Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Valeria S
in Poesie (Poesie d'Autore)

Il mio funerale

Il mio funerale partirà dal nostro cortile?
Come mi farete scendere giù dal terzo piano?
La bara nell'ascensore non c'entra
e la scala è tanto stretta.

Il cortile sarà, forse, pieno di sole, di piccioni
forse nevicherà, i bambini giocheranno strillando
forse sull'asfalto bagnato cadrà la pioggia
e al solito ci saranno i bidoni per l'immondezza.

Se mi tiran su nel furgone col viso scoperto, come usa qui,
forse mi cadrà in fronte qualcosa di un piccione, porta fortuna,
che ci sia o no la fanfara, i bambini accorreranno
i bambini sono sempre curiosi dei morti.

La finestra della nostra cucina mi seguirà con lo sguardo
il nostro balcone mi accompagnerà col bucato steso.
Sono stato felice in questo cortile, pienamente felice.
Vicini miei del cortile, vi auguro lunga vita, a tutti.
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    in Poesie (Poesie d'Autore)
    Questa volta lasciate che sia felice,
    non è successo nulla a nessuno,
    non sono da nessuna parte,
    succede solo che sono felice
    fino all’ultimo profondo angolino del cuore.

    Camminando, dormendo o scrivendo,
    che posso farci, sono felice.
    sono più sterminato dell’erba nelle praterie,
    sento la pelle come un albero raggrinzito,
    e l’acqua sotto, gli uccelli in cima,
    il mare come un anello intorno alla mia vita,
    fatta di pane e pietra la terra
    l’aria canta come una chitarra.

    Tu al mio fianco sulla sabbia, sei sabbia,
    tu canti e sei canto,
    Il mondo è oggi la mia anima
    canto e sabbia, il mondo oggi è la tua bocca,
    lasciatemi sulla tua bocca e sulla sabbia
    essere felice,
    essere felice perché si,
    perché respiro e perché respiri,
    essere felice perché tocco il tuo ginocchio
    ed è come se toccassi la pelle azzurra del cielo
    e la sua freschezza.
    Oggi lasciate che sia felice, io e basta,
    con o senza tutti, essere felice con l’erba
    e la sabbia essere felice con l’aria e la terra,
    essere felice con te, con la tua bocca,
    essere felice.
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      Scritta da: Cheope
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      In te la terra

      Piccola
      rosa,
      rosa piccina,
      a volte,
      minuta e nuda,
      sembra
      che tu mi stia in una
      mano,
      che possa rinchiuderti in essa
      e portarti alla bocca,
      ma
      d'improvviso
      i miei piedi toccano i tuoi piedi e la mia bocca le tue labbra,
      sei cresciuta,
      le tue spalle salgono come due colline,
      i tuoi seni si muovono sul mio petto,
      il mio braccio riesce appena a circondare la sottile
      linea di luna nuova che ha la tua cintura:
      nell'amore come acqua di mare ti sei scatenata:
      misuro appena gli occhi più ampi del cielo
      e mi chino sulla tua bocca per baciare la terra.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Spesso il male di vivere ho incontrato

        Spesso il male di vivere ho incontrato:
        era il rivo strozzato che gorgoglia,
        era l'incartocciarsi della foglia
        riarsa, era il cavallo stramazzato.
        Bene non seppi; fuori del prodigio
        che schiude la divina Indifferenza:
        era la statua nella sonnolenza
        del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
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          in Poesie (Poesie d'Autore)

          La ballata dell'angelo ferito

          Urlate urlate urlate urlate.
          Non voglio lacrime. Urlate.
          Idolo e vittima di opachi riti
          Nutrita a forza in corpo che giace
          Io Eluana grido per non darvi pace

          Diciassette di coma che m'impietra
          Gli anni di stupro mio che non ha fine.
          Una marea di sangue repentina
          Angelica mi venne e fu menzogna
          Resto attaccata alla loro vergogna

          Ero troppo felice? Mi ha ghermita
          Triste fato una notte e non finita.
          Gloria a te Medicina che mi hai rinata
          Da naso a stomaco una sonda ficcata
          Priva di morte e orfana di vita

          Ho bussato alla porta del Gran Prete
          Benedetto: Santità fammi morire!
          Il papa è immerso in teologica fumata
          Mi ha detto da una finestra un Cardinale
          Bevi il tuo calice finché sia secco
          Ti saluta Sua Santità con tanto affetto

          Ho bussato alla porta del Dalai Lama.
          Tu il Riverito dai gioghi tibetani
          Tu che il male conosci e l'oppressura
          Accendimi Nirvana e i tubi oscura
          Ma gli occhi abbassa muto il Dalai Lama

          Ho bussato alla porta del Tribunale
          E il Giudice mi ha detto sei prosciolta
          La legge oggi ti libera ma tu domani
          Andrai tra di altri giudici le mani.
          Iniquità che predichi io gemo senza gola
          Bandiera persa qui nel gelo sola

          Ho bussato alla porta del Signore
          Se tu ci sei e vedi non mi abbandonare
          Chiamami in cielo o dove mai ti pare
          Soffia questa candela d'innocente
          Ma il Signore non dice e non fa niente

