Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Ma è il mio cuore amore mio

I tuoi occhi m'interrogano tristi.
Vorrebbero sapere i miei pensieri
come la luna che scandaglia il mare.
Dal principio alla fine ho denudato
la mia vita davanti ai tuoi occhi,
senza nulla celarti o trattenere.
Ed è per questo che non mi conosci.
Se fosse soltanto una gemma,
la romperei in cento pezzi
e con essi farei una catena
da mettere attorno al tuo collo.
Se fosse soltanto un fiore,
rotondo e piccolo e dolce,
lo coglierei dallo stelo
per metterlo nei tuoi capelli.

Ma è il mio cuore, mia diletta
Dove sono le sue spiagge e il suo fondo ?
Di questo regno tu ignori i confini
e tuttavia sei la sua regina.
Se fosse solo un momento di gioia
fiorirebbe in un facile sorriso,
lo potresti capire in un momento.
Se fosse soltanto un dolore
si scioglierebbe in limpide lacrime,
rivelando il suo più intimo segreto
senza dire una sola parola.
Ma è il mio cuore, amore mio.
Le sue gioie e i suoi dolori
sono sconfinati, e infiniti
i suoi desideri e le sue ricchezze.
Ti è vicino come la tua stessa vita,
ma non puoi conoscerlo interamente.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Il poeta solitario

    O dolce usignolo che ascolto
    (non sai dove), in questa gran pace
    cantare cantare tra il folto,
    là, dei sanguini e delle acace;
    t'ho presa - perdona, usignolo -
    una dolce nota, sol una,
    ch'io canto tra me, solo solo,
    nella sera, al lume di luna.
    E pare una tremula bolla
    tra l'odore acuto del fieno,
    un molle gorgoglio di polla,
    un lontano fischio di treno...
    Chi passa, al morire del giorno,
    ch'ode un fischio lungo laggiù
    riprende nel cuore il ritorno
    verso quello che non è più.
    Si trova al nativo villaggio,
    vi ritrova quello che c'era:
    l'odore di mesi-di-maggio
    buon odor di rose e di cera.
    Ne ronzano le litanie,
    come l'api intorno una culla:
    ci sono due voci sì pie!
    Di sua madre e d'una fanciulla.
    Poi fatto silenzio, pian piano,
    nella nota mia, che t'ho presa,
    risente squillare il lontano
    campanello della sua chiesa.
    Riprende l'antica preghiera,
    ch'ora ora non ha perché;
    si trova con quello che c'era,
    ch'ora ora ora non c'è...
    Chi sono? Non chiederlo. Io piango,
    ma di notte, perch'ho vergogna.
    O alato, io qui vivo nel fango.
    Sono un gramo rospo che sogna.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Allora

      Allora... in un tempo assai lunge
      felice fui molto; non ora:
      ma quanta dolcezza mi giunge
      da tanta dolcezza d'allora!
      Quell'anno! Per anni che poi
      fuggirono, che fuggiranno,
      non puoi, mio pensiero, non puoi,
      portare con te, che quell'anno!
      Un giorno fu quello, ch'è senza
      compagno, ch'è senza ritorno;
      la vita fu vana parvenza
      sì prima sì dopo quel giorno!
      Un punto!... così passeggero,
      che in vero passò non raggiunto,
      ma bello così, che molto ero
      felice, felice, quel punto!
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Al fiume

        Bel fiume! Nel tuo limpido flutto
        di lucido cristallo, acqua errabonda,
        tu sei emblema d'una fulgente
        beltà - cuore non disvelato -
        piacevole intrico dell'arte
        nella figlia del vecchio Alberto;

        ma quando la tua onda ella contempla -
        che scintilla allora e tremola,
        oh, allora il più leggiadro rivo
        si fa simile a colui che l'adora:
        ché nel cuore di lui, come nel tuo scorrere,
        l'immagine di colei è radicata:
        in quel cuore che tremola al raggio
        di occhi che cercano l'anima.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          L'amor mio è vestita di luce

          L'amor mio è vestita di luce
          In mezzo ai meli
          Dove i lieti venti più bramano
          Di correre insieme.

          Là dove i venti lieti restano un poco
          A corteggiare le giovani foglie,
          L'amor mio va lentamente, china
          Alla propria ombra sull'erba;

          Là, dove il cielo è una coppa azzurrina
          Rovescia sulla terra ridente,
          Va l'amor mio luminoso, sostenendo
          Con garbo la veste.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Canto notturno di un pastore errante dell'Asia

            Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,
            Silenziosa luna?
            Sorgi la sera, e vai,
            Contemplando i deserti; indi ti posi.
            Ancor non sei tu paga
            Di riandare i sempiterni calli?
            Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
            Di mirar queste valli?
            Somiglia alla tua vita
            La vita del pastore.
            Sorge in sul primo albore;
            Move la greggia oltre pel campo, e vede
            Greggi, fontane ed erbe;
            Poi stanco si riposa in su la sera:
            Altro mai non ispera.
            Dimmi, o luna: a che vale
            Al pastor la sua vita,
            La vostra vita a voi? Dimmi: ove tende
            Questo vagar mio breve,
            Il tuo corso immortale?
            Vecchierel bianco, infermo,
            Mezzo vestito e scalzo,
            Con gravissimo fascio in su le spalle,
            Per montagna e per valle,
            Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
            Al vento, alla tempesta, e quando avvampa
            L'ora, e quando poi gela,
            Corre via, corre, anela,
            Varca torrenti e stagni,
            Cade, risorge, e più e più s'affretta,
            Senza posa o ristoro,
            Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva
            Colà dove la via
            E dove il tanto affaticar fu volto:
            Abisso orrido, immenso,
            Ov'ei precipitando, il tutto obblia.
            Vergine luna, tale
            È la vita mortale.
            Nasce l'uomo a fatica,
            Ed è rischio di morte il nascimento.
            Prova pena e tormento
            Per prima cosa; e in sul principio stesso
            La madre e il genitore
            Il prende a consolar dell'esser nato.
            Poi che crescendo viene,
            L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre
            Con atti e con parole
            Studiasi fargli core,
            E consolarlo dell'umano stato:
            Altro ufficio più grato
            Non si fa da parenti alla lor prole.
            Ma perché dare al sole,
            Perché reggere in vita
            Chi poi di quella consolar convenga?
            Se la vita è sventura
            Perché da noi si dura?
            Intatta luna, tale
            È lo stato mortale.
            Ma tu mortal non sei,
            E forse del mio dir poco ti cale.
            Pur tu, solinga, eterna peregrina,
            Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
            Questo viver terreno,
            Il patir nostro, il sospirar, che sia;
            Che sia questo morir, questo supremo
            Scolorar del sembiante,
            E perir dalla terra, e venir meno
            Ad ogni usata, amante compagnia.
            E tu certo comprendi
            Il perché delle cose, e vedi il frutto
            Del mattin, della sera,
            Del tacito, infinito andar del tempo.
            Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
            Rida la primavera,
            A chi giovi l'ardore, e che procacci
            Il verno cò suoi ghiacci.
            Mille cose sai tu, mille discopri,
            Che son celate al semplice pastore.
            Spesso quand'io ti miro
            Star così muta in sul deserto piano,
            Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
            Ovver con la mia greggia
            Seguirmi viaggiando a mano a mano;
            E quando miro in cielo arder le stelle;
            Dico fra me pensando:
            A che tante facelle?
            Che fa l'aria infinita, e quel profondo
            Infinito seren? Che vuol dir questa
            Solitudine immensa? Ed io che sono?
            Così meco ragiono: e della stanza
            Smisurata e superba,
            E dell'innumerabile famiglia;
            Poi di tanto adoprar, di tanti moti
            D'ogni celeste, ogni terrena cosa,
            Girando senza posa,
            Per tornar sempre là donde son mosse;
            Uso alcuno, alcun frutto
            Indovinar non so. Ma tu per certo,
            Giovinetta immortal, conosci il tutto.
            Questo io conosco e sento,
            Che degli eterni giri,
            Che dell'esser mio frale,
            Qualche bene o contento
            Avrà fors'altri; a me la vita è male.
            O greggia mia che posi, oh te beata,
            Che la miseria tua, credo, non sai!
            Quanta invidia ti porto!
            Non sol perché d'affanno
            Quasi libera vai;
            Ch'ogni stento, ogni danno,
            Ogni estremo timor subito scordi;
            Ma più perché giammai tedio non provi.
            Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,
            Tu sè queta e contenta;
            E gran parte dell'anno
            Senza noia consumi in quello stato.
            Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,
            E un fastidio m'ingombra
            La mente, ed uno spron quasi mi punge
            Sì che, sedendo, più che mai son lunge
            Da trovar pace o loco.
            E pur nulla non bramo,
            E non ho fino a qui cagion di pianto.
            Quel che tu goda o quanto,
            Non so già dir; ma fortunata sei.
            Ed io godo ancor poco,
            O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
            Se tu parlar sapessi, io chiederei:
            Dimmi: perché giacendo
            A bell'agio, ozioso,
            S'appaga ogni animale;
            Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?
            Forse s'avess'io l'ale
            Da volar su le nubi,
            E noverar le stelle ad una ad una,
            O come il tuono errar di giogo in giogo,
            Più felice sarei, dolce mia greggia,
            Più felice sarei, candida luna.
            O forse erra dal vero,
            Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:
            Forse in qual forma, in quale
            Stato che sia, dentro covile o cuna,
            È funesto a chi nasce il dì natale.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Noi saremo

              Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi
              che certo guarderanno male la nostra gioia,

              talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero?
              Andremo allegri e lenti sulla strada modesta

              che la speranza addita, senza badare affatto
              che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

              Nell'amore isolati come in un bosco nero,
              i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,

              saranno due usignoli che cantan nella sera.
              Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,

              non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene
              accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

              Uniti dal più forte, dal più caro legame,
              e inoltre ricoperti di una dura corazza,
              sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

              Noi ci preoccuperemo di quello che il destino
              per noi ha stabilito, cammineremo insieme
              la mano nella mano, con l'anima infantile
              di quelli che si amano in modo puro, vero?
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