Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

Questo utente ha inserito contributi anche in Frasi & Aforismi, in Indovinelli, in Frasi di Film, in Umorismo, in Racconti, in Leggi di Murphy, in Frasi per ogni occasione e in Proverbi.

Scritta da: Silvana Stremiz

Aspettami ed io tornerò.

Aspettami ed io tornerò,
ma aspettami con tutte le tue forze.
Aspettami quando le gialle piogge
ti ispirano tristezza,
aspettami quando infuria la tormenta,
aspettami quando c'è caldo,
quando più non si aspettano gli altri,
obliando tutto ciò che accadde ieri.
Aspettami quando da luoghi lontani
non giungeranno mie lettere,
aspettami quando ne avranno abbastanza
tutti quelli che aspettano con te.

Aspettami ed io tornerò,
non augurare del bene
a tutti coloro che sanno a memoria
che è tempo di dimenticare.
Credano pure mio figlio e mia madre
che io non sono più,
gli amici si stanchino di aspettare
e, stretti intorno al fuoco,
bevano vino amaro
in memoria dell'anima mia...
Aspettami. E non t'affrettare
a bere insieme con loro.

Aspettami ed io tornerò
ad onta di tutte le morti.
E colui che ormai non mi aspettava,
dica che ho avuto fortuna.
Chi non aspettò non può capire
come tu mi abbia salvato
in mezzo al fuoco
con la tua attesa.
Solo noi due conosceremo
come io sia sopravvissuto:
tu hai saputo aspettare semplicemente
come nessun altro.
Vota la poesia: Commenta
    Scritta da: Silvana Stremiz

    Due amici

    Una storia racconta di due amici
    che camminavano nel deserto. In un momento
    del viaggio i due cominciarono a discutere,
    ed un amico diede uno schiaffo all'altro...
    questi addolorato, ma senza dire nulla,
    scrisse nella sabbia:

    il mio migliore amico oggi mi ha dato uno schiaffo.

    continuarono a camminare, finché trovarono un'oasi,
    dove decisero di fare un bagno.
    L'amico che era stato schiaffeggiato rischiò di affogare,
    ma il suo amico lo salvò. Dopo che si fu ripreso,
    scrisse su una pietra:

    il mio migliore amico oggi mi ha salvato la vita.

    L'amico che aveva dato lo schiaffo
    e aveva salvato il suo migliore amico domandò:

    "quando ti ho ferito hai scritto nella sabbia,
    e adesso lo fai su una pietra. perché? "

    l'altro amico rispose:

    "quando qualcuno ci ferisce dobbiamo scriverlo nella sabbia,
    dove i venti del perdono possano cancellarlo.
    ma quando qualcuno fa qualcosa di buono per noi,
    dobbiamo inciderlo nella pietra,
    dove nessun vento possa cancellarlo."

    Impara a scrivere le tue ferite nella sabbia e ad incidere nella pietra le tue gioie.
    Vota la poesia: Commenta
      Scritta da: Silvana Stremiz
      Ascoltami, o Dio!
      M'avevano detto che Tu non esistevi
      ed io, come un idiota, ci avevo creduto.
      Ma l'altra sera, dal fondo della buca di una bomba,
      ho veduto il Tuo cielo.
      All'improvviso mi sono reso conto
      che m'avevano detto una menzogna.
      Se mi fossi preso la briga di guardare bene
      le cose che hai fatto Tu,
      avrei capito subito che quei tali
      si rifiutavano di chiamare gatto un gatto.
      Strano che sia stato necessario
      ch'io venissi in questo inferno
      per avere il tempo di vedere il Tuo volto!
      Io ti amo terribilmente...
      ecco quello che voglio che Tu sappia.
      Ci sarà tra poco una battaglia spaventosa.
      Chissà?
      Può darsi che io arrivi da te questa sera stessa.
      Non siamo stati buoni compagni fino ad ora
      e io mi domando, mio Dio,
      se Tu mi aspetterai sulla porta.
      Guarda: ecco come piango!
      Proprio io, mettermi a frignare!
      Ah, se ti avessi conosciuto prima...
      Andiamo! Bisogna che io parta.
      Che cosa buffa:
      dopo che ti ho incontrato non ho più paura di morire.
      Arrivederci!

