Poesie d'Autore


in Poesie (Poesie d'Autore)

Poesia a Rino Gaetano

Se stamo qui stasera è pe salutà un amico
pe ricordà un fratello che se chiamava Rino.
So annato lì ar Verano solo pe fa un saluto
perché, lo posso dì, co te ce so cresciuto.
Ce fosse un monumento, verrebbero in milioni
a rende omaggio ar genio che cantava le canzoni.
Ah Rino, quella notte è stata un po' puttana
l'incrocio maledetto, là sulla Nomentana.
Un improvviso schianto, lontano dar mattino
te s'è portato via quer boja der destino.

Che avresti detto oggi de quello che succede
avresti aperto l'occhi a chi più nun ce vede.
Se fossi ancora vivo saresti un po' incazzato
e come la Guzzanti, verresti censurato.
Se avessi ancora voce, faresti tutti i nomi
come er buffone smaschera l'impicci dei padroni.

Qui nun c'è Gianna, Aida, né Berta che filava
e quando tramonta il sol, Maria se n'è già andata.
Malgrado i cambiamenti, sto cielo è sempre blu
è sempre der colore che l'hai lasciato tu.

De artisti come te io oggi me li sogno
ma forse più der cielo, ce n'ha bisogno er mondo.
E le poesie che hai scritto, so come aghi de pino
ce basterà raccoglierli, e ovunque sei, ciao Rino.
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    Uomo e donna a letto alle 10 pomeridiane

    Mi sento come una scatola di sardine, disse lei.
    Mi sento come un cerotto, dissi io.
    Mi sento come un panino al tonno, disse lei.
    Mi sento come un pomodoro a fette, dissi io.
    Mi sento come se stesse per piovere, disse lei.
    Mi sento come se l'orologio s'è fermato, dissi io.
    Mi sento come se la porta fosse aperta, disse lei.
    Mi sento come se stesse per entrare un elefante, dissi io.
    Mi sento che dovremmo pagare l'affitto, disse lei.
    Mi sento che dovresti trovare lavoro, disse lei.

    Non me la sento di lavorare, dissi.

    Mi sento che di me non te me ne importa, disse lei.
    Mi sento che dovremmo far l'amore, dissi io.
    Mi sento che l'amore l'abbiamo fatto fìn troppo, disse lei.
    Mi sento che dovremmo farlo più spesso, dissi io.
    Mi sento che dovresti trovare lavoro, disse lei.
    Mi sento che dovresti trovare lavoro, dissi io.
    Mi sento una gran voglia di bere, disse lei.
    Mi sento come una bottiglia di whisky, dissi io.
    Mi sento che finiremo come due ubriaconi, disse lei.
    Mi sento che hai ragione, dissi io.
    Mi sento di mollare tutto, disse lei.
    Mi sento che ho bisogno d'un bagno, dissi io.
    Anch'io mi sento che hai bisogno d'un bagno, disse lei.
    Mi sento che dovresti lavarmi la schiena, dissi io.
    Mi sento che tu non mi ami, disse lei.
    Mi sento che ti amo, dissi io.
    Mi sento quel coso dentro adesso, disse lei.
    Anch'io sento che adesso quel coso è dentro di te, dissi io.
    Mi sento che adesso ti amo, disse lei.
    Mi sento che ti amo più di te, dissi io.
    Mi sento benone, disse lei, ho voglia di urlare.
    Mi sento che non la smetterei più, dissi io.
    Mi sento che ne saresti capace, disse lei.
    Mi sento, dissi io.
    Mi sento, disse lei.
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      Pioggia