          Ho bussato alla porta del padre mio
          Lui sì risponde! Figlia ti so capire
          Dolcissimo io vorrei darti morire
          Ma c'è una bieca Italia di congiura
          Che mi sentenzia che non è natura

          E il mio papà piangeva da fontana
          Me tra ganasce di sorte puttana.
          Cittadini, di tanta inferta offesa
          Venga alla vostra bocca il sale amaro.
          Pensate a me Eluana Englaro.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Le ricordanze

            Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea
            Tornare ancor per uso a contemplarvi
            Sul paterno giardino scintillanti,
            E ragionar con voi dalle finestre
            Di questo albergo ove abitai fanciullo,
            E delle gioie mie vidi la fine.
            Quante immagini un tempo, e quante fole
            Creommi nel pensier l'aspetto vostro
            E delle luci a voi compagne! Allora
            Che, tacito, seduto in verde zolla,
            Delle sere io solea passar gran parte
            Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
            Della rana rimota alla campagna!
            E la lucciola errava appo le siepi
            E in su l'aiuole, susurrando al vento
            I viali odorati, ed i cipressi
            Là nella selva; e sotto al patrio tetto
            Sonavan voci alterne, e le tranquille
            Opre dè servi. E che pensieri immensi,
            Che dolci sogni mi spirò la vista
            Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
            Che di qua scopro, e che varcare un giorno
            Io mi pensava, arcani mondi, arcana
            Felicità fingendo al viver mio!
            Ignaro del mio fato, e quante volte
            Questa mia vita dolorosa e nuda
            Volentier con la morte avrei cangiato.
            Né mi diceva il cor che l'età verde
            Sarei dannato a consumare in questo
            Natio borgo selvaggio, intra una gente
            Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
            Argomento di riso e di trastullo,
            Son dottrina e saper; che m'odia e fugge,
            Per invidia non già, che non mi tiene
            Maggior di sé, ma perché tale estima
            Ch'io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
            A persona giammai non ne fo segno.
            Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
            Senz'amor, senza vita; ed aspro a forza
            Tra lo stuol dè malevoli divengo:
            Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
            E sprezzator degli uomini mi rendo,
            Per la greggia ch'ho appresso: e intanto vola
            Il caro tempo giovanil; più caro
            Che la fama e l'allor, più che la pura
            Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
            Senza un diletto, inutilmente, in questo
            Soggiorno disumano, intra gli affanni,
            O dell'arida vita unico fiore.
            Viene il vento recando il suon dell'ora
            Dalla torre del borgo. Era conforto
            Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
            Quando fanciullo, nella buia stanza,
            Per assidui terrori io vigilava,
            Sospirando il mattin. Qui non è cosa
            Ch'io vegga o senta, onde un'immagin dentro
            Non torni, e un dolce rimembrar non sorga.
            Dolce per sé; ma con dolor sottentra
            Il pensier del presente, un van desio
            Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui.
            Quella loggia colà, volta agli estremi
            Raggi del dì; queste dipinte mura,
            Quei figurati armenti, e il Sol che nasce
            Su romita campagna, agli ozi miei
            Porser mille diletti allor che al fianco
            M'era, parlando, il mio possente errore
            Sempre, ov'io fossi. In queste sale antiche,
            Al chiaror delle nevi, intorno a queste
            Ampie finestre sibilando il vento,
            Rimbombaro i sollazzi e le festose
            Mie voci al tempo che l'acerbo, indegno
            Mistero delle cose a noi si mostra
            Pien di dolcezza; indelibata, intera
            Il garzoncel, come inesperto amante,
            La sua vita ingannevole vagheggia,
            E celeste beltà fingendo ammira.
            O speranze, speranze; ameni inganni
            Della mia prima età! Sempre, parlando,
            Ritorno a voi; che per andar di tempo,
            Per variar d'affetti e di pensieri,
            Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo,
            Son la gloria e l'onor; diletti e beni
            Mero desio; non ha la vita un frutto,
            Inutile miseria. E sebben vòti
            Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro
            Il mio stato mortal, poco mi toglie
            La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta
            A voi ripenso, o mie speranze antiche,
            Ed a quel caro immaginar mio primo;
            Indi riguardo il viver mio sì vile
            E sì dolente, e che la morte è quello
            Che di cotanta speme oggi m'avanza;
            Sento serrarmi il cor, sento ch'al tutto
            Consolarmi non so del mio destino.
            E quando pur questa invocata morte
            Sarammi allato, e sarà giunto il fine
            Della sventura mia; quando la terra
            Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo
            Fuggirà l'avvenir; di voi per certo
            Risovverrammi; e quell'imago ancora
            Sospirar mi farà, farammi acerbo
            L'esser vissuto indarno, e la dolcezza
            Del dì fatal tempererà d'affanno.
            E già nel primo giovanil tumulto
            Di contenti, d'angosce e di desio,
            Morte chiamai più volte, e lungamente
            Mi sedetti colà su la fontana
            Pensoso di cessar dentro quell'acque
            La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco
            Malor, condotto della vita in forse,
            Piansi la bella giovanezza, e il fiore
            Dè miei poveri dì, che sì per tempo
            Cadeva: e spesso all'ore tarde, assiso
            Sul conscio letto, dolorosamente
            Alla fioca lucerna poetando,
            Lamentai cò silenzi e con la notte
            Il fuggitivo spirto, ed a me stesso
            In sul languir cantai funereo canto.
            Chi rimembrar vi può senza sospiri,
            O primo entrar di giovinezza, o giorni
            Vezzosi, inenarrabili, allor quando
            Al rapito mortal primieramente
            Sorridon le donzelle; a gara intorno
            Ogni cosa sorride; invidia tace,
            Non desta ancora ovver benigna; e quasi
            (Inusitata maraviglia! ) il mondo
            La destra soccorrevole gli porge,
            Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
            Suo venir nella vita, ed inchinando
            Mostra che per signor l'accolga e chiami?
            Fugaci giorni! A somigliar d'un lampo
            Son dileguati. E qual mortale ignaro
            Di sventura esser può, se a lui già scorsa
            Quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
            Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?
            O Nerina! E di te forse non odo
            Questi luoghi parlar? Caduta forse
            Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
            Che qui sola di te la ricordanza
            Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede
            Questa Terra natal: quella finestra,
            Ond'eri usata favellarmi, ed onde
            Mesto riluce delle stelle il raggio,
            È deserta. Ove sei, che più non odo
            La tua voce sonar, siccome un giorno,
            Quando soleva ogni lontano accento
            Del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto
            Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
            Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
            Il passar per la terra oggi è sortito,
            E l'abitar questi odorati colli.
            Ma rapida passasti; e come un sogno
            Fu la tua vita. Iva danzando; in fronte
            La gioia ti splendea, splendea negli occhi
            Quel confidente immaginar, quel lume
            Di gioventù, quando spegneali il fato,
            E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna
            L'antico amor. Se a feste anco talvolta,
            Se a radunanze io movo, infra me stesso
            Dico: o Nerina, a radunanze, a feste
            Tu non ti acconci più, tu più non movi.
            Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
            Van gli amanti recando alle fanciulle,
            Dico: Nerina mia, per te non torna
            Primavera giammai, non torna amore.
            Ogni giorno sereno, ogni fiorita
            Piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento,
            Dico: Nerina or più non gode; i campi,
            L'aria non mira. Ahi tu passasti, eterno
            Sospiro mio: passasti: e fia compagna
            D'ogni mio vago immaginar, di tutti
            I miei teneri sensi, i tristi e cari
            Moti del cor, la rimembranza acerba.
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              Scritta da: SweetNovember
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Se devi darmi il cuore

