Luci che mai son pago di mirare come diamanti eternamente ardenti. Voi, fiaccole lucenti, che la notte e tenebrose nubi attraversate; voi che i parchi del cielo, come fiori adornate. Voi, testimoni d'Iddio il dì della creazione, che solo Dio conosce e commisura, che soltanto il Suo verbo chiamò col giusto nome (noi, ciechi mortali, che cimentarci osiamo!) Custodi del piacere, oh quante dolci notti ho trascorso, vegliando, a contemplarvi. Sentinelle del tempo, quando succederà che libero d'affanni e mai di voi dimentico, sotto di me io vi scruti, voi che col vostro lume mi avete acceso l'anima e la mente?
Forse c'è una casa in questa città dove la porta s'apra per sempre questa mattina al tocco dell'aurora, dove lo scopo della luce è raggiunto.
I fiori sono sbocciati nelle siepi e nei giardini, e forse c'è un cuore che in essi ha trovato questa mattina il dono che era in viaggio da un tempo infinito.
Ecco il genio umanitario che del mondo stazionario unge le carrucole. Per finir la vecchia lite tra noi, bestie incivilite sempre un po' selvatiche, coll'idea d'essere Orfeo vuoi mestare in un cibreo l'universo e reliqua. Al ronzio di quella lira ci uniremo, gira gira, tutti in un gomitolo. Varietà d'usi e di clima le son fisime di prima; è mutata l'aria. I deserti, i monti, i mari, son confini da lunari, sogni di geografi. Col vapore e coi palloni troveremo gli scorcioni anco nelle nuvole; ogni tanto, se ci pare, scapperemo a desinare sotto, qui agli antipodi; e né gemini emisferi ci uniremo bianchi e neri: bene! Che bei posteri! Nascerà di cani e gatti una razza di mulatti proprio in corpo e in anima. La scacchiera d'Arlecchino sarà il nostro figurino, simbolo dell'indole. (Già per questo il Gran Sultano fé' la giubba al Mussulmano a coda di rondine!) Bel gabbione di fratelli! Di tirarci pè capelli smetteremo all'ultimo. Sarà inutile il cannone; rnorirem d'indigestione, anzi di nullaggine. La fiaccona generale per la storia universale farà molto comodo. Io non so se il regno umano deve aver Papa e Sovrano: ma se ci hanno a essere, Il Monarca sarà probo e discreto: un re del globo saprà star né limiti. Ed il capo della fede? Consoliamoci, si crede che sarà cattolico.
Finirà, se Dio lo vuole, questa guerra di parole, guerra da pettegoli. Finirà: sarà parlata una lingua mescolata, tutta frasi aeree; e già già da certi tali nei poemi e nei giornali si comincia a scriverè. Il puntiglio discortese di tener dal suo paese, sparirà tra gli uomini. Lo chez-nous'd'un vagabondo vorrà dire: in questo mondo, non a casa al diavolo. Tu, gelosa ipocondria, che m'inchiodi a casa mia, escimi dal fegato; e tu pur chetati, o Musa, che mi secchi colla scusa dell'amor di patria. Son figliuol dell'universo, e mi sembra tempo perso scriver per l'Italia. Cari miei concittadini, non prendiamo per confini l'Alpi e la Sicilia. S'ha da star qui rattrappiti sul terren che ci ha nutriti? O che siamo cavoli? Qua e là nascere adesso, figuratevi, è lo stesso: io mi credo Tartaro. Perché far razza tra noi? Non è scrupolo da voi: abbracciamo i barbari! Un pensier cosmopolita ci moltiplichi la vita, e ci slarghi il cranio. Il cuor nostro accartocciato, nel sentirsi dilatato, cesserà di battere. Così sia: certe battute fanno male alla salute; ci è da dare in tisico. Su venite, io sto per uno; son di tutti e di nessuno; non mi vò confondere. Nella gran cittadinanza, picchia e mena, ho la speranza di veder le scimmie Sì sì, tutto un zibaldone: alla barba di Platone ecco la repubblica!
Lei è all'orizzonte. Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l'orizzonte si sposta dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l'utopia? Serve proprio a questo: a camminare.