      Un'orchestra sinfonica.
      Scoppia un temporale,
      stanno suonando un'ouverture di Wagner
      la gente lascia i posti sotto gli alberi
      e si precipita nel padiglione
      le donne ridendo, gli uomini ostentatamente calmi,
      sigarette bagnate che si buttano via,
      Wagner continua a suonare, e poi sono tutti
      al coperto. Vengono persino gli uccelli dagli alberi
      ed entrano nel padiglione e poi c'è la Rapsodia
      Ungherese n. 2 di Lizst, e piove ancora, ma guarda,
      un uomo seduto sotto la pioggia
      in ascolto. Il pubblico lo nota. Si voltano
      a guardare. L'orchestra bada agli affari
      suoi. L'uomo siede nella notte nella pioggia,
      in ascolto. Deve avere qualcosa che non va,
      no?
      È venuto a sentire
      la musica.
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        Partita a scopa

        Una delle cose più terribili è
        davvero
        stare a letto
        una notte dopo l'altra
        con una donna che non hai più voglia
        di scopare.

        Invecchiano, non sono più tanto
        belle – tendono persino
        a russare, buttarsi
        giù.

        Così, a letto, a volte ti giri,
        il tuo piede tocca il suo –
        Dio, che orrore! –
        e la notte è là fuori
        dietro le tendine
        e insieme vi suggella
        nella
        tomba.

        E la mattina vai in bagno,
        parli, attraversi il corridoio,
        dici strane cose; le uova friggono,
        partono i motori.

        Ma seduti l'uno di fronte all'altro
        hai 2 estranei
        che si ficcano in bocca il pane tostato
        che si bruciano col caffè bollente la gola risentita
        e l'intestino.

        In dieci milioni di case americane
        è lo stesso –
        vite stantie appoggiate
        l'una all'altra
        e nessun posto
        dove andare.

        Sali in macchina
        e vai a lavorare
        e là ci sono degli altri sconosciuti, quasi tutti
        mogli e mariti di qualcun altro,
        e oltre alla ghigliottina del lavoro,
        flirtano, scherzano r si danno pizzicotti,
        tendendo qualche volta
        a farsi in qualche posto una rapida scopata –
        a casa non possono farlo –
        e poi
        tornano a casa
        ad aspettare il Natale o il Labor Day
        o la domenica
        o qualcosa.
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          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Vivere

          Voglio dire, dormivo soltanto
          mi svegliai con una mosca sul gomito e
          chiamai la mosca Benny
          poi l'uccisi
          e poi m'alzai per guardare
          nella cassetta della posta
          e c'era una specie di avviso
          del governo
          ma siccome non c'era nessuno tra i cespugli
          con la baionetta
          lo stracciai
          e tornai a letto a guardare il soffitto
          e pensai: questo mi piace proprio,
          voglio starmene qui sdraiato per altri dieci minuti
          e rimasi lì sdraiato per altri dieci minuti
          e pensai:
          è assurdo, ho tante cose da fare
          ma voglio starmene qui sdraiato per un'altra
          mezz'ora
          e mi stirai
          mi stirai
          e guardai il sole tra le foglioline di un albero
          fuori, e mi vennero pensieri meravigliosi,
          non mi vennero pensieri immortali,
          e quello fu il momento migliore
          e cominciò a far caldo
          e buttai via le coperte e dormii -
          ma un sogno maledetto:
          ero ancora sul treno
          per le solite 5 ore di viaggio su e giù fino
          all'ippodromo,
          seduto accanto al finestrino,
          davanti al solito oceano malinconico, con la Cina laggiù che m'insinuava
          bizzarrie nel fondo del cervello,
          e poi qualcuno sedette accanto a me
          e parlò di cavalli
          una naftalina di parole che mi sventrarono
          come la morte, e poi ero là
          di nuovo: i cavalli che correvano come una cosa vista
          su uno schermo e i fantini pallidissimi in viso
          e non contava chi vinse
          alla fine e tutti lo sapevano,
          il viaggio di ritorno fatto in sogno era lo stesso
          della realtà:
          neri pesi di notte tutt'intorno
          alle stesse montagne vergognose
          d'essere là, e ancora il mare, ancora
          il treno come un gallo che passa la cruna
          d'un ago
          e mi toccò d'alzarmi per andare al gabinetto
          e non avevo voglia di andare al gabinetto
          perché qualcuno aveva gettato, qualche minchione aveva gettato della carta
          nel cesso, ingorgandolo di nuovo,
          e quando tornai fuori
          nessuno aveva altro da fare che guardare
          la mia faccia
          e io sono così stanco
          che lo sanno quando mi guardano in faccia
          che li
          odio
          e allora odiano me
          e vorrebbero ammazzarmi
          ma non lo fanno.
          Mi svegliai ma siccome non c'era nessuno
          vicino al letto
          per dirmi che
          sbagliavo
          dormii ancora
          un po'.
          Questa volta quando mi svegliai
          era quasi
          sera. La gente tornava dal lavoro.
          Mi alzai e sedetti su una seggiola a guardarli.
          Non avevano una gran bella cera.
          Anche le ragazzine non erano così attraenti come
          quando erano partite.
          E arrivarono gli uomini: sicari, assassini, ladri, truffatori,
          l'intero campionario, e i loro volti erano più orrendi
          di qualunque mascherone mai ideato.

