Ma tu continua e perditi, mia vita, per le rosse città dei cani afosi convessi sopra i fiumi arsi dal vento. Le danzatrici scuotono l'oriente appassionato, effondono i metalli del sole le veementi baiadere. Un passero profondo si dispiuma sul golfo ov'io sognai la Georgia: dal mare (una viola trafelata nella memoria bianca di vestigia) un vento desolato s'appoggiava ai tuoi vetri con una piuma grigia e se volevi accoglierlo una bruna solitudine offesa la tua mano premeva nei suoi limbi odorosi d'inattuate rose di lontano.
L'egual vita diversa urge intorno; cerco e non trovo e m'avvio nell'incessante suo moto: a secondarlo par uso o ventura, ma dentro fa paura. Perde, chi scruta, l'irrevocabil presente; né i melliflui abbandoni né l'oblioso incanto dell'ora il ferreo battito concede. E quando per cingerti lo balzo -' sirena del tempo - un morso appéna e una ciocca ho di te: o non ghermita fuggì, e senza grido nei pensiero ti uccido è nell'atto mi annego. Se a me fusto è l'eterno, fronda la storia e patria il fiore, pur vorrei maturar da radice la mia linfa nel vivido tutto e con alterno vigore felice suggere il sole e prodigar il frutto; vorrei palesasse il mio cuore nei suo ritmo l'umano destino, e che voi diveniste - veggente passione del mondo, bella gagliarda bontà - l'aria di chi respira mentre rinchiuso in sua fatica va. Qui nasce, qui muore i! Mio canto: e parrà forse vano accordo solitario; ma tu che ascolti, recalo al tuo bene e al tuo male; e non ti sarà oscuro.
Sciorinati giorni dispersi, cenci all'aria insaziabile: prementi ore senza uscita, fanghiglia d'acqua sorgiva: torpor d'attimi lascivi fra lo spirito e il senso; forsennato voler che a libertà si lancia e ricade, inseguita locusta tra sterpi; e superbo disprezzo e fatica e rimorso e vano intendere: e rigirìo sul luogo come carte, per invilire poi, fuggendoli lezzo, la verità lontano in pigro scorno; e ritorno, uguale ritorno dell'indifferente vita, mentr'echeggia la via consueti fragori e nelle corti s'amplian faccende in conosciute voci, e bello intorno il mondo, par dileggio all'inarrivabile gloria al piacer che non so, e immemore di me epico armeggio verso conquiste ch'io non griderò. - Oh-per l'umano divenir possente certezza ineluttabile del vero, ordisci, ordisci dè tuoi fili il panno che saldamente nel tessuto è storia e nel disegno eternamente è Dio: ma così, cieco e ignavo, tra morte e morte vii ritmo fuggente, anch'io t'avrò fatto; anch'io.
O carro vuoto sul binano morto, ecco per te la merce rude d'urti e tonfi. Gravido ora pesi sui telai tesi; ma nei ràntoli gonfi si crolla fumida e viene annusando con fascino orribile la macchina ad aggiogarti. Via del suo spazio assorto all'aspro rullare d'acciaio al trabalzante stridere dei freni, incatenato nel gregge per l'immutabile legge del continuo-aperto cammino: e trascinato tramandi e irrigidito rattieni le chiuse forze inespresse su ruote vicine e rotaie incongiungibili e oppresse, sotto il ciel che balzano nei labirinto dei giorni nel bivio delle stagioni contro la noia sguinzaglia l'eterno, verso l'amore pertugia l'esteso, e non muore e vorrebbe, e non vive e vorrebbe, mentre la terra gli chiede il suo verbo e appassionata nel volere acerbo paga col sangue, sola, la sua fede.
Gesù, il Fedele, il Verace, è il Giudice che prese a esprimere visibile nel giorno del Santo Natale l'inesprimibile misericordia del Padre: prese a raggiar malvisto nel voltò sublime la bellezza divina e materna compiendo: e nuovo incanto di beltà pervase con intimo fremito l'universo fra linee terrene presagio di Cielo per educarci lassù, al Paradiso; ma prima ancora la Bontà rifulse, accese d'esser buono il gran tormento, accese d'esser buono un vasto incendio che a somiglianza divina cresce e arde per ogni cuore in carità di Dio trasfigurato: cura d'una vita monda, sete d'innocenza, anelito di vergine scienza, e devota attenzione presso il Bimbo, attenzione devota al Fanciullo fatto emblema d'ogni cosa pura, sciolto problema d'ogni vita piena; e infine salvifico effetto sopra l'intero creato a salvare già qui tutto l'uomo, ciò che è nato nel mondo perituro e portarlo sicuro al giudizio; Gesù il Fedele, il solo punto fermo nel moto dei tempi, in sterminata serie di eventi: il solo Santo che non manca mai, che trascende dove ci comprende e si fa dono 'in cima ai nostri guai e pareggia la grazia coi perdono: vero Dio trasumanante e a Deità aperto vero Uomo: Egli, il Fedele per sempre, Maestro vivente di Fede, egli che viene a Natale in peccato per meritarci in maestà di gloria, continuo avvento al termine segnato: se non'invano passiamo il breve tempo come luce del Figlio Incarnato, come frutti di dolce consiglio, impegno amoroso di vita, di vita dei singolo unanime nel segno, vita raggiunta infinita, in beata circolazione dove l'impeto ta porta che ineffabilmente ovunque va non ritorna, ma In desìo del Padre universalmente procede, nel fulgore del fuoco tutti insieme gloriando quali figli di Dio, alleluiando ai Padre, al Tìglio e allo Spìrito Santo che universalmente procede, tutti insieme in gioco giocondo festando quali in gaudio rapiti figli di Dio nell'impeto che procede su per la multanime fiamma di fratelli nella Mamma Celeste, i Fratelli di Gesù il Fedele.
