Poesie d'Autore


in Poesie (Poesie d'Autore)

Lì, oltre il sorriso

Lì, oltre il sorriso,
non ti si conosce più.
Vai e vieni, scivoli
per un mondo di valzer
gelati, all'ingiù;
e passando, i capricci,
gli impulsi ti carpiscono
baci senza vocazione,
a te, la momentanea
prigioniera dell'agevole.
"Che allegra!" Dicono tutti.
Ed è che tu allora
tenti di essere altra,
così somigliante
a te stessa, che ho paura
di perderti, così.

Ti seguo. Attendo. So
che quando non ti osservino
gallerie né astri,
quando il mondo crederà
di sapere ormai chi sei
e dirà: "sì, ora so",
tu scioglierai,
con le braccia in alto,
dietro i capelli,
il nodo, guardandomi.
Senza rumore di cristallo
cadrà per terra,
maschera senza peso
ormai inutile, il riso.
E quando ti vedrai
con l'amore che io ti tendo sempre
come uno specchio ardente,
tu riconoscerai
un volto serio, grave,
una sconosciuta
alta, pallida e triste,
la mia amata. Che mi ama
al di là delle risa.
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    Perché hai nome tu?

    Perché hai nome tu,
    giorno, mercoledì?
    Perché hai nome tu,
    stagione, autunno?
    Allegria, tristezza, sempre
    perché avete nome: amore?

    Se tu non avessi nome
    io non saprei che cos'era
    né come, né quando. Nulla.

    Sa il mare come si chiama,
    di essere il mare? Sanno i venti
    i loro nomi, del sud
    e del nord, oltre
    che di essere puro soffio?
    Se tu non avessi nome,
    tutto sarebbe primo,
    iniziale, tutto scoperto
    da me,
    puro fino al mio bacio.
    Godimento, amore: delizia lenta
    di godere, di amare, senza nome.

    Nome: pugnale conficcato
    nel mezzo di un petto puro
    che sarebbe nostro sempre
    se non fosse per il suo nome.
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      Che allegria, vivere!

      Che allegria, vivere
      e sentirsi vissuto.
      Arrendersi
      alla grande certezza, oscuramente,
      che un altro essere, fuori di me, molto lontano
      mi sta vivendo.
      Che quando gli specchi, le spie,
      mercurio, anime brevi, confermano
      che sono qui, io, immobile,
      serrati gli occhi e le labbra,
      chiuso dall'amore
      della luce, del fiore e dei nomi,
      la verità transvisibile è che cammino
      senza i miei passi, con altri,
      là lontano, e lì
      sto baciando fiori, luci, parlo.
      Che esiste un altro essere con cui io guardo il mondo
      perché sta amandomi con i suoi occhi.
      Che esiste un'altra voce con cui io dico cose
      non sospettate dal mio gran silenzio;
      ed è che anche mi ama con la sua voce.
      La via – che slancio ora! -, ignoranza
      degli atti miei, che lei compie,
      in cui lei vive, duplice, sua e mia.
      E quando lei mi parlerà
      di un cielo scuro, di un paesaggio bianco,
      ricorderò
      stelle che non ho visto, che lei guardava,
      e neve che nevicava nel suo cielo.
      Con la strana delizia di ricordare
      di aver toccato ciò che non toccai
      se non con quelle mani
      che non raggiungo con le mie, tanto distanti.
      E spogliato di sé potrà il mio corpo
      riposare, tranquillo, morto ormai. Morire
      nella certezza alta
      che questo viver mio non era solo
      il mio vivere: era il nostro. E che mi vive
      un altro essere di là della non morte.
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        Sì, tutto è eccesso

