Lì, oltre il sorriso, non ti si conosce più. Vai e vieni, scivoli per un mondo di valzer gelati, all'ingiù; e passando, i capricci, gli impulsi ti carpiscono baci senza vocazione, a te, la momentanea prigioniera dell'agevole. "Che allegra!" Dicono tutti. Ed è che tu allora tenti di essere altra, così somigliante a te stessa, che ho paura di perderti, così.
Ti seguo. Attendo. So che quando non ti osservino gallerie né astri, quando il mondo crederà di sapere ormai chi sei e dirà: "sì, ora so", tu scioglierai, con le braccia in alto, dietro i capelli, il nodo, guardandomi. Senza rumore di cristallo cadrà per terra, maschera senza peso ormai inutile, il riso. E quando ti vedrai con l'amore che io ti tendo sempre come uno specchio ardente, tu riconoscerai un volto serio, grave, una sconosciuta alta, pallida e triste, la mia amata. Che mi ama al di là delle risa.
Perché hai nome tu, giorno, mercoledì? Perché hai nome tu, stagione, autunno? Allegria, tristezza, sempre perché avete nome: amore?
Se tu non avessi nome io non saprei che cos'era né come, né quando. Nulla.
Sa il mare come si chiama, di essere il mare? Sanno i venti i loro nomi, del sud e del nord, oltre che di essere puro soffio? Se tu non avessi nome, tutto sarebbe primo, iniziale, tutto scoperto da me, puro fino al mio bacio. Godimento, amore: delizia lenta di godere, di amare, senza nome.
Nome: pugnale conficcato nel mezzo di un petto puro che sarebbe nostro sempre se non fosse per il suo nome.
Che allegria, vivere e sentirsi vissuto. Arrendersi alla grande certezza, oscuramente, che un altro essere, fuori di me, molto lontano mi sta vivendo. Che quando gli specchi, le spie, mercurio, anime brevi, confermano che sono qui, io, immobile, serrati gli occhi e le labbra, chiuso dall'amore della luce, del fiore e dei nomi, la verità transvisibile è che cammino senza i miei passi, con altri, là lontano, e lì sto baciando fiori, luci, parlo. Che esiste un altro essere con cui io guardo il mondo perché sta amandomi con i suoi occhi. Che esiste un'altra voce con cui io dico cose non sospettate dal mio gran silenzio; ed è che anche mi ama con la sua voce. La via – che slancio ora! -, ignoranza degli atti miei, che lei compie, in cui lei vive, duplice, sua e mia. E quando lei mi parlerà di un cielo scuro, di un paesaggio bianco, ricorderò stelle che non ho visto, che lei guardava, e neve che nevicava nel suo cielo. Con la strana delizia di ricordare di aver toccato ciò che non toccai se non con quelle mani che non raggiungo con le mie, tanto distanti. E spogliato di sé potrà il mio corpo riposare, tranquillo, morto ormai. Morire nella certezza alta che questo viver mio non era solo il mio vivere: era il nostro. E che mi vive un altro essere di là della non morte.
Sì, tutto con eccesso: la luce, la vita, il mare! Plurale tutto, plurale, luci, vite e mari. Che salgano, che ascendano da dozzine a centinaia, da centinaia a migliaia, in un'esultante ripetizione infinita, del tuo amore, unità. Tavole, penne e macchine, tutto corra a moltiplicare, carezza per carezza, abbraccio per vulcano. Bisogna stancare i numeri. Che contino senza posa, si ubriachino contando, e che non sappiano più l'ultimo quale sarà: che vita senza termine! Una gran torma di zeri investa, nel passare, le nostre agili felicità, e le conduca alla vetta. Si spezzino le cifre, senza riuscire al calcolo né del tempo né dei baci. E ormai al di là di computi, di fati, abbandonarci alla cieca – quale penultimo eccesso! – al grande abisso del caso che irresistibilmente sta cantandoci con grida fulgide di futuro: "e questo non è niente. Cercate bene, c'è dell'altro".
Che giorno incontaminato! La spuma, di ora in ora, instancabilmente, bianca, bianca, bianca. Innocenti materie, i corpi e le rocce – dallo zenit totale mezzogiorno assoluto – stavano vivendo della luce, per la luce, nella luce. Ancora sconosciute la coscienza e l'ombra. Si tendeva una mano a cogliere una pietra, una nube, un fiore, un'ala. E si raggiungeva tutto, perché era prima delle distanze. Non sospettava il tempo di essere il tempo. Ci veniva accanto sottomesso ed elastico. Per vivere lentamente, in fretta, gli dicevamo: "fermati" o "mettiti a correre". Per vivere, vivere soltanto, tu gli dicevi: "vattene". E allora ci lasciava eterei a galleggiare nel puro vivere senza successione, salvati da motivi, da origini, da albe. Né volgere la testa né guardare lontano abbiamo saputo quel giorno tu ed io. Non ne avevamo bisogno. Baciarci, sì. Ma con labbra così remote dalla loro causa, che inauguravano tutto, bacio, amore, baciandosi, senza dover chiedere perdono a nessuno, a nulla.
