Poesie d'Autore


Scritta da: Marianna Mansueto
in Poesie (Poesie d'Autore)
Ti si sta vedendo l'altra.
Somiglia a te:
i passi, la stessa fronte aggrondata,
gli stessi tacchi alti
tutti macchiati di stelle.
Quando andrete per strada
insieme, tutte e due,
che difficile sapere
chi sei, chi non sei tu!
Così uguali ormai, che sarà
impossibile continuare a vivere
così, essendo tanto uguali.
E siccome tu sei la fragile,
quella che appena esiste, tenerissima,
sei tu a dover morire.
Tu lascerai che ti uccida,
che continui a vivere lei,
la falsa tu, menzognera,
ma a te così somigliante
che nessuno ricorderà
tranne me, ciò che eri.
E verrè un giorno
-perché verrà, sì, verrà-
in cui guardandomi negli occhi
tu vedrai
che penso a lei e che la amo
e vedrai che non sei tu.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)
    La felicità è fatta di attimi.
    La felicità è un bimbo che nasce,
    il sorriso di un anziano,
    la gioia dei tuoi figli,
    le braccia calde dei tuoi genitori
    le favole ascoltate e quelle raccontate,
    i tuoi figli che crescono,
    vedere nascere i tuo nipoti,
    l'affetto dei tuoi amici,
    e mille altre piccole cose che danno un senso a questa vita.
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      Scritta da: Rita Cangiano
      in Poesie (Poesie d'Autore)
      Girerò per le strade finché non sarò stanca morta
      saprò vivere sola e fissare negli occhi
      ogni volto che passa e restare sempre la stessa.
      Questo fresco che sale a cercarmi le vene
      è un risveglio che mai nel mattino ho provato
      così vero: soltanto, mi sento più forte
      che il mio corpo, e un tremore più feddo accompagna il mattino.
      Son lontani i mattini che avevo vent'anni.
      E domani, ventuno: domani uscirò per le strade,
      ne ricordo ogni sasso e le strisce di cielo.
      Da domani la gente riprende a vedermi
      e sarò ritta in piedi e potrò soffermarmi
      e specchiarmi in vetrine. I mattini di un tempo,
      ero giovane e non lo sapevo, e
      nemmeno sapevo
      di essere io che passavo-una donna, pdrona
      di se stessa. La magra bambina che fui
      si è svegliata da un pianto non fosse mai stato.
      E desidero solo colori. I colori non piangono,
      sono come un risveglio: domani i colori
      torneranno. Ciascuna uscirà per la strada,
      ogni corpo un colore-perfino i bambini.
      Questo corpo vestito di rosso leggero
      dopo tanto pallore riavrà la sua vita.
      Sentirò intorno a me scivolare gli sguardi e saprò d'esser io: gettando un'occhiata,
      mi vedrò tra la gente. Ogni nuovo mattino,
      uscirò per le strade cercando i colori.
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        Scritta da: Pierluigi Camilli
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        La mamma educatrice