          Trovai un ragno nell'angolo e l'uccisi
          con la scopa.

          Guardai la gente ancora per un po' e poi mi stancai e smisi
          di guardare e mi feci due uova fritte e sedetti a tavola
          con un pezzo di pane e annaffiai il tutto con un goccio di tè.

          Stavo bene.
          Poi feci un bagno e tornai
          a letto.
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            in Poesie (Poesie d'Autore)

            I lavoratori

            Ridono continuamente
            anche quando
            un'asse piomba giù
            e rovina una faccia
            o deforma
            un corpo
            loro continuano a ridere,
            quando il colore dell'occhio
            impallidisce da far paura
            per via della poca
            luce
            ridono ancora;
            rugosi e rimbecilliti
            ancora giovani
            ci scherzano sopra:
            un uomo che dimostra sessant'anni
            dirà
            ne ho 32, e
            allora rideranno tutti;
            qualche volta li fanno
            uscire per una boccata d'aria
            ma sono incatenati a ritornare
            da catene, che non
            spezzerebbero
            anche se potessero;
            anche fuori, tra
            gli uomini liberi,
            continuano a ridere,
            girano qua e là
            con un passo zoppicante
            e inane
            quasi non fossero più lì
            con la testa; fuori
            masticano un tozzo di pane,
            tirano sul prezzo, dormono, contano i soldi,
            guardano l'orologio
            e sono di ritorno;
            qualche volta nei confini
            addirittura si fanno seri
            un momento, parlano di
            Fuori, di come deve essere
            orribile,
            essere
            chiusi Fuori
            per sempre, e non essere mai più
            riammessi;
            fa caldo mentre lavorano
            e sudano
            un po',
            ma lavorano sodo e bene,
            lavorano così sodo
            che i nervi si ribellano
            e lì fanno tremare,
            ma spesso sono
            elogiati da quelli
            che tra loro si sono
            innalzati
            come stelle,
            e ora le stelle
            vigilano
            vigilano anche
            per quei pochi
            che potrebbero tentare
            un ritmo più lento
            o mostrare disinteresse
            o simulare
            una malattia
            per avere un po'
            di riposo (il riposo deve essere
            guadagnato per raccogliere le forze
            destinate ad un lavoro
            più perfetto).

            Qualche volta uno muore
            o impazzisce
            e allora da Fuori
            ne arriva uno nuovo
            per sfruttare la sua
            grande occasione.

