in Poesie (Poesie d'Autore)
Fratelli
Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell'aria spasimante
involontaria rivolta
del'uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli
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Di che reggimento siete
fratelli?
Parola tremante
nella notte
Foglia appena nata
Nell'aria spasimante
involontaria rivolta
del'uomo presente alla sua
fragilità
Fratelli
È scritta questa rima per colei i cui occhi
lucenti ed espressivi come i gemelli di Leda,
troveranno il suo stesso dolce nome annidato
sulla pagina, celato ad ogni lettore.
Osservate i versi attentamente! Vi è in essi
un tesoro divino - un talismano - un amuleto -
che si deve portare sul cuore. Osservate poi
il metro - le parole - le sillabe!
Nulla si tralasci, o sarà vana la fatica!
E non v'è, nondimeno, nessun nodo gordiano
che senza una spada non potreste disciogliere,
se solo n'afferraste il soggetto.
Tracciate sul foglio, scrutate da occhi
in cui l'anima balena, s'ascondono, perdute,
tre parole eloquenti, spesso dette e spesso udite
da un poeta a un poeta - e d'un poeta è anche il nome.
Le sue lettere, benché ingannino, ovviamente,
come il Cavalier Pinto - Mendez Ferdinando -
sono, invece, sinonimo del Vero. - Ora basta!
Pur facendo del vostro meglio, non sciogliereste l'indovinello.
Lui ha messo
Il caffè nella tazza
Lui ha messo
Il latte nel caffè
Lui ha messo
Lo zucchero nel caffellatte
Ha girato
Il cucchiaino
Ha bevuto il caffellatte
Ha posato la tazza
Senza parlarmi
S'è acceso
Una sigaretta
Ha fatto
Dei cerchi di fumo
Ha messo la cenere
Nel portacenere
Senza parlarmi
Senza guardarmi
S'è alzato
S'è messo
Sulla testa il cappello
S'è messo
L'impermeabile
Perché pioveva
E se n'è andato
Sotto la pioggia
Senza parlare
Senza guardarmi,
E io mi son presa
La testa fra le mani
E ho pianto.
Essere come il fiume che scorre
silenzioso nella notte,
senza temere le tenebre.
Se ci sono stelle nel cielo, rifletterle.
E se i cieli si riempiono di nubi,
così come il fiume, le nubi sono d'acqua;
riflettere anch'esse, senza timore,
nelle tranquille profondità.
Di ogni battaglia il finale
è una bianca pietra tombale
Col nome del povero defunto
E l'epitaffio, appunto:
Qui giace un demente
Che provò a stuzzicare l'Oriente.
Prendila sul serio (la vita)
ma sul serio a tal punto
che a settant'anni pianterai un olivo
non perché resti ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
e la vita peserà di più sulla bilancia.
Fai pure del tuo peggio per sottrarti a me,
ma per tutta la vita mi apparterrai:
vita che non durerà più a lungo del tuo amore,
perché essa completamente da quell'amore dipende.
Non devo perciò temere il massimo dei mali,
dal momento che il minimo di essi mi può causare la fine;
esiste per me un più felice stato
di questo continuo dipendere dai tuoi umori!
Tu non puoi torturarmi con la tua incostanza,
ne va della mia vita col tuo disdegno.
Oh, quale titolo alla felicità posseggo:
pago di avere il tuo affetto, contento di dover morire!
C'è cosa tanto bella che non tema macchia?
Tu potresti ingannarmi e io non saperlo.
Nei suoi sogni la luna è più pigra, stasera:
come una bella donna su guanciali profondi,
che carezzi con mano disattenta e leggera
prima d'addormentarsi i suoi seni rotondi,
lei su un serico dorso di molli aeree nevi
moribonda s'estenua in perduti languori,
con gli occhi seguitando la apparizioni lievi
che sbocciano nel cielo come candidi fiori.
Quando a volte dai torpidi suoi ozi una segreta
lacrima sfugge e cade sulla terra, un poeta
nottambulo raccatta con mistico fervore
nel cavo della mano quella pallida lacrima
iridescente come scheggia d'opale.
e, per sottrarla al sole, se la nasconde in cuore.
Restai insaziata tutti i miei anni.
Arrivato il pomeriggio, tremante
avvicinai il tavolo per mangiare
e assaggiai un vino strano,
quello che avevo visto sulle tavole
quando affamata - tornando a casa -
guardavo attraverso i vetri la ricchezza
che non speravo di possedere mai.
Non conobbi l'abbondanza del pane -
era diversa la briciola
che avevo divisa con gli uccelli
nella sala da pranzo della natura.
Il troppo mi urta - è così insolito.
Mi sentivo a disagio, spaesata -
come una bacca ai fratta montana
trapiantata sulla strada.
E non avevo fame. Allora capii
che la fame è un istinto
di chi guarda le vetrine dal di fuori.
L'entrare, la disperde.
Modesto è l'autunno, come i taglialegna.
Costa molto togliere tutte le foglie
da tutti gli alberi di tutti i paesi.
La primavera le cucì in volo
e ora bisogna lasciarle cadere
come se fossero uccelli gialli:
Non è facile.
Serve tempo.
Bisogna correre per le strade,
parlare lingue,
svedese, portoghese,
parlare la lingua rossa,
quella verde.
Bisogna sapere
tacere in tutte le lingue
e dappertutto, sempre,
lasciare cadere,
cadere,
lasciare cadere,
cadere le foglie.
Difficile è essere autunno,
facile essere primavera.
Accendere tutto quel che è nato
per essere acceso.
Spegnere il mondo, invece,
facendolo scivolare via
come se fosse un cerchio di cose gialle,
fino a fondere odori, luce, radici,
e a far salire il vino all'uva,
coniare con pazienza l'irregolare moneta
della cima dell'albero
e spargerla dopo
per disinteressate strade deserte,
è compito di mani virili.