      (Questa preghiera è stata trovata nello zaino di un soldato morto nel 1944 durante la battaglia di Montecassino)
      Vota la poesia: Commenta
        Scritta da: Silvana Stremiz

        Oltre al sogno

        Potrebbe essere un sogno
        senza ali per volare.

        Potrebbe essere
        che avrei voglia
        di farti di tutto
        di distruggerti dolcemente
        facendomi distruggere
        mentre godo dei silenzi
        amandoti fino a farmi male.

        Potrebbe essere
        che vorrei volare
        oltre al sogno
        a caduta libera
        e perdermi in te
        concederti tutto.

        Potrebbe essere
        che ti voglio
        che voglio TUTTO
        come non ho mai voluto prima.

        Potrebbe essere
        che a caduta libera
        "il vuoto" mi faccia paura.

        Potrebbe essere che sia già paurosamente Amore.
        Composta martedì 1 gennaio 2013
        Vota la poesia: Commenta
          Scritta da: Silvana Stremiz

          Davanti a San Guido

          I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
          Van da San Guido in duplice filar,
          Quasi in corsa giganti giovinetti
          Mi balzarono incontro e mi guardar.
          Mi riconobbero, e - Ben torni omai -
          Bisbigliaron vèr'me co 'l capo chino -
          Perché non scendi? Perché non ristai ?
          Fresca è la sera e a te noto il cammino.
          Oh sièditi a le nostre ombre odorate
          Ove soffia dal mare il maestrale:
          Ira non ti serbiam de le sassate
          Tue d'una volta: oh non facean già male!
          Nidi portiamo ancor di rusignoli:
          Deh perché fuggi rapido cosí ?
          Le passere la sera intreccian voli
          A noi d'intorno ancora. Oh resta qui! -
          - Bei cipressetti, cipressetti miei,
          Fedeli amici d'un tempo migliore,
          Oh di che cuor con voi mi resterei -
          Guardando lor rispondeva - oh di che cuore !
          Ma, cipressetti miei, lasciatem'ire:
          Or non è piú quel tempo e quell'età.
          Se voi sapeste!... via, non fo per dire,
          Ma oggi sono una celebrità.
          E so legger di greco e di latino,
          E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:
          Non son piú, cipressetti, un birichino,
          E sassi in specie non ne tiro piú.
          E massime a le piante. - Un mormorio
          Pè dubitanti vertici ondeggiò
          E il dí cadente con un ghigno pio
          Tra i verdi cupi roseo brillò.
          Intesi allora che i cipressi e il sole
          Una gentil pietade avean di me,
          E presto il mormorio si fè parole:
          - Ben lo sappiamo: un pover uom tu sè.
          Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
          Che rapisce de gli uomini i sospir,
          Come dentro al tuo petto eterne risse
          Ardon che tu né sai né puoi lenir.
          A le querce ed a noi qui puoi contare
          L'umana tua tristezza e il vostro duol.
          Vedi come pacato e azzurro è il mare,
          Come ridente a lui discende il sol!
          E come questo occaso è pien di voli,
          Com'è allegro dè passeri il garrire!
          A notte canteranno i rusignoli:
          Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;
          I rei fantasmi che dà fondi neri
          De i cuor vostri battuti dal pensier
          Guizzan come da i vostri cimiteri
          Putride fiamme innanzi al passegger.
          Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
          Che de le grandi querce a l'ombra stan
          Ammusando i cavalli e intorno intorno
          Tutto è silenzio ne l'ardente pian,
          Ti canteremo noi cipressi i cori
          Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
          Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
          Te ventilando co 'l lor bianco velo;
          E Pan l'eterno che su l'erme alture
          A quell'ora e ne i pian solingo va
          Il dissidio, o mortal, de le tue cure
          Ne la diva armonia sommergerà. -
          Ed io - Lontano, oltre Apennin, m'aspetta
          La Tittí - rispondea; - lasciatem'ire.
          È la Tittí come una passeretta,
          Ma non ha penne per il suo vestire.
          E mangia altro che bacche di cipresso;
          Né io sono per anche un manzoniano
          Che tiri quattro paghe per il lesso.
          Addio, cipressi! Addio, dolce mio piano! -
          - Che vuoi che diciam dunque al cimitero
          Dove la nonna tua sepolta sta? -
          E fuggíano, e pareano un corteo nero
          Che brontolando in fretta in fretta va.
          Di cima al poggio allor, dal cimitero,
          Giú dè cipressi per la verde via,
          Alta, solenne, vestita di nero
          Parvemi riveder nonna Lucia:
          La signora Lucia, da la cui bocca,
          Tra l'ondeggiar de i candidi capelli,
          La favella toscana, ch'è sí sciocca
          Nel manzonismo de gli stenterelli,
          Canora discendea, co 'l mesto accento
          De la Versilia che nel cuor mi sta,
          Come da un sirventese del trecento,
          Piena di forza e di soavità.
          O nonna, o nonna! Deh com'era bella
          Quand'ero bimbo! Ditemela ancor,
          Ditela a quest'uom savio la novella
          Di lei che cerca il suo perduto amor!
          – Sette paia di scarpe ho consumate
          Di tutto ferro per te ritrovare:
          Sette verghe di ferro ho logorate
          Per appoggiarmi nel fatale andare:
          Sette fiasche di lacrime ho colmate,
          Sette lunghi anni, di lacrime amare:
          Tu dormi a le mie grida disperate,
          E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare.
          - Deh come bella, o nonna, e come vera
          È la novella ancor! Proprio cosí.
          E quello che cercai mattina e sera
          Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,
          Sotto questi cipressi, ove non spero,
          Ove non penso di posarmi piú:
          Forse, nonna, è nel vostro cimitero
          Tra quegli altri cipressi ermo là su.
          Ansimando fuggía la vaporiera
          Mentr'io cosí piangeva entro il mio cuore;
          E di polledri una leggiadra schiera
          Annitrendo correa lieta al rumore.
          Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
          Rosso e turchino, non si scomodò:
          Tutto quel chiasso ei non degnò d'un guardo
          E a brucar serio e lento seguitò.
          Vota la poesia: Commenta
            Scritta da: Silvana Stremiz

