Poesie d'Autore


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Uomo e donna a letto alle 10 pomeridiane

Mi sento come una scatola di sardine, disse lei.
Mi sento come un cerotto, dissi io.
Mi sento come un panino al tonno, disse lei.
Mi sento come un pomodoro a fette, dissi io.
Mi sento come se stesse per piovere, disse lei.
Mi sento come se l'orologio s'è fermato, dissi io.
Mi sento come se la porta fosse aperta, disse lei.
Mi sento come se stesse per entrare un elefante, dissi io.
Mi sento che dovremmo pagare l'affitto, disse lei.
Mi sento che dovresti trovare lavoro, disse lei.

Non me la sento di lavorare, dissi.

Mi sento che di me non te me ne importa, disse lei.
Mi sento che dovremmo far l'amore, dissi io.
Mi sento che l'amore l'abbiamo fatto fìn troppo, disse lei.
Mi sento che dovremmo farlo più spesso, dissi io.
Mi sento che dovresti trovare lavoro, disse lei.
Mi sento che dovresti trovare lavoro, dissi io.
Mi sento una gran voglia di bere, disse lei.
Mi sento come una bottiglia di whisky, dissi io.
Mi sento che finiremo come due ubriaconi, disse lei.
Mi sento che hai ragione, dissi io.
Mi sento di mollare tutto, disse lei.
Mi sento che ho bisogno d'un bagno, dissi io.
Anch'io mi sento che hai bisogno d'un bagno, disse lei.
Mi sento che dovresti lavarmi la schiena, dissi io.
Mi sento che tu non mi ami, disse lei.
Mi sento che ti amo, dissi io.
Mi sento quel coso dentro adesso, disse lei.
Anch'io sento che adesso quel coso è dentro di te, dissi io.
Mi sento che adesso ti amo, disse lei.
Mi sento che ti amo più di te, dissi io.
Mi sento benone, disse lei, ho voglia di urlare.
Mi sento che non la smetterei più, dissi io.
Mi sento che ne saresti capace, disse lei.
Mi sento, dissi io.
Mi sento, disse lei.
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    Pioggia

    Un'orchestra sinfonica.
    Scoppia un temporale,
    stanno suonando un'ouverture di Wagner
    la gente lascia i posti sotto gli alberi
    e si precipita nel padiglione
    le donne ridendo, gli uomini ostentatamente calmi,
    sigarette bagnate che si buttano via,
    Wagner continua a suonare, e poi sono tutti
    al coperto. Vengono persino gli uccelli dagli alberi
    ed entrano nel padiglione e poi c'è la Rapsodia
    Ungherese n. 2 di Lizst, e piove ancora, ma guarda,
    un uomo seduto sotto la pioggia
    in ascolto. Il pubblico lo nota. Si voltano
    a guardare. L'orchestra bada agli affari
    suoi. L'uomo siede nella notte nella pioggia,
    in ascolto. Deve avere qualcosa che non va,
    no?
    È venuto a sentire
    la musica.
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      Partita a scopa

      Una delle cose più terribili è
      davvero
      stare a letto
      una notte dopo l'altra
      con una donna che non hai più voglia
      di scopare.

      Invecchiano, non sono più tanto
      belle – tendono persino
      a russare, buttarsi
      giù.

      Così, a letto, a volte ti giri,
      il tuo piede tocca il suo –
      Dio, che orrore! –
      e la notte è là fuori
      dietro le tendine
      e insieme vi suggella
      nella
      tomba.

      E la mattina vai in bagno,
      parli, attraversi il corridoio,
      dici strane cose; le uova friggono,
      partono i motori.

      Ma seduti l'uno di fronte all'altro
      hai 2 estranei
      che si ficcano in bocca il pane tostato
      che si bruciano col caffè bollente la gola risentita
      e l'intestino.

      In dieci milioni di case americane
      è lo stesso –
      vite stantie appoggiate
      l'una all'altra
      e nessun posto
      dove andare.

      Sali in macchina
      e vai a lavorare
      e là ci sono degli altri sconosciuti, quasi tutti
      mogli e mariti di qualcun altro,
      e oltre alla ghigliottina del lavoro,
      flirtano, scherzano r si danno pizzicotti,
      tendendo qualche volta
      a farsi in qualche posto una rapida scopata –
      a casa non possono farlo –
      e poi
      tornano a casa
      ad aspettare il Natale o il Labor Day
      o la domenica
      o qualcosa.
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        Vivere