              Saranno pieni di preoccupazioni i tuoi giorni,
              se devi darmi il cuore.
              La mia casa, al bivio, ha le porte aperte,
              il mio pensiero è sempre assente,
              perché io sono un poeta.
              Non sento colpa per questo, ma te lo dico,
              se devi darmi il cuore.
              Se impegno con te la mia parole in canzoni
              e sono deciso a mantenerla, quando
              la musica tacerà, bisognerà che tu mi perdoni,
              perché la legge decisa a maggio
              la violo volentieri in dicembre.
              Non rifletterci troppo, se devi concedermi amore.
              Finché i tuoi occhi canteranno l'amore
              e la tua voce comunicherà la gioia,
              le mie risposte alle tue domande
              saranno sempre appassionate, anche se non precise.
              Vanno credute per sempre e poi per sempre dimenticate.
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                Scritta da: Gaetano Toffali
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Quanto ti ho amato

                Se tu mi avessi chiesto: "Come stai?"
                Se tu mi avessi chiesto dove andiamo
                t'avrei risposto "bene, certo sai"
                ti parlo però senza fiato
                mi perdo nel tuo sguardo colossale,
                la stella polare sei tu mi sfiori e ridi no, cosi non vale
                non parlo e se non parlo poi sto male

                Quanto t'ho amato e quanto t'amo non lo sai
                e non lo sai perché non te l'ho detto mai
                anche se resto in silenzio, tu lo capisci da te

                Quanto t'ho amato e quanto t'amo non lo sai
                non l'ho mai detto e non te lo dirò mai
                nell'amor le parole non contano conta la musica.

                Se tu mi avessi chiesto: "Che si fa?"
                Se tu mi avessi chiesto dove andiamo
                t'avrei risposto dove il vento va
                le nuvole fanno un ricamo
                mi piove sulla testa un temporale
                il cielo nascosto sei tu ma poi svanisce in mezzo alle parole
                per questo io non parlo e poi sto male

                Quanto t'ho amato e quanto t'amo non lo sai
                e non lo sai perché non te l'ho detto mai
                anche se resto in silenzio, tu lo capisci da te

                Quanto t'ho amato e quanto t'amo non lo sai
                non l'ho mai detto e non te lo dirò mai
                nell'amor le parole non contano conta la musica.

                Quanto t'ho amato e quanto t'amo non lo sai
                non l'ho mai detto ma un giorno capirai
                nell'amor le parole non contano conta la musica.
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