            Sono Gagarin, il figlio della terra

            Io sono Gagarin.
            Per primo ho volato,
            e voi volaste dopo di me.
            Sono stato donato
            per sempre al cielo, dalla terra,
            come il figlio dell'umanità.
            In quell 'aprile
            i volti delle stelle, che gelavano senza carezze,
            coperte di muschio e di ruggine,
            si riscaldarono
            per le lentiggini rossigne di Smolensk
            salite al cielo.
            Ma le lentiggini sono tramontate.
            Quanto mi è terribile
            non restare che un bronzo, che un'ombra,
            non poter carezzare né l'erba, né un bambino,
            né far scricchiolare il cancelletto d'un giardino.
            Da sotto la nera cicatrice del timbro postale
            vi sorrido io
            con il sorriso ch'è volato via.
            Ma osservate bene cartoline e francobolli
            e capirete subito:
            per l'eternità
            io sono in volo.
            Mi applaudivano le mani dell'intera umanità.
            La gloria tentava di sedurmi,
            ma no, non c'è riuscita.

            Sulla tetra mi sono schiantato,
            quella che per primo ho visto tanto piccola,
            e la terra non me l'ha perdonata.
            Ma io perdono la terra,
            sono figlio suo, in spirito e carne,
            e per i secoli prometto
            di continuare il mio volo
            al di sopra al di sopra dei bombardamenti,
            delle tele-radiomenzogne,
            che la stringono con le loro volute,
            al di sopra delle donnaccole che baldanzosamente
            ballano lo streep-tease
            per i soldati nel Viet Nam,
            al di sopra della tonsura
            del frate
            che vorrebbe volare, ma è imbarazzato dalla sottana,
            al di sopra della censura
            che nella sua tonacaccia, inghiottì in Spagna le ali dei poeti...

