente
                come una mite aurora.

                Vieni, o Dio, con le mani giunte
                ed udrai i miei sospiri,
                poveri,
                di un fanciullo pallido,
                e la piazza della chiesa, il sonno
                della memoria e l'odore
                d'incenso.

                Dio degli eterni e dei miei
                tanti errori,
                quante cose ho schiacciato per non
                morire;
                poche volte ti ho cercato
                ma sempre ti ho voluto,
                mentre le bianche mani toccavano
                un santino colorato,
                memoria e sogno,
                fichi ed erba gialla,
                cielo stellato e voce di
                donna.

                Prigioniero di me stesso e
                degli altri,
                con te mi tornerà la fiaba dei
                giorni lontani:
                non sono più solo
                su una piazza deserta di sole.
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