        Viva Adelaide
        che il cuor m'infiamma,
        e in omnia secula,
        viva la mamma!
        Donna mirabile,
        donna famosa!
        È un capo d'opera
        è una gran cosa.
        Una domenica
        L'incontro in piazza,
        che aveva a latere
        la sua ragazza;
        mi ferma e, affabile
        come conviene,
        comincia al solito:
        - Che fa? Sta bene? -
        Ed alla figlia
        che stava zitta,
        gridò: - Su, animo!
        Che fai lì ritta?
        Su grulla, avvezzati,
        fa il tuo dovere... -
        Che mamma amabile!
        Non è un piacere?
        E poi, tenendomi
        le mani ai panni,
        soggiunse: - Oh, passano
        pur presto gli anni!
        L'ho vista nascere:
        eh, malannaggio!
        S'invecchia e termina
        l'erba di maggio!
        Eh, bimba andiamocene,
        stamane ho fretta:
        venga un po' a veglia,
        venga, s'aspetta!
        Siam gente povera,
        ma di buon cuore:
        ci fa una grazia,
        anzi un onore.
        Via bimba, pregalo!
        Stai lì impalata!
        Ma, santa Vergine!
        Sei pur sgarbata! -
        «È sempre giovane»
        dissi « aspettate,
        lasciate correre,
        non la sgridate:
        l'età, la pratica
        è molto: e poi,
        farà miracoli
        sotto di voi! »
        Ai panegirici
        non sempre avvezza,
        fece una smorfia
        di tenerezza
        la vecchia, e a battere
        sul primo invito
        tornò, dicendomi:
        - Dunque, ha capito;
        sa dove s'abita:
        verrà? - «Verrò. »
        E chi rispondere
        Potea di no?
        V'andai. Col giubilo,
        con quel sembiante
        che per le visite
        d'un zoccolante
        ho visto prendere
        dalle massaie,
        quando alla questua
        gira per l'aie,
        quelle, vedendomi,
        in un baleno
        precipitarono
        a pian terreno;
        poi risalirono
        con meco; ed ambe
        -Badi- gridavano
        -badi alle gambe.
        È poco pratico
        la scala è scura... -
        «Ma quanti incomodi!
        Quanta premura! »
        Salgo, si chiacchiera
        sul più, sul meno;
        mi dàn del discolo
        dal capo ameno.
        Tutta sollecita
        la mamma intanto
        scotea la seggiola,
        puliva un santo;
        da un certo armadio
        fra pochi stracci
        scioglieva in furia
        due canovacci;
        d'acqua in un angolo
        la brocca empiva:
        che mamma provvida!
        Che pulizia!
        Finite all'ultimo
        tante faccende,
        disse: - E per tavola
        cosa si prende?
        Credi Delaide,
        sono sgomenta! -
        e a me voltandosi
        diceva: - Senta,
        con tanti ninnoli
        ci va un tesoro:
        le voglie crescono,
        manca il lavoro.
        Oh, ripensandoci
        m'affogherei;
        almeno, càttera,
        felice lei... -
        Capii l'antifona,
        ed un testone
        le offersi a titolo
        di compassione.
        La vecchia ingenua
        per la sorpresa
        m'urtò col gomito,
        si finse offesa;
        ma per imprestito
        poi l'accettò,
        e per andarsene
        s'incamminò
        e nell'orecchio
        mi disse: -Ohè!
        Ritorno subito;
        badiamo, vhè! -
        Io per non ridere
        alzando il ciglio,
        risposi: «Diamine!
        Mi meraviglio! »
        Esce da camera,
        chiude la porta;
        sta fuori un secolo:
        che mamma accorta!
        Poi tosse e strascica
        prima d'entrare....
        Il ciel moltiplichi
        mamme sì rare!
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Ridotto a me stesso?

          Ridotto a me stesso?
          Morto l'interlocutore?
          O morto io,
          l'altro su di me
          padrone del campo, l'altro,
          universo, parificatore...
          o no,
          niente di questo:
          il silenzio raggiante
          dell'amore pieno,
          della piena incarnazione
          anticipato da un lampo? -
          penso
          se è pensare questo
          e non opera di sonno
          nella pausa solare
          del tumulto di adesso.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Per mare

            Nel più alto punto
            dove scienza è oblìo d'ogni sapere
            e certezza, mi dicono,
            certezza irrefutabile venuta incontro

            o nel tempo appeso a un filo
            d'un riacquisto d'infanzia,

            tra sonno e veglia, tra innocenza e colpa,

            dove c'è e non c'è opera nostra voluta e scelta.

            "La salute della mente
            è là" dice una voce
            con cui contendo da anni,
            una voce che ora è di sirena.

            Si naviga tra Sardegna e Corsica.
            C'è un po' di mare
            e la barca appruata scarricchia.
            L'equipaggio dorme. Ma due
            vegliano nella mezzaluce della plancia.
            È passato agosto; Siamo alla rottura dei tempi.
            È una notte viva.
            Viva più di questa notte,
            viva tanto da serrarmi la gola
            è la muta confidenza
            di quelli che riposano
            si curi in mano d'altri
            e di questi che non lasciano la manovra e il calcolo

            mentre pregano per i loro uomini in mare
            da un punto oscuro della costa, mentre arriva
            dalla parte del Rodano qualche raffica.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              L'India

              Tace ora, mi chiedo se oppressa dal suo Karma,
              (so della sua vita, del nome che le dà, e del senso)
              mentre mostra a lungo lo schermo
              sul selciato una moltitudine
              stecchita in una posa tra sonno e morte
              levarsi a stento in preghiera e spulciarsi nell'alba.
              Né forse la colpisce il primo aspetto
              ma un altro più recondito, e vede
              una giustizia di diverso stampo
              in quella sofferenza di paria
              orrida eppure non abietta, e nella sua che le scende addosso.