            C'è chi
            è in volo
            nel simun vorticoso di stelle.
            C'è chi
            si dibatte
            nella palude da se stesso voluta.
            Uomini, o uomini
            ingenui spacconi,
            pensate: non vi fa paura
            alzarvi dal Capo che porta il nome dell'uomo che avete ucciso?
            Vergognatevi di questo baccano da mercato!
            Voi siete gelosi,
            rapaci,
            vendicativi.
            Come potete cadere tanto in basso se volate tanto in alto?!

            Io sono Gagarin, figlio della Terra,
            figlio dell'umanità:
            sono russo, greco e bulgaro,
            australiano e finlandese.

            Vi incarno tutti
            col mio slancio verso i cieli.
            Il mio nome è casuale,
            ma io non sono stato per caso.

            Mentre la terra s'insozzava
            di vanità e di peccato,
            il mio nome cambiava,
            ma l'anima no.

            Mi chiamavano Icaro.
            Giacqui nella polvere, nella cenere.
            Mi aveva spinto verso il sole
            il buio della terra.

            La cera si sciolse, spargendosi qua e là.
            Caddi senza salvezza,
            ma un pizzico di sole
            rimase stretto nella mia mano.

            Mi chiamarono servo.
            La rabbia mi pesava sulla schiena
            mentre, ritmando il tempo con le mani e coi piedi,
            danzavano sul mio corpo.

            Io caddi sotto le bastonate,
            ma, maledicendo la servitù,
            mi costruii delle ali coi bastoni
            dei miei torturatori!
            Ad Odessa fui Utockin.
            Fece uno scarto il duca,
            quando al di sopra dei suoi pantaloncini a piffero
            si levò un cavallo volante.

            Sotto il nome di Nesterov
            girando sopra la terra,
            feci innamorare la luna
            col mio giro della morte.

            La morte fischiava sulle ali.
            È una virtù disprezzarla
            e con Gastello imberbe
            mi gettai in volo sul nemico.

            E le ali temerarie
            ardendo come un rogo, hanno protetto,
            voi che foste allora ragazzi,
            Aldrin, Collins, Armstrong.

            E, sicuro della speranza
            che gli uomini sono un'unica famiglia,
            dell'equipaggio di Apollo
            invisibile io ero.

            Mangiammo dai tubetti,
            avremmo brindato in viaggio
            come sull'Elba,
            ci abbracciammo sulla Galassia.

            Il lavoro procedeva senza scherzi.
            Era in gioco la vita
            e con lo stivale di Armstrong
            io scesi sulla Luna.
            Vota la poesia: Commenta
              Scritta da: Silvana Stremiz

              Nuovi colori e spazi bianchi

              Ricomincio da qui... ce la posso fare
              Riparto da me
              non si tratta d'orgoglio
              solamente di dignità
              riprendo il mio essere DONNA
              Seppellisco
              l'amarezza dell'umiliazione
              dell'attesa eterna del niente
              che ha consumato le mie notti
              in inutili stupide preghiere.

              Un consumarsi lento e logorante
              del cuore e dell'anima.
              Mettere via il rumore del silenzio del vuoto
              del dolore di quello che vorresti e che non è
              È doveroso quando uccide.

              Riparto da qui...
              con in una mano il passato
              per non dimenticare ed errare ancora
              nell'altra la speranza, il coraggio
              di chi sa che esiste un domani
              e con la forza di chi ancora crede.

              Riparto con tutti i miei errori
              con un bagaglio pieno di tutto
              e l'anima piena di nulla
              con speranze deluse
              con nuovi colori e spazi bianchi
              da riempire con il coraggio che c'è in me.
              Composta venerdì 2 dicembre 2011
              Vota la poesia: Commenta