Sperdutamente amanti, per il mondo, amare! Che confusione senza pari! Quanti errori! Baciare volti invece di maschere amate. Universo in equivoci: minerali in fiore, che vogano nel cielo, sirene e coralli sulle nevi perenni, e nel fondo del mare, costellazioni ormai stanche, transfughe dalla gran notte orfana dove muoiono i palombari. Noi due. Che smarrimento! Questa strada, l'altra, quella? Le carte, false, scombussolando le rotte, giocano a farci smarrire, fra rischi senza faro. I giorni ed i baci sono in errore: non hanno termine dove dicono. Ma per amare dobbiamo imbarcarci su tutti i progetti che passano, senza chiedere nulla, pieni, pieni di fede nell'errore di ieri, di oggi, di domani, che non può mancare. Dell'allegria purissima di sbagliare e trovarci sulle soglie, sui margini tremuli di vittoria, senza voglia di vincere. Con il giubilo unico di vivere una vita innocente tra errori, e che non vuole altro che essere, amare, amarsi nell'immensa altezza di un amore che si ama ormai con tanto distacco da tutto ciò che non è lui, che si muove ormai al di sopra di trionfi o di sconfitte, ebbro nella pura gloria della sua certezza.
Amore, amore, catastrofe. Che inabissarsi del mondo! Un grande orrore di tetti schianta colonne, tempi; li cambia con cieli atemporali. Ci muoviamo tra le rovine di estati e di inverni travolti. Si estinguono i pesi e le norme. Tutta volta al indietro la vita si sta togliendo secoli, frenetica, di dosso; disfa, veloce, la trama del suo corso, lento prima; muore dall'ansia di cancellare la sua storia, di non essere altro che il puro desiderio di iniziarsi di nuovo. Il futuro si chiama ieri. Ieri occulto, segretissimo, che abbiamo scordato e che si deve riconquistare con l'anima e col sangue, dietro quegli altri ieri conosciuti. Indietro e sempre indietro! Ripiegare, smarriti, al interno, verso il domani! Che crolli tutto! Ormai lo sento appena. A forza di baciare stiamo inventando le rovine del mondo, per mano tu ed io nel grande crollo del fiore e dell'ordine. E fra contatti, fra abbracci, sento già la tua pelle che mi offre il ritorno al palpito iniziale, senza luce, prima del mondo, totale, senza forma, caos.
Paura. Di te. Amarti è il rischio più alto. Molteplici, la tua vita e tu. Ti ho, quella di oggi; ormai ti conosco, penetro in labirinti, facili grazie a te, alla tua mano. E i miei ora, sì. Però tu sei il tuo stesso più oltre, come la luce e il mondo: giorni, notti, estati, inverni che si succedono. Fatalmente, ti trasformi, e sei sempre tu, nel tuo stesso mutamento, con la fedeltà costante del mutare.
Dimmi, potrò io vivere in quegli altri climi, o futuri, o luci che stai elaborando, come il frutto il suo succo, per un domani tuo? O sarò appena qualcosa nata per un giorno tuo il mio giorno eterno, per una primavera in me fiorita sempre, e non potrò più vivere quando giungeranno successive in te, inevitabilmente, le forze e i venti nuovi, le altre luci, che attendono già il momento di essere, in te, la tua vita?
È stato, accadde, è vero. Fu in un giorno, fu una data che segna il tempo al tempo. Fu in luogo che io vedo. I suoi piedi toccavano il suolo questo stesso che tutti tocchiamo. Il suo vestito era simile ad altri che indossano altre donne. Il suo orologio sfogliava calendari, senza scordare un'ora: come contano gli altri. E quello che lei mi disse fu in una lingua del mondo, con grammatica e storia. Così vero che sembrava menzogna.
No. Devo viverlo dentro, me lo devo sognare. Togliere il colore, il numero, il respiro tutto fuoco, con cui mi bruciò nel dirmelo. Mutare tutto in forse, in mero caso, sognandolo. Così, quando vorrà smentire ciò che mi disse allora, non mi morderà il dolore d'una felicità perduta che io tenni fra le braccia, come si tiene un corpo. Crederò di aver sognato. Che tutte quelle cose, così vere, non ebbero corpo, né nome. Che perdo un'ombra, un sogno ancora.
Quello che sei mi distrae da quello che dici. Lanci parole veloci, pavesate di risa, invitandomi ad andare dove mi porteranno. Non ti presto attenzione, non le seguo: sto guardando le labbra da cui sono nate. Intanto guardi lontano. Fissi lo sguardo laggiù, non so in cosa, e già si precipita a cercarlo la tua anima affilata, come saetta. Io non guardo dove guardi: io ti vedo guardare. E quando desideri qualcosa non penso a quello che vuoi né lo invidio: è il meno. Ciò che ami oggi, lo desideri; domani lo dimenticherai per un nuovo amore. No. Ti aspetto oltre qualsiasi fine o termine in ciò che non deve succedere. Io resto nel puro atto del tuo desiderio, amandoti. E non voglio altro che vederti amare.