in Poesie (Poesie d'Autore)
Spine al vento
Quello che c'era da vedere
l'ho visto.
Lascio fumi, muri e silenzi
lascio spine al vento.
Appendo l'ultimo quadro
e sfuggo il tempo.
dal libro "Intestatario di assenze" di Luciano Nota
Quello che c'era da vedere
l'ho visto.
Lascio fumi, muri e silenzi
lascio spine al vento.
Appendo l'ultimo quadro
e sfuggo il tempo.
Preferisco di gran lunga
gli spazi ristretti
e i tracciati sbriciolati
alle caviglie leggiadre
o alle insigne serpi.
Il mio letto è di felci
E mi addormento
con decadenze di luci.
E si appoggia il forestiero
e la sua fibra migliore
e il ragno che tesse il suo ingegno.
Chi è assetato di grandezza
infiammi l'universo.
Accadeva dopo cena
appena dopo le ventuno
al rintocco dell'ultimo sprazzo.
Ci si chiamava per nomi stentorei
Fidia, Asclepiade.
Il tatto arroventato sui fianchi
le labbra perfette all'umido corallo.
Seguivamo vestiboli
che aprivano a bifore più aggraziate.
Soffocati in un nembo i sospiri
sceglievamo Kavafis da leggere al buio.
La notte era un lunghissimo mare.
Mi sono affacciato alla finestra
per meglio scorgere il dolore.
C'erano tutti:
il padre, la madre, il figlio
e una vecchina labile, stanca
che mondava una mela fradicia.
Un giorno ho scritto un nome sopra un foglio
volevo rincontrarti ed ora subito ti voglio
ho fatto un sogno ed era quasi vero
virtualmente tua ed ora lo sapevo.
Quello che non ho mai provato... quello che non ho mai avuto
è bastato un sogno ed ora sei venuto.
Sono bastati gli occhi senza mai parlare
un bacio presto mai dato e tardi da provare
quello che non c'è mai stato
ma stanca di aspettare.
Forse nel mio desiderio inconscio
sei stato sempre presente
ora che ti ho trovato ed avuto oltre la mia mente
rimani dentro e fuori la mia pelle
come colla addosso che ti fa presente
come odore e calore che scalda la mia voglia
non ti mando via ti tengo come foglia
dentro le mie pagine
e ti farò invecchiare fino a farti fragile e sciupare
polvere poi diventerai nelle mie mani
ma quando avrò esaurito il desiderio
che mi ha trattenuto per un anno intero.
Amai trite parole che non uno
osava. M'incantò la rima fiore
amore,
la più antica difficile del mondo.
Amai la verità che giace al fondo,
quasi un sogno obliato, che il dolore
riscopre amica. Con paura il cuore
le si accosta, che più non l'abbandona.
Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco.
Una giornata limpida e ferma.
Una brezza leggera soffia sulla scogliera
e lungo il confine tra la terra e il mare.
Orme, impronte, piste per le biglie e castelli
di sabbia sulla battigia.
E poi quel movimento atteso che viene da
lontano, e cancella ogni cosa,
ma il costruire dei sogni continua.
È arrivato finalmente quel giorno tanto atteso.
La sposa vestita di bianco,
che, esce dalla chiesa del piccolo paese,
è un vero incanto.
La guardo in tutta la sua bianchezza,
e rivedo la mia vita.
Li in cima alla bianca vetta,
mi sentivo di poter volare.
Quanti sogni, e quanto amore che sentivo,
per quell'uomo che avevo al mio fianco.
Ma da quel giorno è stato uno scendere continuo.
È rimasta, per consuetudine, la fede al dito
e il vestito bianco, chiuso in un armadio, è ingiallito.
La strada è diventata piana, quella vetta imbiancata
è lontana e non sono più sicura, dopo tanta strada
che l'amore sia davvero vicinanza e condivisione.
Dentro l'anima e nel cuore
un urlo atroce che vuole uscire
e preme in testa e mi fa impazzire
casa mai resta di questo vivere e soffrire
soltanto un sogno senza realizzare
e dal partire hai sempre declinato
e intanto morivi e non l'hai accettato
ora si fa amaro in bocca ed un cielo nero
nessuna stella da pregare
nessuna luna da contemplare
soltanto un infinito confine da superare
per dire basta.
E questo urlo che si fa più intenso
resta ancora dentro e ti fa più male
ora deve uscire e finalmente liberare
cercare di calmare questo mio dolore
anche se nessuno sente
lo farò arrivare a qualcuno che non riesce ancora a capire
che non si vive senza amore...
Nei miei vent'anni gioie e dolori
racchiusi nei villaggi
della solitudine repressa in un istante.
Rose rotte
spente come una sigaretta
consumata in un posacenere
senza cenere o mozziconi torturati dal tempo,
pieno di lacrime color cielo
cadute da occhi grandi, marroni
come la terra che sorregge i germogli
di mille erbe strappate dalle mani
di quel'agricoltore che coltiva
la vita di mille anime destinate all'inferno
di una sorte insaziabile di verità.
Rose rotte
senza paracadute, cadute da un'ombra
eterna senza ansie per chi
come me ha venduto il suo cuore
al mare assaporato dal consumarsi
dell'aurora in un tramonto travestito
da ricordi e temporali
nei labirinti di una fottuta colpa
nascosta nel profondo della propria anima.
Rose rotte
straziate dalla guerra eterna che è la nostra vita,
guerrieri senza maschera o falsità,
guerrieri nel sangue,
nelle tenebre, nel paradiso volano
mostrando le pagine quasi bruciate da un tempo
che meschino ha lasciato una macchia color sangue
nel nostro cuore obeso d'amore
e troppo sensibile e forte per poter vivere felice.