O bel clivo fiorito Cavallino ch'io varcai cò leggiadri eguali a schiera al mio bel tempo; chi sa dir se l'era d'olmo la tua parlante ombra o di pino? Era busso ricciuto o biancospino, da cui dorata trasparia la sera? C'è un campanile tra una selva nera, che canta, bianco, l'inno mattutino? Non so: ché quando a te s'appressa il vano desìo, per entro il cielo fuggitivo te vedo incerta vision fluire. So ch'or sembri il paese allor lontano lontano, che dal tuo fiorito clivo io rimirai nel limpido avvenire.
Les enfants qui s'aiment s'embrassent debout Contre les portes de la nuit Et les passants qui passent les désignent du doigt Mais les enfants qui s'aiment Ne sont là pour personne Et c'est seulement leur ombre Qui tremble dans la nuit Excitant la rage des passants Leur rage leur mépris leurs rires et leur envie Les enfants qui s'aiment ne sont là pour personne Ils sont ailleurs bien plus loin que la nuit Bien plus haut que le jour Dans l'éblouissante clarté de leur premier amour.
Credei ch'al tutto fossero In me, sul fior degli anni, Mancati i dolci affanni Della mia prima età: I dolci affanni, i teneri Moti del cor profondo, Qualunque cosa al mondo Grato il sentir ci fa.
Quante querele e lacrime Sparsi nel novo stato, Quando al mio cor gelato Prima il dolor mancò! Mancàr gli usati palpiti, L'amor mi venne meno, E irrigidito il seno Di sospirar cessò!
Piansi spogliata, esanime Fatta per me la vita La terra inaridita, Chiusa in eterno gel; Deserto il dì; la tacita Notte più sola e bruna; Spenta per me la luna, Spente le stelle in ciel.
Pur di quel pianto origine Era l'antico affetto: Nell'intimo del petto Ancor viveva il cor. Chiedea l'usate immagini La stanca fantasia; E la tristezza mia Era dolore ancor.
Fra poco in me quell'ultimo Dolore anco fu spento, E di più far lamento Valor non mi restò. Giacqui: insensato, attonito, Non dimandai conforto: Quasi perduto e morto, Il cor s'abbandonò.
Qual fui! Quanto dissimile Da quel che tanto ardore, Che sì beato errore Nutrii nell'alma un dì! La rondinella vigile, Alle finestre intorno Cantando al novo giorno, Il cor non mi ferì:
Non all'autunno pallido In solitaria villa, La vespertina squilla, Il fuggitivo Sol. Invan brillare il vespero Vidi per muto calle, Invan sonò la valle Del flebile usignol.
E voi, pupille tenere, Sguardi furtivi, erranti, Voi dè gentili amanti Primo, immortale amor, Ed alla mano offertami Candida ignuda mano, Foste voi pure invano Al duro mio sopor.
D'ogni dolcezza vedovo, Tristo; ma non turbato, Ma placido il mio stato, Il volto era seren. Desiderato il termine Avrei del viver mio; Ma spento era il desio Nello spossato sen.
Qual dell'età decrepita L'avanzo ignudo e vile, Io conducea l'aprile Degli anni miei così: Così quegl'ineffabili Giorni, o mio cor, traevi, Che sì fugaci e brevi Il cielo a noi sortì.
Chi dalla grave, immemore Quiete or mi ridesta? Che virtù nova è questa, Questa che sento in me? Moti soavi, immagini, Palpiti, error beato, Per sempre a voi negato Questo mio cor non è?
Siete pur voi quell'unica Luce dè giorni miei? Gli affetti ch'io perdei Nella novella età? Se al ciel, s'ai verdi margini, Ovunque il guardo mira, Tutto un dolor mi spira, Tutto un piacer mi dà.
Meco ritorna a vivere La piaggia, il bosco, il monte; Parla al mio core il fonte, Meco favella il mar. Chi mi ridona il piangere Dopo cotanto obblio? E come al guardo mio Cangiato il mondo appar?
Forse la speme, o povero Mio cor, ti volse un riso? Ahi della speme il viso Io non vedrò mai più. Proprii mi diede i palpiti, Natura, e i dolci inganni. Sopiro in me gli affanni L'ingenita virtù;
Non l'annullàr: non vinsela Il fato e la sventura; Non con la vista impura L'infausta verità. Dalle mie vaghe immagini So ben ch'ella discorda: So che natura è sorda, Che miserar non sa.