        Sì, tutto con eccesso:
        la luce, la vita, il mare!
        Plurale tutto, plurale,
        luci, vite e mari.
        Che salgano, che ascendano
        da dozzine a centinaia,
        da centinaia a migliaia,
        in un'esultante
        ripetizione infinita,
        del tuo amore, unità.
        Tavole, penne e macchine,
        tutto corra a moltiplicare,
        carezza per carezza,
        abbraccio per vulcano.
        Bisogna stancare i numeri.
        Che contino senza posa,
        si ubriachino contando,
        e che non sappiano più
        l'ultimo quale sarà:
        che vita senza termine!
        Una gran torma di zeri
        investa, nel passare,
        le nostre agili felicità,
        e le conduca alla vetta.
        Si spezzino le cifre,
        senza riuscire al calcolo
        né del tempo né dei baci.
        E ormai al di là
        di computi, di fati,
        abbandonarci alla cieca
        – quale penultimo eccesso! –
        al grande abisso del caso
        che irresistibilmente
        sta
        cantandoci con grida
        fulgide di futuro:
        "e questo non è niente.
        Cercate bene, c'è dell'altro".
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          Che giorno incontaminato!

          Che giorno incontaminato!
          La spuma, di ora in ora,
          instancabilmente,
          bianca, bianca, bianca.
          Innocenti materie,
          i corpi e le rocce
          – dallo zenit totale
          mezzogiorno assoluto –
          stavano
          vivendo della luce,
          per la luce, nella luce.
          Ancora sconosciute
          la coscienza e l'ombra.
          Si tendeva una mano
          a cogliere una pietra,
          una nube, un fiore,
          un'ala.
          E si raggiungeva tutto,
          perché era prima
          delle distanze.
          Non sospettava il tempo
          di essere il tempo.
          Ci veniva accanto
          sottomesso ed elastico.
          Per vivere lentamente,
          in fretta, gli dicevamo:
          "fermati" o "mettiti a correre".
          Per vivere, vivere
          soltanto, tu gli dicevi:
          "vattene".
          E allora ci lasciava
          eterei a galleggiare
          nel puro vivere
          senza successione,
          salvati da motivi,
          da origini, da albe.
          Né volgere la testa
          né guardare lontano
          abbiamo saputo quel giorno
          tu ed io. Non ne avevamo
          bisogno. Baciarci, sì.
          Ma con labbra così remote
          dalla loro causa,
          che inauguravano tutto,
          bacio, amore, baciandosi,
          senza dover chiedere perdono
          a nessuno, a nulla.
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            Sperdutamente

            Sperdutamente amanti, per il mondo, amare! Che confusione senza pari! Quanti errori! Baciare volti invece di maschere amate. Universo in equivoci: minerali in fiore, che vogano nel cielo, sirene e coralli sulle nevi perenni, e nel fondo del mare, costellazioni ormai stanche, transfughe dalla gran notte orfana dove muoiono i palombari. Noi due. Che smarrimento! Questa strada, l'altra, quella? Le carte, false, scombussolando le rotte, giocano a farci smarrire, fra rischi senza faro. I giorni ed i baci sono in errore: non hanno termine dove dicono. Ma per amare dobbiamo imbarcarci su tutti i progetti che passano, senza chiedere nulla, pieni, pieni di fede nell'errore di ieri, di oggi, di domani, che non può mancare. Dell'allegria purissima di sbagliare e trovarci sulle soglie, sui margini tremuli di vittoria, senza voglia di vincere. Con il giubilo unico di vivere una vita innocente tra errori, e che non vuole altro che essere, amare, amarsi nell'immensa altezza di un amore che si ama ormai con tanto distacco da tutto ciò che non è lui, che si muove ormai al di sopra di trionfi o di sconfitte, ebbro nella pura gloria della sua certezza.
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              Amore, amore, catastrofe

