Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Allora

Allora... in un tempo assai lunge
felice fui molto; non ora:
ma quanta dolcezza mi giunge
da tanta dolcezza d'allora!
Quell'anno! Per anni che poi
fuggirono, che fuggiranno,
non puoi, mio pensiero, non puoi,
portare con te, che quell'anno!
Un giorno fu quello, ch'è senza
compagno, ch'è senza ritorno;
la vita fu vana parvenza
sì prima sì dopo quel giorno!
Un punto!... così passeggero,
che in vero passò non raggiunto,
ma bello così, che molto ero
felice, felice, quel punto!
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Passato

    I ricordi, queste ombre troppo lunghe
    del nostro breve corpo,
    questo strascico di morte
    che noi lasciamo vivendo
    i lugubri e durevoli ricordi,
    eccoli già apparire:
    melanconici e muti
    fantasmi agitati da un vento funebre.
    E tu non sei più che un ricordo.
    Sei trapassata nella mia memoria.
    Ora sì, posso dire che
    che m'appartieni
    e qualche cosa fra di noi è accaduto
    irrevocabilmente.
    Tutto finì, così rapito!
    Precipitoso e lieve
    il tempo ci raggiunse.
    Di fuggevoli istanti ordì una storia
    ben chiusa e triste.
    Dovevamo saperlo che l'amore
    brucia la vita e fa volare il tempo.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      Les enfants qui s'aiment s'embrassent debout
      Contre les portes de la nuit
      Et les passants qui passent les désignent du doigt
      Mais les enfants qui s'aiment
      Ne sont là pour personne
      Et c'est seulement leur ombre
      Qui tremble dans la nuit
      Excitant la rage des passants
      Leur rage leur mépris leurs rires et leur envie
      Les enfants qui s'aiment ne sont là pour personne
      Ils sont ailleurs bien plus loin que la nuit
      Bien plus haut que le jour
      Dans l'éblouissante clarté de leur premier amour.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Ballata delle madri

        Mi domando che madri avete avuto.
        Se ora vi vedessero al lavoro
        in un mondo a loro sconosciuto,
        presi in un giro mai compiuto
        d'esperienze così diverse dalle loro,
        che sguardo avrebbero negli occhi?
        Se fossero lì, mentre voi scrivete
        il vostro pezzo, conformisti e barocchi,
        o lo passate a redattori rotti
        a ogni compromesso, capirebbero chi siete?

        Madri vili, con nel viso il timore
        antico, quello che come un male
        deforma i lineamenti in un biancore
        che li annebbia, li allontana dal cuore,
        li chiude nel vecchio rifiuto morale.
        Madri vili, poverine, preoccupate
        che i figli conoscano la viltà
        per chiedere un posto, per essere pratici,
        per non offendere anime privilegiate,
        per difendersi da ogni pietà.

        Madri mediocri, che hanno imparato
        con umiltà di bambine, di noi,
        un unico, nudo significato,
        con anime in cui il mondo è dannato
        a non dare né dolore né gioia.
        Madri mediocri, che non hanno avuto
        per voi mai una parola d'amore,
        se non d'un amore sordidamente muto
        di bestia, e in esso v'hanno cresciuto,
        impotenti ai reali richiami del cuore.

        Madri servili, abituate da secoli
        a chinare senza amore la testa,
        a trasmettere al loro feto
        l'antico, vergognoso segreto
        d'accontentarsi dei resti della festa.
        Madri servili, che vi hanno insegnato
        come il servo può essere felice
        odiando chi è, come lui, legato,
        come può essere, tradendo, beato,
        e sicuro, facendo ciò che non dice.

        Madri feroci, intente a difendere
        quel poco che, borghesi, possiedono,
        la normalità e lo stipendio,
        quasi con rabbia di chi si vendichi
        o sia stretto da un assurdo assedio.
        Madri feroci, che vi hanno detto:
        Sopravvivete! Pensate a voi!
        Non provate mai pietà o rispetto
        per nessuno, covate nel petto
        la vostra integrità di avvoltoi!

        Ecco, vili, mediocri, servi,
        feroci, le vostre povere madri!
        Che non hanno vergogna a sapervi
        – nel vostro odio – addirittura superbi,
        se non è questa che una valle di lacrime.
        È così che vi appartiene questo mondo:
        fatti fratelli nelle opposte passioni,
        o le patrie nemiche, dal rifiuto profondo
        a essere diversi: a rispondere
        del selvaggio dolore di esser uomini.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          La via del rifugio

          Trenta quaranta,
          tutto il Mondo canta
          canta lo gallo
          risponde la gallina...