Gira la trottola viva sotto la sferza, mercé la sferza; lasciata a sé giace priva, stretta alla terra, odiando la terra; fin che giace guarda il suolo; ogni cosa è ferma, e invidia il moto, insidia l'ignoto; ma se poggia a un punto solo mentre va s'impernia, e scorge intorno vede d'intorno; il cerchio massimo è in alto se erige il capo, se regge il corpo; nell'aria tersa è in risalto se leva il corpo, se eleva il capo; gira - e il mondo variopinto fonde in sua bianchezza tutti i contorni, tutti i colori; gira, e il mondo disunito fascia in sua purezza con tutti i cuori per tutti i giorni; vive la trottola e gira, la sferza Iddio, la sferza è il tempo: così la trottola aspira dentro l'amore verso l'eterno.
Dall'immagine tesa vigilo l'istante con imminenza di attesa - e non aspetto nessuno: nell'ombra accesa spio il campanello che impercettibile spande un polline di suono - e non aspetto nessuno: fra quattro mura stupefatte di spazio più che un deserto non aspetto nessuno: ma deve venire, verrà, se resisto a sbocciare non visto, verrà d'improvviso, quando meno l'avverto: verrà quasi perdono di quanto fa morire, verrà a farmi certo del suo e mio tesoro, verrà come ristoro delle mie e sue pene, verrà, forse già viene il suo bisbiglio.
Vita che non osai chiedere e fu, mite, incredula d'essere sgorgata dal sasso impenetrabile del tempo, sorpresa, poi sicura della terra, tu vita ininterrotta nelle fibre vibranti, tese al vento della notte...
Era, donde scendesse, un salto d'acque silenziose, frenetiche, affluenti da una febbrile trasparenza d'astri ove di giorno ero travolto in giorno, da me profondamente entro di me e l'angoscia d'esistere tra rocce perdevo e ritrovavo sempre intatta.
Tempo di consentire sei venuto, giorno in cui mi maturo, ripetevo, e mormora la crescita del grano, ronza il miele futuro. Senza pausa una ventilazione oscura errava tra gli alberi, sfiorava nubi e lande; correva, ove tendesse, vento astrale, deserto tra le prime fredde foglie, portava una germinazione oscura negli alberi, turbava pietre e stelle.
Con lo sgomento d'una porta che s'apra sotto un peso ignoto, entrava nel cuore una vertigine d'eventi, moveva il delirio e la pietà. Le immagini possibili di me, passi uditi nel sogno ed inseguiti, svanivano, con che tremenda forza ti fu dato di cogliere, dicevo, tra le vane la forma destinata! Quest'ora ti edifica e ti schianta. L'uno ancora implacato, l'altro urgeva - con insulto di linfa chiusa i giorni vorticosi nascevano da me, rapidi, colmi fino al segno, ansiosi, senza riparo n'ero trascinato. Fosti, quanto puoi chiedere, reale, la contesa col nulla era finita, spirava un tempo lucido e furente, senza fine perivi e rinascevi, ne sentivi la forza e la paura. Una disperazione antica usciva dagli alberi, passava sulle tempie. Vita, ne misuravi la pienezza,.
Parla il cipresso equinoziale, oscuro e montuoso esulta il capriolo, dentro le fonti rosse le criniere dai baci adagio lavan le cavalle. Giù da foreste vaporose immensi alle eccelse città battono i fiumi lungamente, si muovono in un sogno affettuose vele verso Olimpia. Correranno le intense vie d'Oriente ventilate fanciulle e dai mercati salmastri guarderanno ilari il mondo. Ma dove attingerò io la mia vita ora che il tremebondo amore è morto? Violavano le rose l'orizzonte, esitanti città stavano in cielo asperse di giardini tormentosi, la sua voce nell'aria era una roccia deserta e incolmabile di fiori.