        Voglio dire, dormivo soltanto
        mi svegliai con una mosca sul gomito e
        chiamai la mosca Benny
        poi l'uccisi
        e poi m'alzai per guardare
        nella cassetta della posta
        e c'era una specie di avviso
        del governo
        ma siccome non c'era nessuno tra i cespugli
        con la baionetta
        lo stracciai
        e tornai a letto a guardare il soffitto
        e pensai: questo mi piace proprio,
        voglio starmene qui sdraiato per altri dieci minuti
        e rimasi lì sdraiato per altri dieci minuti
        e pensai:
        è assurdo, ho tante cose da fare
        ma voglio starmene qui sdraiato per un'altra
        mezz'ora
        e mi stirai
        mi stirai
        e guardai il sole tra le foglioline di un albero
        fuori, e mi vennero pensieri meravigliosi,
        non mi vennero pensieri immortali,
        e quello fu il momento migliore
        e cominciò a far caldo
        e buttai via le coperte e dormii -
        ma un sogno maledetto:
        ero ancora sul treno
        per le solite 5 ore di viaggio su e giù fino
        all'ippodromo,
        seduto accanto al finestrino,
        davanti al solito oceano malinconico, con la Cina laggiù che m'insinuava
        bizzarrie nel fondo del cervello,
        e poi qualcuno sedette accanto a me
        e parlò di cavalli
        una naftalina di parole che mi sventrarono
        come la morte, e poi ero là
        di nuovo: i cavalli che correvano come una cosa vista
        su uno schermo e i fantini pallidissimi in viso
        e non contava chi vinse
        alla fine e tutti lo sapevano,
        il viaggio di ritorno fatto in sogno era lo stesso
        della realtà:
        neri pesi di notte tutt'intorno
        alle stesse montagne vergognose
        d'essere là, e ancora il mare, ancora
        il treno come un gallo che passa la cruna
        d'un ago
        e mi toccò d'alzarmi per andare al gabinetto
        e non avevo voglia di andare al gabinetto
        perché qualcuno aveva gettato, qualche minchione aveva gettato della carta
        nel cesso, ingorgandolo di nuovo,
        e quando tornai fuori
        nessuno aveva altro da fare che guardare
        la mia faccia
        e io sono così stanco
        che lo sanno quando mi guardano in faccia
        che li
        odio
        e allora odiano me
        e vorrebbero ammazzarmi
        ma non lo fanno.
        Mi svegliai ma siccome non c'era nessuno
        vicino al letto
        per dirmi che
        sbagliavo
        dormii ancora
        un po'.
        Questa volta quando mi svegliai
        era quasi
        sera. La gente tornava dal lavoro.
        Mi alzai e sedetti su una seggiola a guardarli.
        Non avevano una gran bella cera.
        Anche le ragazzine non erano così attraenti come
        quando erano partite.
        E arrivarono gli uomini: sicari, assassini, ladri, truffatori,
        l'intero campionario, e i loro volti erano più orrendi
        di qualunque mascherone mai ideato.

        Trovai un ragno nell'angolo e l'uccisi
        con la scopa.

        Guardai la gente ancora per un po' e poi mi stancai e smisi
        di guardare e mi feci due uova fritte e sedetti a tavola
        con un pezzo di pane e annaffiai il tutto con un goccio di tè.

        Stavo bene.
        Poi feci un bagno e tornai
        a letto.
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          in Poesie (Poesie d'Autore)

          I lavoratori

          Ridono continuamente
          anche quando
          un'asse piomba giù
          e rovina una faccia
          o deforma
          un corpo
          loro continuano a ridere,
          quando il colore dell'occhio
          impallidisce da far paura
          per via della poca
          luce
          ridono ancora;
          rugosi e rimbecilliti
          ancora giovani
          ci scherzano sopra:
          un uomo che dimostra sessant'anni
          dirà
          ne ho 32, e
          allora rideranno tutti;
          qualche volta li fanno
          uscire per una boccata d'aria
          ma sono incatenati a ritornare
          da catene, che non
          spezzerebbero
          anche se potessero;
          anche fuori, tra
          gli uomini liberi,
          continuano a ridere,
          girano qua e là
          con un passo zoppicante
          e inane
          quasi non fossero più lì
          con la testa; fuori
          masticano un tozzo di pane,
          tirano sul prezzo, dormono, contano i soldi,
          guardano l'orologio
          e sono di ritorno;
          qualche volta nei confini
          addirittura si fanno seri
          un momento, parlano di
          Fuori, di come deve essere
          orribile,
          essere
          chiusi Fuori
          per sempre, e non essere mai più
          riammessi;
          fa caldo mentre lavorano
          e sudano
          un po',
          ma lavorano sodo e bene,
          lavorano così sodo
          che i nervi si ribellano
          e lì fanno tremare,
          ma spesso sono
          elogiati da quelli
          che tra loro si sono
          innalzati
          come stelle,
          e ora le stelle
          vigilano
          vigilano anche
          per quei pochi
          che potrebbero tentare
          un ritmo più lento
          o mostrare disinteresse
          o simulare
          una malattia
          per avere un po'
          di riposo (il riposo deve essere
          guadagnato per raccogliere le forze
          destinate ad un lavoro
          più perfetto).