          Socchiusi gli occhi, sto
          supino nel trifoglio,
          e vedo un quatrifoglio
          che non raccoglierò.

          Madama Colombina
          s'affaccia alla finestra
          con tre colombe in testa:
          passan tre fanti...

          Belle come la bella
          vostra mammina, come
          il vostro caro nome,
          bimbe di mia sorella!

          ... su tre cavalli bianchi:
          bianca la sella
          bianca la donzella
          bianco il palafreno...

          Ne fare il giro a tondo
          estraggono le sorti.
          (I bei capelli corti
          come caschetto biondo

          rifulgono nel sole. )
          Estraggono a chi tocca
          la sorte, in filastrocca
          segnado le parole.

          Socchiudo gli occhi, estranio
          ai casi della vita.
          Sento fra le mie dita
          la forma del mio cranio...

          Ma dunque esisto! O Strano!
          Vive tra il Tutto e il Niente
          questa cosa vivente
          detta guidogozzano!

          Resupino sull'erba
          (ho detto che non voglio
          raccorti, o quatrifoglio)
          non penso a che mi serba

          la Vita. Oh la carezza
          dell'erba! Non agogno
          cha la virtù del sogno:
          l'inconsapevolezza.

          Bimbe di mia sorella,
          e voi, senza sapere
          cantate al mio piacere
          la sua favola bella.

          Sognare! Oh quella dolce
          Madama Colombina
          protesa alla finestra
          con tre colombe in testa!

          Sognare. Oh quei tre fanti
          su tre cavalli bianchi:
          bianca la sella,
          bianca la donzella!

          Chi fu l'anima sazia
          che tolse da un affresco
          o da un missale il fresco
          sogno di tanta grazia?

          A quanti bimbi morti
          passò di bocca in bocca
          la bella filastrocca
          signora delle sorti?

          Da trecent'anni, forse,
          da quattrocento e più
          si canta questo canto
          al gioco del cucù.

          Socchiusi gli occhi, sto
          supino nel trifoglio,
          e vedo un quatrifoglio
          che non raccoglierò.

          L'aruspice mi segue
          con l'occhio d'una donna...
          Ancora si prosegue
          il canto che m'assonna.

          Colomba colombita
          Madama non resiste,
          discende giù seguita
          da venti cameriste,

          fior d'aglio e fior d'aliso,
          chi tocca e chi non tocca...
          La bella filastrocca
          si spezza d'improvviso.

          "Una farfalla! " "Dài!
          Dài! " - Scendon pel sentiere
          le tre bimbe leggere
          come paggetti gai.

          Una Vanessa Io
          nera come il carbone
          aleggia in larghe rote
          sul prato solatio,

          ed ebra par che vada.
          Poi - ecco - si risolve
          e ratta sulla polvere
          si posa della strada.

          Sandra, Simona, Pina
          silenziose a lato
          mettonsile in agguato
          lungh'essa la cortina.

          Belle come la bella
          vostra mammina, come
          il vostro caro nome
          bimbe di mia sorella!

          Or la Vanessa aperta
          indugia e abbassa l'ali
          volgendo le sue frali
          piccole antenne all'erta.

          Ma prima la Simona
          avanza, ed il cappello
          toglie ed il braccio snello
          protende e la persona.

          Poi con pupille intente
          il colpo che non falla
          cala sulla farfalla
          rapidissimamente.

          "Presa! " Ecco lo squillo
          della vittoria. "Aiuto!
          È tutta di velluto:
          Oh datemi uno spillo! "

          "Che non ti sfugga, zitta! "
          S'adempie la condanna
          terribile; s'affanna
          la vittima trafitta.

          Bellissima. D'inchiostro
          l'ali, senza rintocchi,
          avvivate dagli occhi
          d'un favoloso mostro.

          "Non vuol morire! " "Lesta!
          Ché soffre ed ho rimorso!
          Trapassale la testa!
          Ripungila sul dorso! "

          Non vuol morire! Oh strazio
          d'insetto! Oh mole immensa
          di dolore che addensa
          il Tempo nello Spazio!

          A che destino ignoto
          si soffre? Va dispersa
          la lacrima che versa
          l'Umanità nel vuoto?

          Colombina colombita
          Madama non resiste:
          discende giù seguita
          da venti cameriste...

          Sognare! Il sogno allenta
          la mente che prosegue:
          s'adagia nelle tregue
          l'anima sonnolenta,

          siccome quell'antico
          brahamino del Pattarsy
          che per racconsolarsi
          si fissa l'umbilico.