Che non del ben sollecita Fu, ma dell'esser solo: Purché ci serbi al duolo, Or d'altro a lei non cal. So che pietà fra gli uomini Il misero non trova; Che lui, fuggendo, a prova Schernisce ogni mortal.
Che ignora il tristo secolo Gl'ingegni e le virtudi; Che manca ai degni studi L'ignuda gloria ancor. E voi, pupille tremule, Voi, raggio sovrumano, So che splendete invano, Che in voi non brilla amor.
Nessuno ignoto ed intimo Affetto in voi non brilla: Non chiude una favilla Quel bianco petto in sé. Anzi d'altrui le tenere Cure suol porre in gioco; E d'un celeste foco Disprezzo è la mercè.
Pur sento in me rivivere Gl'inganni aperti e noti; E, dè suoi proprii moti Si maraviglia il sen. Da te, mio cor, quest'ultimo Spirto, e l'ardor natio, Ogni conforto mio Solo da te mi vien.
Mancano, il sento, all'anima Alta, gentile e pura, La sorte, la natura, Il mondo e la beltà. Ma se tu vivi, o misero, Se non concedi al fato, Non chiamerò spietato Chi lo spirar mi dà.
The woman is perfected. Her dead Body wears the smile of accomplishment, The illusion of a Greek necessity Flows in the scrolls of her toga, Her bare Feet seem to be saying: We have come so far, it is over. Each dead child coiled, a white serpent, One at each little Pitcher of milk, now empty. She has folded Them back into her body as petals Of a rose close when the garden Stiffens and odors bleed From the sweet, deep throats of the night flower. The moon has nothing to be sad about, Staring from her hood of bone. She is used to this sort of thing. Her blacks crackle and drag. Orlo -Sylvia Plath
La donna è a perfezione. Il suo morto
Corpo ha il sorriso del compimento, un'illusione di greca necessità
scorre lungo i drappeggi della sua toga, i suoi nudi
piedi sembran dire: abbiamo tanto camminato, è finita.
Si sono rannicchiati i morti infanti ciascuno come un bianco serpente a una delle due piccole
tazze del latte, ora vuote. Lei li ha riavvolti
Dentro il suo corpo come petali di una rosa richiusa quando il giardino
s'intorpidisce e sanguinano odori dalle dolci, profonde gole del fiore della notte.
Niente di cui rattristarsi ha la luna che guarda dal suo cappuccio d'osso.
A certe cose è ormai abituata. Crepitano, si tendono le sue macchie nere.
C'è nel contatto umano un limite fatale, non lo varca né amore né passione, pur se in muto spavento si fondono le labbra e il cuore si dilacera d'amore.
Perfino l'amicizia vi è impotente, e anni d'alta, fiammeggiante gioia, quando libera è l'anima ed estranea allo struggersi lento del piacere.
Chi cerca di raggiungerlo è folle, se lo tocca soffre una sorda pena... ora hai compreso perché il mio cuore non batte sotto la tua mano.
Ti ho sognata mi sei apparsa sopra i rami passando vicino alla luna tra una nuvola e l'altra andavi, e io ti seguivo ti fermavi e io mi fermavo, mi fermavo, e tu ti fermavi, mi guardavi e io ti guardavo ti guardavo e tu mi guardavi poi tutto è finito.
Forse un mattino andando in un'aria di vetro, arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, con un terrore da ubriaco.
Poi, come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto alberi, case, colli per l'inganno consueto. Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
Tu non ricordi la casa dei doganieri sul rialzo a strapiombo sulla scogliera: desolata t'attende dalla sera in cui v'entrò lo sciame dei tuoi pensieri e vi sostò irrequieto.
Libeccio sferza da anni le vecchie mura e il suono del tuo riso non è più lieto: la bussola va impazzita all'avventura e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna la tua memoria; un filo s'addipana.
Ne tengo ancora un capo; ma s'allontana la casa e in cima al tetto la banderuola affumicata gira senza pietà. Ne tengo un capo; ma tu resti sola nè qui respiri nell'oscurità.
Oh l'orizzonte in fuga, dove s'accende rara la luce della petroliera! Il varco è qui? (ripullula il frangente ancora sulla balza che scoscende... ). Tu non ricordi la casa di questa mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.