È sempre così di giorno e di notte. C'è il gallo che canta e la stella che torna con i suoi sogni per te contadino del mondo ovunque tu sia. Con le mani affondate nelle tasche fischietta il fanciullo e la fanciulla lo attende alla finestra, ma un altro è passato prima di lui, ed è la stessa cosa. Di giorno. Di notte. Il lavoro stanco, il riposo pigro e poi il gallo che canta e si passa il giorno sperando nelle stelle che verranno: ma è una notte di novilunio e non si vede niente mentre un fanciullo fischietta ancora deluso con un filo di paglia in bocca e una lacrima che il sole ha asciugato sul suo viso, e poi la notte. Ma il fanciullo è stanco e vomita odio e dolore al solito canto del gallo e lascia il suo mondo per seguire un cercatore d'oro, ma il colore del metallo non cambia la vita e fischietterà ancora deluso al chiudersi d'una finestra in un peccato d 'amore.
Tu vivi sempre nei tuoi atti. Con la punta delle dita sfiori il mondo, gli strappi aurore, trionfi, colori, allegrie: è la tua musica. La vita è ciò che tu suoni.
Dai tuoi occhi solamente emana la luce che guida i tuoi passi. Cammini fra ciò che vedi. Soltanto.
E se un dubbio ti fa cenno a diecimila chilometri, abbandoni tutto, ti lanci su prore, su ali, sei subito lì; con i baci, coi denti lo laceri: non è più dubbio. Tu mai puoi dubitare.
Perché tu hai capovolto i misteri. E i tuoi enigmi, ciò che mai potrai capire, sono le cose più chiare: la sabbia dove ti stendi, il battito del tuo orologio e il tenero corpo rosato che nel tuo specchio ritrovi ogni giorno al risveglio, ed è il tuo. I prodigi che sono già decifrati.
E mai ti sei sbagliata, solo una volta, una notte che t'invaghisti di un'ombra -l'unica che ti è piaciuta- un'ombra pareva. E volesti abbracciarla. Ed ero io.
Ti si sta vedendo l'altra. Somiglia a te: i passi, la stessa fronte aggrondata, gli stessi tacchi alti tutti macchiati di stelle. Quando andrete per strada insieme, tutte e due, che difficile sapere chi sei, chi non sei tu! Così uguali ormai, che sarà impossibile continuare a vivere così, essendo tanto uguali. E siccome tu sei la fragile, quella che appena esiste, tenerissima, sei tu a dover morire. Tu lascerai che ti uccida, che continui a vivere lei, la falsa tu, menzognera, ma a te così somigliante che nessuno ricorderà tranne me, ciò che eri. E verrè un giorno -perché verrà, sì, verrà- in cui guardandomi negli occhi tu vedrai che penso a lei e che la amo e vedrai che non sei tu.
La felicità è fatta di attimi. La felicità è un bimbo che nasce, il sorriso di un anziano, la gioia dei tuoi figli, le braccia calde dei tuoi genitori le favole ascoltate e quelle raccontate, i tuoi figli che crescono, vedere nascere i tuo nipoti, l'affetto dei tuoi amici, e mille altre piccole cose che danno un senso a questa vita.
Girerò per le strade finché non sarò stanca morta saprò vivere sola e fissare negli occhi ogni volto che passa e restare sempre la stessa. Questo fresco che sale a cercarmi le vene è un risveglio che mai nel mattino ho provato così vero: soltanto, mi sento più forte che il mio corpo, e un tremore più feddo accompagna il mattino. Son lontani i mattini che avevo vent'anni. E domani, ventuno: domani uscirò per le strade, ne ricordo ogni sasso e le strisce di cielo. Da domani la gente riprende a vedermi e sarò ritta in piedi e potrò soffermarmi e specchiarmi in vetrine. I mattini di un tempo, ero giovane e non lo sapevo, e nemmeno sapevo di essere io che passavo-una donna, pdrona di se stessa. La magra bambina che fui si è svegliata da un pianto non fosse mai stato. E desidero solo colori. I colori non piangono, sono come un risveglio: domani i colori torneranno. Ciascuna uscirà per la strada, ogni corpo un colore-perfino i bambini. Questo corpo vestito di rosso leggero dopo tanto pallore riavrà la sua vita. Sentirò intorno a me scivolare gli sguardi e saprò d'esser io: gettando un'occhiata, mi vedrò tra la gente. Ogni nuovo mattino, uscirò per le strade cercando i colori.