          Qualche volta uno muore
          o impazzisce
          e allora da Fuori
          ne arriva uno nuovo
          per sfruttare la sua
          grande occasione.

          Io ci sono stato
          molti anni;
          in principio trovavo il lavoro
          monotono, stupido
          addirittura
          ma ora vedo
          che tutto ha un senso,
          e i lavoratori
          senza volto
          vedo bene che non sono proprio
          brutti, e che le teste
          senz'occhi –
          ora so che quegli occhi
          ci vedono
          e sono capaci
          di seguire il lavoro.
          Le donne che lavorano
          sono spesso le migliori,
          adattandosi con naturalezza,
          e con alcune
          ho amoreggiato nei momenti
          di riposo; in principio
          non sembravano molto diverse
          dalle scimmie
          ma poi
          grazie al mio spirito di osservazione
          mi son o reso conto
          che erano cose
          reali e vive
          come me.

          L'atra sera
          un vecchio lavoratore
          grigio e cieco,
          non più utile
          è stato mandato in pensione
          là Fuori.

          Discorso! Discorso!
          Abbiamo chiesto

          è stato
          un inferno, ha detto lui
          abbiamo riso
          tutti e 4000:
          aveva conservato il suo
          umorismo
          fino
          alla fine.
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            La tragedia delle foglie

            Mi destai alla siccità e le felci erano morte,
            le piante in vaso gialle come grano;
            la mia donna era sparita
            e i cadaveri dissanguati delle bottiglie vuote
            mi cingevano con la loro inutilità;
            c'era ancora un bel sole, però,
            e il biglietto della padrona ardeva d'un giallo caldo
            e senza pretese; ora quello che ci voleva
            era un buon attore, all'antica, un burlone capace di scherzare
            sull'assurdità del dolore; il dolore è assurdo
            perché esiste, solo per questo;
            sbarbai accuratamente con un vecchio rasoio
            l'uomo che un tempo era stato giovane e,
            così dicevano, geniale; ma
            questa è la tragedia delle foglie,
            le felci morte, le piante morte;
            ed entrai in una sala buia
            dove stava la padrona di casa
            insultante e ultimativa,
            mandandomi all'inferno,
            mulinando i braccioni sudati
            e strillando
            strillando che voleva i soldi dell'affitto
            perché il mondo ci aveva tradito
            tutt'e due.
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              La Condanna dell'Amore

              Ogni giorno muoio di invidia.
              Non chiesi di nascere, per questo vivrò come voglio. Ma non posso.
              Il diavolo della solitudine esplode in me, ma il solo eco si manifesta.
              L'essere libero da affetti,
              da traboccanti convenzioni,
              colmo di sfortuna apparente; questo io desidero.
              Non aver nulla fa prender coscienza dello spirito
              e suggella l'esaltarsi al supremo.
              Le catene dell'anima, come pugni che stringono il cuore
              mozzano l'ascesa a se stessi.
              Ogni giorno muoio d'invidia.
              Il voler bene dell'infanzia io maledico,
              il naturale onore al padre e alla madre che mi strazia,
              il concedere la vittoria all'amore che non ho mai desiderato.
              Ogni giorno muoio d'invidia.
              Nascere privi d'amore è libertà, il nascere amati un impedimento.
              La condanna dell'amore sgretola in me il coraggio dell'abbandono,
              il bisogno di non aver niente e lo spirito danzante dal vivere.
              Ogni giorno muoio d'invidia,
              risorgo col pentimento,
              e convivo col tormento.
              Composta mercoledì 3 marzo 2010
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                Donna

                E Dio mi fece donna,
                con lunghi capelli,
                gli occhi, il naso
                e la bocca da donna
                Con rotondità e peli
                e dolci cavità,
                mi scavò dall'interno
                e fece di me
                lo studio degli esseri umani.
                Lui tesse delicatamente i miei nervi,
                Equilibrò con cura
                il numero dei miei ormoni,
                Compose il mio sangue
                e me l'iniettò
                perché irrigasse
                tutto il mio corpo.
                Così nacquero le idee,
                i sogni e l'istinto.
                Creò il tutto
                con grandi colpi di fiato
                scolpendo con amore
                le mille e una cosa
                che mi fanno donna ogni giorno e
                per le quali con orgoglio
                mi alzo ogni mattina
                e benedico il mio sesso.
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                  Scritta da: Giorgio De Luca
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                  Il borioso

                  È pronto a colpire alle spalle
                  pur di salvare se stesso.

                  Il ripugnante strisciare
                  è il solo mezzo per raggiungere,
                  senza scrupoli,
                  la sommità di una collina!

                  Il petto,
                  gonfio come un palloncino
                  e lasciato scaldare al sole,
                  esploderà come una bolla di sapone!

                  È stato solo il bluff
                  di un volgare venditore di fumo
                  ormai prossimo alla gogna!
                  Composta lunedì 20 febbraio 1995
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