              Amore, amore, catastrofe.
              Che inabissarsi del mondo!
              Un grande orrore di tetti
              schianta colonne, tempi;
              li cambia con cieli
              atemporali. Ci muoviamo
              tra le rovine
              di estati e di inverni
              travolti. Si estinguono
              i pesi e le norme.
              Tutta volta al indietro la vita
              si sta togliendo secoli,
              frenetica, di dosso;
              disfa, veloce, la trama
              del suo corso, lento prima;
              muore dall'ansia
              di cancellare la sua storia,
              di non essere altro che il puro
              desiderio di iniziarsi
              di nuovo. Il futuro
              si chiama ieri. Ieri
              occulto, segretissimo,
              che abbiamo scordato
              e che si deve riconquistare
              con l'anima e col sangue,
              dietro quegli altri
              ieri conosciuti.
              Indietro e sempre indietro!
              Ripiegare, smarriti,
              al interno, verso il domani!
              Che crolli tutto! Ormai
              lo sento appena.
              A forza di baciare stiamo
              inventando le rovine
              del mondo, per mano
              tu ed io
              nel grande crollo
              del fiore e dell'ordine.
              E fra contatti, fra abbracci,
              sento già la tua pelle
              che mi offre il ritorno
              al palpito iniziale,
              senza luce, prima del mondo,
              totale, senza forma, caos.
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                in Poesie (Poesie d'Autore)
                Paura. Di te. Amarti
                è il rischio più alto.
                Molteplici, la tua vita e tu.
                Ti ho, quella di oggi;
                ormai ti conosco, penetro
                in labirinti, facili
                grazie a te, alla tua mano.
                E i miei ora, sì.
                Però tu sei
                il tuo stesso più oltre,
                come la luce e il mondo:
                giorni, notti, estati,
                inverni che si succedono.
                Fatalmente, ti trasformi,
                e sei sempre tu,
                nel tuo stesso mutamento,
                con la fedeltà
                costante del mutare.

                Dimmi, potrò io vivere
                in quegli altri climi,
                o futuri, o luci
                che stai elaborando,
                come il frutto il suo succo,
                per un domani tuo?
                O sarò appena qualcosa
                nata per un giorno
                tuo il mio giorno eterno,
                per una primavera
                in me fiorita sempre,
                e non potrò più vivere
                quando giungeranno
                successive in te,
                inevitabilmente,
                le forze e i venti
                nuovi, le altre luci,
                che attendono già il momento
                di essere, in te, la tua vita?
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                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  È stato, accadde, è vero

                  È stato, accadde, è vero.
                  Fu in un giorno, fu una data
                  che segna il tempo al tempo.
                  Fu in luogo che io vedo.
                  I suoi piedi toccavano il suolo
                  questo stesso che tutti tocchiamo.
                  Il suo vestito
                  era simile ad altri
                  che indossano altre donne.
                  Il suo orologio
                  sfogliava calendari,
                  senza scordare un'ora:
                  come contano gli altri.
                  E quello che lei mi disse
                  fu in una lingua del mondo,
                  con grammatica e storia.
                  Così vero
                  che sembrava menzogna.

                  No.
                  Devo viverlo dentro,
                  me lo devo sognare.
                  Togliere il colore, il numero,
                  il respiro tutto fuoco,
                  con cui mi bruciò nel dirmelo.
                  Mutare tutto in forse,
                  in mero caso, sognandolo.
                  Così, quando vorrà smentire
                  ciò che mi disse allora,
                  non mi morderà il dolore
                  d'una felicità perduta
                  che io tenni fra le braccia,
                  come si tiene un corpo.
                  Crederò di aver sognato.
                  Che tutte quelle cose, così vere,
                  non ebbero corpo, né nome.
                  Che perdo
                  un'ombra, un sogno ancora.
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                    Quello che sei

                    Quello che sei
                    mi distrae da quello che dici.
                    Lanci parole veloci,
                    pavesate di risa,
                    invitandomi
                    ad andare dove mi porteranno.
                    Non ti presto attenzione, non le seguo:
                    sto guardando
                    le labbra da cui sono nate.
                    Intanto guardi lontano.
                    Fissi lo sguardo laggiù,
                    non so in cosa, e già si precipita
                    a cercarlo la tua anima
                    affilata, come saetta.
                    Io non guardo dove guardi:
                    io ti vedo guardare.
                    E quando desideri qualcosa
                    non penso a quello che vuoi
                    né lo invidio: è il meno.
                    Ciò che ami oggi, lo desideri;
                    domani lo dimenticherai per un nuovo amore.
                    No.
                    Ti aspetto oltre qualsiasi fine o termine
                    in ciò che non deve succedere.
                    Io resto nel puro atto del tuo desiderio,
                    amandoti.
                    E non voglio altro
                    che vederti amare.
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