          Socchiudo gli occhi, estranio
          ai casi della vita;
          sento fra le mie dita
          la forma del mio cranio.

          Verrà da sé la cosa
          vera chiamata Morte:
          che giova ansimar forte
          per l'erta faticosa?

          Trenta quaranta
          tutto il Mondo canta
          canta lo gallo
          canta la gallina...

          La Vita? Un gioco affatto
          degno di vituperio,
          se si mantenga intatto
          un qualche desiderio.

          Un desiderio? Sto
          supino nel trifoglio
          e vedo un quatrifoglio
          che non raccoglierò.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Edge

            The woman is perfected.
            Her dead
            Body wears the smile of accomplishment,
            The illusion of a Greek necessity
            Flows in the scrolls of her toga,
            Her bare
            Feet seem to be saying:
            We have come so far, it is over.
            Each dead child coiled, a white serpent,
            One at each little
            Pitcher of milk, now empty.
            She has folded
            Them back into her body as petals
            Of a rose close when the garden
            Stiffens and odors bleed
            From the sweet, deep throats of the night flower.
            The moon has nothing to be sad about,
            Staring from her hood of bone.
            She is used to this sort of thing.
            Her blacks crackle and drag.
            Orlo
            -Sylvia Plath

            La donna è a perfezione.
            Il suo morto

            Corpo ha il sorriso del compimento,
            un'illusione di greca necessità

            scorre lungo i drappeggi della sua toga,
            i suoi nudi

            piedi sembran dire:
            abbiamo tanto camminato, è finita.

            Si sono rannicchiati i morti infanti ciascuno
            come un bianco serpente a una delle due piccole

            tazze del latte, ora vuote.
            Lei li ha riavvolti

            Dentro il suo corpo come petali
            di una rosa richiusa quando il giardino

            s'intorpidisce e sanguinano odori
            dalle dolci, profonde gole del fiore della notte.

            Niente di cui rattristarsi ha la luna
            che guarda dal suo cappuccio d'osso.

            A certe cose è ormai abituata.
            Crepitano, si tendono le sue macchie nere.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Il Cavallino

              O bel clivo fiorito Cavallino
              ch'io varcai cò leggiadri eguali a schiera
              al mio bel tempo; chi sa dir se l'era
              d'olmo la tua parlante ombra o di pino?
              Era busso ricciuto o biancospino,
              da cui dorata trasparia la sera?
              C'è un campanile tra una selva nera,
              che canta, bianco, l'inno mattutino?
              Non so: ché quando a te s'appressa il vano
              desìo, per entro il cielo fuggitivo
              te vedo incerta vision fluire.
              So ch'or sembri il paese allor lontano
              lontano, che dal tuo fiorito clivo
              io rimirai nel limpido avvenire.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Quanto ancor più bella sembra la bellezza (Sonetto 54)

                Quanto ancor più bella sembra la bellezza,
                per quel ricco ornamento che virtù le dona!
                Bella ci appar la rosa, ma più bella la pensiamo
                per la soave essenza che vive dentro a lei.
                Anche le selvatiche hanno tinte molto intense
                simili al colore delle rose profumate,
                hanno le stesse spine e giocano con lo stesso brio
                quando la brezza d'estate ne schiude gli ascosi boccioli:
                ma poiché il loro pregio è solo l'apparenza,
                abbandonate vivono, sfioriscono neglette e
                solitarie muoiono. Non così per le fragranti rose:
                la loro dolce morte divien soavissimo profumo:
                e così è; per te, fiore stupendo e ambito,
                come appassirai, i miei versi stilleran la tua virtù.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz

                  La stella

                  Perdettero la stella un giorno.
                  Come si a perdere
                  La stella? Per averla troppo a lungo fissata…
                  I due re bianchi,
                  ch'eran due sapienti di Caldea,
                  tracciaron al suolo dei cerchi, col bastone.

                  Si misero a calcolare, si grattarono il mento…
                  Ma la stella era svanita come svanisce un'idea,
                  e quegli uomini, la cui anima
                  aveva sete d'essere guidata,
                  piansero innalzando le tende di cotone.

                  Ma il povero re nero, disprezzato dagli altri,
                  si disse: " Pensiamo alla sete che non è la nostra.
                  Bisogna dar da bere, lo stesso, agli animali":

                  E mentre sosteneva il suo secchio per l'ansa,
                  nello specchio di cielo
                  in cui bevevano i cammelli
                  egli vide la stella d'oro che danzava in silenzio.
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