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in Poesie (Poesie d'Autore)

Su gioia e dolore

Allora una donna disse: Parlaci della Gioia e del Dolore.
E lui rispose:
La vostra gioia è il vostro dolore senza maschera,
E il pozzo da cui scaturisce il vostro riso, è stato sovente colmo di lacrime.
E come può essere altrimenti?
Quanto più a fondo vi scava il dolore, tanta più gioia potrete contenere.
La coppa che contiene il vostro vino non è forse la stessa bruciata nel forno del vasaio?
E il liuto che rasserena il vostro spirito non è forse lo stesso legno scavato dal coltello?
Quando siete felici, guardate nel fondo del vostro cuore e scoprirete che è proprio ciò che vi ha dato dolore a darvi ora gioia.
E quando siete tristi, guardate ancora nel vostro cuore e saprete di piangere per ciò che ieri è stato il vostro godimento.
Alcuni di voi dicono: "La gioia è più grande del dolore", e altri dicono: "No, è più grande il dolore".
Ma io vi dico che sono inseparabili.
Giungono insieme, e se l'una siede con voi alla vostra mensa, ricordate che l'altro è addormentato nel vostro letto.

In verità voi siete bilance che oscillano tra il dolore e la gioia.
Soltanto quando siete vuoti, siete equilibrati e saldi.
Come quando il tesoriere vi solleva per pesare oro e argento, così la vostra gioia e il vostro dolore dovranno sollevarsi oppure ricadere.
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    in Poesie (Poesie d'Autore)

    La meditazione

    La nostra paura più profonda
    non è di essere inadeguati.

    La nostra paura più profonda,
    è di essere potenti oltre ogni limite.

    È la nostra luce, non la nostra ombra,
    a spaventarci di più.

    Ci domandiamo: " Chi sono io per essere brillante, pieno di talento, favoloso? "
    In realtà chi sei tu per Non esserlo?
    Siamo figli di Dio.

    Il nostro giocare in piccolo,
    non serve al mondo.

    Non c'è nulla di illuminato
    nello sminuire se stessi cosicché gli altri
    non si sentano insicuri intorno a noi.

    Siamo tutti nati per risplendere,
    come fanno i bambini.

    Siamo nati per rendere manifesta
    la gloria di Dio che è dentro di noi.

    Non solo in alcuni di noi:
    è in ognuno di noi.

    E quando permettiamo alla nostra luce
    di risplendere, inconsapevolmente diamo
    agli altri la possibilità di fare lo stesso.

    E quando ci liberiamo dalle nostre paure,
    la nostra presenza
    automaticamente libera gli altri.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      A N. V. N.

      C'è nel contatto umano un limite fatale,
      non lo varca né amore né passione,
      pur se in muto spavento si fondono le labbra
      e il cuore si dilacera d'amore.

      Perfino l'amicizia vi è impotente,
      e anni d'alta, fiammeggiante gioia,
      quando libera è l'anima ed estranea
      allo struggersi lento del piacere.

      Chi cerca di raggiungerlo è folle,
      se lo tocca soffre una sorda pena...
      ora hai compreso perché il mio cuore
      non batte sotto la tua mano.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)
        Io sono innamorato di tutte le signore
        che mangiano le paste nelle confetterie.

        Signore e signorine -
        le dita senza guanto -
        scelgon la pasta. Quanto
        ritornano bambine!

        Perché nïun le veda,
        volgon le spalle, in fretta,
        sollevan la veletta,
        divorano la preda.

        C'è quella che s'informa
        pensosa della scelta;
        quella che toglie svelta,
        né cura tinta e forma.

        L'una, pur mentre inghiotte,
        già pensa al dopo, al poi;
        e domina i vassoi
        con le pupille ghiotte.

        Un'altra - il dolce crebbe -
        muove le disperate
        bianchissime al giulebbe
        dita confetturate!

        Un'altra, con bell'arte,
        sugge la punta estrema:
        invano! Ché la crema
        esce dall'altra parte!

        L'una, senz'abbadare
        a giovine che adocchi,
        divora in pace. Gli occhi
        altra solleva, e pare

        sugga, in supremo annunzio,
        non crema e cioccolatte,
        ma superliquefatte
        parole del D'Annunzio.

        Fra questi aromi acuti,
        strani, commisti troppo
        di cedro, di sciroppo,
        di creme, di velluti,

        di essenze parigine,
        di mammole, di chiome:
        oh! Le signore come
        ritornano bambine!

        Perché non m'è concesso -
        o legge inopportuna! -
        il farmivi da presso,
        baciarvi ad una ad una,

        o belle bocche intatte
        di giovani signore,
        baciarvi nel sapore
        di crema e cioccolatte?

