Che entri mia madre portando in seno mio padre che entri per quell'attimo che basta. Le somiglio lo so in scioltezza di cuore in pienezza d'affanno. Che entri per governarmi l'assenza. E m'investa la brezza l'ossatura del moto. Che entri per quell'attimo che basta scollata dai tetti dallo ione da Dio. E mi elegga veggente oculato interamente logico quaggiù nel polmone.
Preferisco di gran lunga gli spazi ristretti e i tracciati sbriciolati alle caviglie leggiadre o alle insigne serpi. Il mio letto è di felci E mi addormento con decadenze di luci. E si appoggia il forestiero e la sua fibra migliore e il ragno che tesse il suo ingegno. Chi è assetato di grandezza infiammi l'universo.
Accadeva dopo cena appena dopo le ventuno al rintocco dell'ultimo sprazzo. Ci si chiamava per nomi stentorei Fidia, Asclepiade. Il tatto arroventato sui fianchi le labbra perfette all'umido corallo. Seguivamo vestiboli che aprivano a bifore più aggraziate. Soffocati in un nembo i sospiri sceglievamo Kavafis da leggere al buio. La notte era un lunghissimo mare.
Mi sono affacciato alla finestra per meglio scorgere il dolore. C'erano tutti: il padre, la madre, il figlio e una vecchina labile, stanca che mondava una mela fradicia.
Un giorno ho scritto un nome sopra un foglio volevo rincontrarti ed ora subito ti voglio ho fatto un sogno ed era quasi vero virtualmente tua ed ora lo sapevo. Quello che non ho mai provato... quello che non ho mai avuto è bastato un sogno ed ora sei venuto. Sono bastati gli occhi senza mai parlare un bacio presto mai dato e tardi da provare quello che non c'è mai stato ma stanca di aspettare. Forse nel mio desiderio inconscio sei stato sempre presente ora che ti ho trovato ed avuto oltre la mia mente rimani dentro e fuori la mia pelle come colla addosso che ti fa presente come odore e calore che scalda la mia voglia non ti mando via ti tengo come foglia dentro le mie pagine e ti farò invecchiare fino a farti fragile e sciupare polvere poi diventerai nelle mie mani ma quando avrò esaurito il desiderio che mi ha trattenuto per un anno intero.
Una giornata limpida e ferma. Una brezza leggera soffia sulla scogliera e lungo il confine tra la terra e il mare. Orme, impronte, piste per le biglie e castelli di sabbia sulla battigia. E poi quel movimento atteso che viene da lontano, e cancella ogni cosa, ma il costruire dei sogni continua.
È arrivato finalmente quel giorno tanto atteso. La sposa vestita di bianco, che, esce dalla chiesa del piccolo paese, è un vero incanto. La guardo in tutta la sua bianchezza, e rivedo la mia vita. Li in cima alla bianca vetta, mi sentivo di poter volare. Quanti sogni, e quanto amore che sentivo, per quell'uomo che avevo al mio fianco. Ma da quel giorno è stato uno scendere continuo. È rimasta, per consuetudine, la fede al dito e il vestito bianco, chiuso in un armadio, è ingiallito. La strada è diventata piana, quella vetta imbiancata è lontana e non sono più sicura, dopo tanta strada che l'amore sia davvero vicinanza e condivisione.
Dentro l'anima e nel cuore un urlo atroce che vuole uscire e preme in testa e mi fa impazzire casa mai resta di questo vivere e soffrire soltanto un sogno senza realizzare e dal partire hai sempre declinato e intanto morivi e non l'hai accettato ora si fa amaro in bocca ed un cielo nero nessuna stella da pregare nessuna luna da contemplare soltanto un infinito confine da superare per dire basta. E questo urlo che si fa più intenso resta ancora dentro e ti fa più male ora deve uscire e finalmente liberare cercare di calmare questo mio dolore anche se nessuno sente lo farò arrivare a qualcuno che non riesce ancora a capire che non si vive senza amore...