Scritta da: Andrea Baron
in Poesie (Poesie d'Autore)
Come quelle enormi sfingi distese per l'eternità in nobile posa nel deserto sabbioso, essi scrutano il nulla senza curiosità, calmi e saggi.
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Come quelle enormi sfingi distese per l'eternità in nobile posa nel deserto sabbioso, essi scrutano il nulla senza curiosità, calmi e saggi.
Il mio cuore è una rossa
macchia di sangue dove
io bagno senza possa
la penna, a dolci prove
eternamente mossa.
E la penna si muove
e la carta s'arrossa
sempre a passioni nove.
Giorno verrà: lo so
che questo sangue ardente
a un tratto mancherà,
che la mia penna avrà
uno schianto stridente...
... e allora morirò.
Dicean ghignando che a la donna sola,
A la rejetta, a l'esule, a la mesta,
Non più l'arte, che inalza e che consola,
Darebbe fiori per la bionda testa.
La Musa, invece, intorno ad essa vola
Sempre fida qual pria, nobile, onesta
E fa negl'inni udir la sua parola
Che memorie e speranze in lei ridesta.
Insieme van così lungo il sentiero
Triste del mondo, che soltanto ha fine
Ne l'alta erba là giù del cimitero.
Ingombro è il suol di rettili e di spine,
Di minacciose nubi il cielo è nero,
E pur cantano ancor le pellegrine.
Amore, amore non dammi riposo,
Amore, amore il mio seno ha corroso;
Alzar le ciglia, e guardarlo non oso
Quel Dio pietoso, che me volse amare.
O santa piaga del lato di Cristo,
Da che al tuo sangue il mio pianto s'è misto,
ii paradiso dell'anima ho visto,
Al cui conquisto mi voglio affrettare.
Con le mie mani tremanti t'attingo,
Con labbra smorte ti bacio, ti stringo,
Del tuo colore quest'anima tingo,
E più la spingo e più vuol penetrare.
Ii sapor dolce, la grata fragranza
Più sempre accende la mia desianza;
O mia dolcezza, mia sola speranza,
Mia sola amanza, in te vommi mutare.
Amore, amore, amor solo, amor santo,
Deh! Com'è dolce morirti da canto,
Com'è suave distruggersi in pianto,
E in un mar santo di luce affogare!
E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto.
Il cielo ingombro, tragico, disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d'un tratto;
come un occhio, che, largo, esterrefatto,
s'aprì e si chiuse, nella notte nera.
Nella cala tranquilla
scintilla,
intesto di scaglia
come l'antica
lorica
del catafratto,
il Mare.
Sembra trascolorare.
S'argenta? S'oscura?
A un tratto
come colpo dismaglia
l'arme, la forza
del vento l'intacca.
Non dura.
Nasce l'onda fiacca,
sùbito s'ammorza.
Il vento rinforza.
Altra onda nasce,
si perde,
come agnello che pasce
pel verde:
un fiocco di spuma
che balza!
Ma il vento riviene,
rincalza, ridonda.
Altra onda s'alza,
nel suo nascimento
più lene
che ventre virginale!
Palpita, sale,
si gonfia, s'incurva,
s'alluma, propende.
Il dorso ampio splende
come cristallo;
la cima leggiera
s'arruffa
come criniera
nivea di cavallo.
Il vento la scavezza.
L'onda si spezza,
precipita nel cavo
del solco sonora;
spumeggia, biancheggia,
s'infiora, odora,
travolge la cuora,
trae l'alga e l'ulva;
s'allunga,
rotola, galoppa;
intoppa
in altra cui 'l vento
diè tempra diversa;
l'avversa,
l'assalta, la sormonta,
vi si mesce, s'accresce.
Di spruzzi, di sprazzi,
di fiocchi, d'iridi
ferve nella risacca;
par che di crisopazzi
scintilli
e di berilli
viridi a sacca.
O sua favella!
Sciacqua, sciaborda,
scroscia, schiocca, schianta,
romba, ride, canta,
accorda, discorda,
tutte accoglie e fonde
le dissonanze acute
nelle sue volute
profonde,
libera e bella,
numerosa e folle,
possente e molle,
creatura viva
che gode
del suo mistero
fugace.
E per la riva l'ode
la sua sorella scalza
dal passo leggero
e dalle gambe lisce,
Aretusa rapace
che rapisce la frutta
ond'ha colmo suo grembo.
Sùbito le balza
il cor, le raggia
il viso d'oro.
Lascia ella il lembo,
s'inclina
al richiamo canoro;
e la selvaggia
rapina,
l'acerbo suo tesoro
oblìa nella melode.
E anch'ella si gode
come l'onda, l'asciutta
fura, quasi che tutta
la freschezza marina
a nembo
entro le giunga!
Musa, cantai la lode
della mia Strofe Lunga.
Non siam
la forza più che nei giorni lontani
muoveva la terra ed il cielo: noi, siamo quello che siamo:
una tempra d'eroici cuori, sempre la stessa:
in lottare e cercare e trovare
né cedere mai.
Tanto per non finire:
la morte, già così allegra a viverla,
ora la dovrei morire?
(Non me la sento, d'ucciderla)
Affrettati a spegnere le passioni prima che ti brucino.
Ti guardo e ti ascolto ma non ti vedo ne ti sento.
Orrore "né" è negazione!