        Io sono innamorato di tutte le signore
        che mangiano le paste nelle confetterie.
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          Scritta da: Paul Mehis
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Per la vecchia denti-storti

          Conosco una donna
          che compera continuamente puzzle
          cinesi
          puzzle
          cubi
          cavi
          pezzi che alla fine s'incastrano
          in un ordine
          li completa
          matematicamente
          risolve tutti i suoi
          puzzle
          vive giù in riva al mare
          mette lo zucchero fuori per le formiche
          e crede
          alla fin fine
          in un mondo migliore.
          Ha i capelli bianchi
          li pettina di rado
          ha i denti storti
          e indossa ampie tute informi
          su un corpo che molte
          donne vorrebbero avere.
          Per anni mi ha irritato
          con quelle che giudicavo
          eccentricità - come i gusci d'uovo a mollo
          (per nutrire le piante
          col calcio).
          Ma infine quando penso alla sua
          vita
          e la paragono alle altre vite
          più eccitanti, più belle
          e originali
          mi accorgo che lei ha ferito meno
          gente di tutti quelli che conosco
          (e per ferire intendo semplicemente ferire).
          Ha passato periodi tremendi,
          periodi in cui avrei forse potuto
          aiutarla di più
          perché è la madre della mia unica figlia
          e siamo stati un tempo grandi amanti,
          ma ne è uscita,
          come ho detto
          ha ferito meno gente di
          tutti quelli che conosco,
          e se guardi le cose così,
          beh,
          ha creato un mondo migliore.
          Ha vinto.
          Composta martedì 21 luglio 2009
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            Scritta da: Gabriella Stigliano
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Non mi accorsi del momento

            Non mi accorsi del momento in cui varcai
            per la prima volta la soglia
            di questa vita
            Quale fu la potenza che mi schiuse
            in questo vasto mistero
            come sboccia un fiore
            in una foresta a mezzanotte?
            Quando al mattino guardai la luce,
            subito sentii che non ero
            uno straniero in questo mondo,
            che l'inscrutabile, senza nome e forma
            mi aveva preso tra le sue braccia
            sotto l'aspetto di mia madre.
            Così, nella morte, lo stesso sconosciuto
            m'apparirà come sempre a me noto.
            e poiché amo questa vita
            so che amerò anche in morte.
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              Scritta da: Andrea De Candia
              in Poesie (Poesie d'Autore)
              Come crepiti nelle mie mani.
              Da quando ti ho conosciuto
              ho perso i valori estremi della vita.
              Sai quanto pesa una carezza?
              Sai cosa sono le mani?
              Sono uccelli che cercano orizzonti,
              sono uccelli che cercano pace,
              sono le mani dell'intelligenza e della ritrosia,
              sono il pane quotidiano degli angeli,
              sono le ali che cercano refrigerio.
              Il tuo volto è un nido d'aria
              attraverso il quale io trovo il mio nulla.
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                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Mamm'Emilia

                In te sono stato albume, uovo, pesce,
                le ere sconfinate della terra
                ho attraversato nella tua placenta,
                fuori di te sono contato a giorni.

                In te sono passato da cellula a scheletro
                un milione di volte mi sono ingrandito,
                fuori di te l'accrescimento è stato immensamente meno.
                Sono sgusciato dalla tua pienezza
                senza lasciarti vuota perché il vuoto
                l'ho portato con me.

                Sono venuto nudo, mi hai coperto
                così ho imparato nudità e pudore
                il latte e la sua assenza.
                Mi hai messo in bocca tutte le parole
                a cucchiaini, tranne una: mamma.
                Quella l'inventa il figlio sbattendo le due labbra
                quella l'insegna il figlio.
                Da te ho preso le voci del mio luogo,
                le canzoni, le ingiurie, gli scongiuri,
                da te ho ascoltato il primo libro
                dietro la febbre della scarlattina.
                Ti ho dato aiuto a vomitare, a friggere le pizze,
                a scrivere una lettera, ad accendere un fuoco,
                a finire le parole crociate, ti ho versato il vino
                e ho macchiato la tavola,
                non ti ho messo un nipote sulle gambe
                non ti ho fatto bussare a una prigione
                non ancora,
                da te ho imparato il lutto e l'ora di finirlo,
                a tuo padre somiglio, a tuo fratello,
                non sono stato figlio.
                Da te ho preso gli occhi chiari
                Non il loro peso
                a te ho nascosto tutto.
                Ho promesso di bruciare il tuo corpo
                di non darlo alla terra. Ti darò al fuoco
                fratello vulcano che ci orientava il sonno.
                Ti spargerò nell'aria dopo l'acquazzone
                all'ora dell'arcobaleno
                che ti faceva spalancare gli occhi.
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                  Scritta da: Andrea De Candia
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  Contributo alla statistica

                  Su cento persone

                  che ne sanno sempre più degli altri
                  - cinquantadue;

                  insicuri ad ogni passo
                  - quasi tutti gli altri;

                  pronti ad aiutare
                  purché la cosa non duri molto
                  - ben quarantanove;

                  buoni sempre,
                  perché non sanno fare altrimenti
                  - quattro, bè, forse cinque;

                  propensi ad ammirare senza invidia
                  - diciotto;

                  viventi con la continua paura
                  di qualcuno o qualcosa
                  - settantasette;

                  dotati per la felicità,
                  - al massimo poco più di venti;

                  innocui singolarmente,
                  che imbarbariscono nella folla
                  - di sicuro più della metà;

                  crudeli,
                  se costretti dalle circostanze
                  - è meglio non saperlo
                  neppure approssimativamente;

                  quelli col senno di poi
                  - non molti di più
                  di quelli col senno di prima;

                  che dalla vita prendono solo cose
                  - quaranta,
                  anche se vorrei sbagliarmi;

                  ripiegati, dolenti
                  e senza torcia nel buio
                  - ottantatré
                  prima o poi;

                  degni di compassione
                  - novantanove;

                  mortali
                  - cento su cento.
                  Numero al momento invariato.
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