            Io ci sono stato
            molti anni;
            in principio trovavo il lavoro
            monotono, stupido
            addirittura
            ma ora vedo
            che tutto ha un senso,
            e i lavoratori
            senza volto
            vedo bene che non sono proprio
            brutti, e che le teste
            senz'occhi –
            ora so che quegli occhi
            ci vedono
            e sono capaci
            di seguire il lavoro.
            Le donne che lavorano
            sono spesso le migliori,
            adattandosi con naturalezza,
            e con alcune
            ho amoreggiato nei momenti
            di riposo; in principio
            non sembravano molto diverse
            dalle scimmie
            ma poi
            grazie al mio spirito di osservazione
            mi son o reso conto
            che erano cose
            reali e vive
            come me.

            L'atra sera
            un vecchio lavoratore
            grigio e cieco,
            non più utile
            è stato mandato in pensione
            là Fuori.

            Discorso! Discorso!
            Abbiamo chiesto

            è stato
            un inferno, ha detto lui
            abbiamo riso
            tutti e 4000:
            aveva conservato il suo
            umorismo
            fino
            alla fine.
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              La tragedia delle foglie

              Mi destai alla siccità e le felci erano morte,
              le piante in vaso gialle come grano;
              la mia donna era sparita
              e i cadaveri dissanguati delle bottiglie vuote
              mi cingevano con la loro inutilità;
              c'era ancora un bel sole, però,
              e il biglietto della padrona ardeva d'un giallo caldo
              e senza pretese; ora quello che ci voleva
              era un buon attore, all'antica, un burlone capace di scherzare
              sull'assurdità del dolore; il dolore è assurdo
              perché esiste, solo per questo;
              sbarbai accuratamente con un vecchio rasoio
              l'uomo che un tempo era stato giovane e,
              così dicevano, geniale; ma
              questa è la tragedia delle foglie,
              le felci morte, le piante morte;
              ed entrai in una sala buia
              dove stava la padrona di casa
              insultante e ultimativa,
              mandandomi all'inferno,
              mulinando i braccioni sudati
              e strillando
              strillando che voleva i soldi dell'affitto
              perché il mondo ci aveva tradito
              tutt'e due.
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                La Condanna dell'Amore

                Ogni giorno muoio di invidia.
                Non chiesi di nascere, per questo vivrò come voglio. Ma non posso.
                Il diavolo della solitudine esplode in me, ma il solo eco si manifesta.
                L'essere libero da affetti,
                da traboccanti convenzioni,
                colmo di sfortuna apparente; questo io desidero.
                Non aver nulla fa prender coscienza dello spirito
                e suggella l'esaltarsi al supremo.
                Le catene dell'anima, come pugni che stringono il cuore
                mozzano l'ascesa a se stessi.
                Ogni giorno muoio d'invidia.
                Il voler bene dell'infanzia io maledico,
                il naturale onore al padre e alla madre che mi strazia,
                il concedere la vittoria all'amore che non ho mai desiderato.
                Ogni giorno muoio d'invidia.
                Nascere privi d'amore è libertà, il nascere amati un impedimento.
                La condanna dell'amore sgretola in me il coraggio dell'abbandono,
                il bisogno di non aver niente e lo spirito danzante dal vivere.
                Ogni giorno muoio d'invidia,
                risorgo col pentimento,
                e convivo col tormento.
                Composta mercoledì 3 marzo 2010
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                  Donna

                  E Dio mi fece donna,
                  con lunghi capelli,
                  gli occhi, il naso
                  e la bocca da donna
                  Con rotondità e peli
                  e dolci cavità,
                  mi scavò dall'interno
                  e fece di me
                  lo studio degli esseri umani.
                  Lui tesse delicatamente i miei nervi,
                  Equilibrò con cura
                  il numero dei miei ormoni,
                  Compose il mio sangue
                  e me l'iniettò
                  perché irrigasse
                  tutto il mio corpo.
                  Così nacquero le idee,
                  i sogni e l'istinto.
                  Creò il tutto
                  con grandi colpi di fiato
                  scolpendo con amore
                  le mille e una cosa
                  che mi fanno donna ogni giorno e
                  per le quali con orgoglio
                  mi alzo ogni mattina
                  e benedico il mio sesso.
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