              "Avere o non avere la sua parte in questa vita"
              riemerge in parole il suo pensiero - ma solo un lembo.
              E io ne tiro a me quella frangia
              ansioso mi confidi tutto l'altro,
              attento non mi rubi niente
              di lei, neppure l'amarezza, ed attendo.
              S'interrompe invece. Seguono altre immagini dell'India
              e nel loro riverbero le colgo
              un sorriso estremo tra di vittima e di bimba
              quasi mi lasci quella grazia in pegno
              di lei mentre si eclissa nella sua pena
              e l'idea di se stessa le muore dentro.

              "Perché porti quel giogo, perché non insorgi"
              mi trattengo appena dal gridarle,
              soffrendo perché soffre, certo,
              ma più ancora perché lascia la presa
              della mia tenerezza non saziata e piglia il largo piangendo;
              "Ascoltami" comincio a mormorarle
              e già penso al chiarore della sala dopo il technicolor
              e a lei che sul punto di partire
              mi guarda da dietro la lampada
              della sua solitudine tenuta alzata di fronte.

              "Mario" mi previene lei che indovina il resto. "Ancora
              levi come una spada, buona a che?,
              lo sdegno per le cose che ti resistono.
              Uomo chiuso all'intelligenza del diverso,
              negato all'amore: del mondo, intendo, di Dio dunque"
              e indulge a una smorfia fine di scherno
              per se stessa salita sul pulpito, e quasi si annulla.

              "Davvero vorrei tu avessi vinto"
              le dico con affetto incontenibile, più tardi,
              mentre scorre in un brusio d'api, nel film senza commento, l'India.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Il Giudice

                "Credi che il tuo sia vero amore? Esamina
                a fondo il tuo passato" insiste lui
                saettando ben addentro
                la sua occhiata di presbite tra beffarda e strana.
                E aspetta. Mentre io guardo lontano
                ed altro non mi viene in mente
                che il mare fermo sotto il volo dei gabbiani
                sfrangiato appena tra gli scogli dell'isola,
                dove una terra nuda si fa ombra
                con le sue gobbe o un'altra preparata a semina
                si fa ombra con le sue zolle e con pochi fili.
                "Certo, posso aver molto peccato"
                rispondo infine aggrappandomi a qualcosa,
                sia pure alle mie colpe, in quella luce di brughiera.
                "Piangere, piangere dovresti sul tuo amore male inteso"
                riprende la sua voce con un fischio
                di raffica sopra quella landa passando alta.
                L'ascolto e neppure mi domando
                perché sia lui e non io di là da questo banco
                occupato a giudicare i mali del mondo.
                "Può darsi" replico io mentre già penso ad altro,
                mentre la via s'accende scaglia a scaglia
                e qui nel bar il giorno ancora pieno
                sfolgora in due pupille di giovinetta che si sfila il grembio
                per le ore di libertà e l'uomo che le ha dato il cambio
                indossa la gabbana bianca e viene
                verso di noi con due bicchieri colmi,
                freschi, da porre uno di qua uno di là sopra il nostro tavolo.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  A mia madre dalla sua casa

                  M'accoglie la tua vecchia, grigia casa
                  steso supino sopra un letto angusto,
                  forse il tuo letto per tanti anni. Ascolto,
                  conto le ore lentissime a passare,
                  più lente per le nuvole che solcano
                  queste notti d'agosto in terre avare.

                  Uno che torna a notte alta dai campi
                  scambia un cenno a fatica con i simili,
                  infila l'erta, il vicolo, scompare
                  dietro la porta del tugurio. L'afa
                  dello scirocco agita i riposi,
                  fa smaniare gli infermi ed i reclusi.

                  Non dormo, seguo il passo del nottambulo
                  sia demente sia giovane tarato
                  mentre risuona sopra pietre e ciottoli;
                  lascio e prendo il mio carico servile
                  e scendo, scendo più che già non sia
                  profondo in questo tempo, in questo popolo.
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