Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Il gioco degli dei

Gli dei lanciano i dadi, ma non domandano se vogliamo partecipare al gioco.
Non vogliono sapere se hai lasciato un uomo, una casa, un lavoro, una carriera, un sogno.
Gli dei non badano al fatto che tu vuoi avere una vita in cui ogni cosa sia al proprio posto,
in cui ogni desiderio si possa esaudire con il lavoro e la pertinacia.
Gli dei non tengono conto dei nostri piani e delle nostre speranze.
In qualche luogo dell'universo, loro lanciano i dadi e, casualmente, vieni scelto tu.
Da quel momento in poi, vincere o perdere è solo questione di opportunità.
Gli dei lanciano i dadi e liberano l'amore dalla sua gabbia.
Questa forza può creare o distruggere, a seconda della direzione in cui soffiava il vento
nel momento in cui si è liberata dalla prigione. L'amore può condurci all'inferno o in paradiso,
comunque ci porta sempre in qualche luogo. É necessario accettarlo, perché esso
è ciò che alimenta la nostra esistenza.
Se non lo accettiamo, moriremo di fame pur vedendo i rami dell'albero della vita carichi di frutti:
non avremo il coraggio di tendere la mano e di coglierli.
É necessario ricercare l'amore la dove si trova, anche se ciò potrebbe significare ore,
giorni, settimane di delusione e di tristezza. Perché nel momento in cui partiamo in cerca dell'amore,
anche l'amore muove per venirci incontro. E ci salva. E nell'amore non esistono regole.
Possiamo tentare di seguire dei manuali, di controllare il cuore, di avere una strategia di comportamento.
Ma sono tutte cose insignificanti. Decide il cuore.
E quando decide è ciò che conta.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    A N. V. N.

    C'è nel contatto umano un limite fatale,
    non lo varca né amore né passione,
    pur se in muto spavento si fondono le labbra
    e il cuore si dilacera d'amore.

    Perfino l'amicizia vi è impotente,
    e anni d'alta, fiammeggiante gioia,
    quando libera è l'anima ed estranea
    allo struggersi lento del piacere.

    Chi cerca di raggiungerlo è folle,
    se lo tocca soffre una sorda pena...
    ora hai compreso perché il mio cuore
    non batte sotto la tua mano.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Canzone

      Pesci nei placidi laghi
      sfoggiano scie di colori,
      cigni nell'aria invernale
      hanno un candore perfetto
      e incede il grande leone
      per il suo bosco innocente;
      leone, pesci e cigno
      in scena e già sono andati
      sull'onda irruente del Tempo.

      Noi, finché i giorni d'ombra son maturi,
      noi dobbiamo piangere e cantare
      del dovere il sopruso consapevole,
      il Diavolo nell'orgoglio,
      la bontà portata attentamente
      per espiazione o per nostra fortuna;
      noi i nostri amori li dobbiamo perdere,
      volgendo uno sguardo invidioso
      a ogni animale e uccello che si muove.

      Sospiri per folliecompiute e dette
      attorcono i nostri angusti giorni,
      ma devo benedire e celebrare
      che tu, mio cigno, avendo
      tutti i doni che Natura
      impulsiva ha dato al cigno,
      la maestà e l'orgoglio,
      vi aggiungessi ieri notte
      il tuo amore volontario.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Né mistero né dolore

        Né mistero né dolore
        né volontà sapiente del destino:
        sempre quell'incontrarci ci lasciava
        l'impressione di una lotta.

        Ed io, indovinato dal mattino
        l'attimo del tuo arrivo,
        percepivo nei palmi socchiusi
        il morso leggero di un tremito.

        Con dita arse sgualcivo
        la variopinta tovaglia del tavolo...
        Capivo fin da allora
        quanto è angusta questa terra.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          A Silvia

          Silvia, rimembri ancora
          quel tempo della tua vita mortale,
          quando beltà splendea
          negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
          e tu, lieta e pensosa, il limitare
          di gioventù salivi?

          Sonavan le quiete
          stanze, e le vie dintorno,
          al tuo perpetuo canto,
          allor che all'opre femminili intenta
          sedevi, assai contenta
          di quel vago avvenir che in mente avevi.
          Era il maggio odoroso: e tu solevi
          così menare il giorno.

          Io gli studi leggiadri
          talor lasciando e le sudate carte,
          ove il tempo mio primo
          e di me si spendea la miglior parte,
          d'in su i veroni del paterno ostello
          porgea gli orecchi al suon della tua voce,
          ed alla man veloce
          che percorrea la faticosa tela.
          Mirava il ciel sereno,
          le vie dorate e gli orti,
          e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
          Lingua mortal non dice
          quel ch'io sentiva in seno.

          Che pensieri soavi,
          che speranze, che cori, o Silvia mia!
          Quale allor ci apparia
          la vita umana e il fato!
          Quando sovviemmi di cotanta speme,
          un affetto mi preme
          acerbo e sconsolato,
          e tornami a doler di mia sventura.
          O natura, o natura,
          perché non rendi poi
          quel che prometti allor? Perché di tanto
          inganni i figli tuoi?

          Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
          da chiuso morbo combattuta e vinta,
          perivi, o tenerella. E non vedevi
          il fior degli anni tuoi;
          non ti molceva il core
          la dolce lode or delle negre chiome,
          or degli sguardi innamorati e schivi;
          né teco le compagne ai dì festivi
          ragionavan d'amore.

          Anche peria tra poco
          la speranza mia dolce: agli anni miei
          anche negaro i fati
          la giovanezza. Ahi come,
          come passata sei,
          cara compagna dell'età mia nova,
          mia lacrimata speme!
          Questo è quel mondo? Questi
          i diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
          onde cotanto ragionammo insieme?
          Questa la sorte dell'umane genti?
          All'apparir del vero
          tu, misera, cadesti: e con la mano
          la fredda morte ed una tomba ignuda
          mostravi di lontano.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Passero solitario

            D'in su la vetta della torre antica,
            Passero solitario, alla campagna
            Cantando vai finché non more il giorno;
            Ed erra l'armonia per questa valle.
            Primavera dintorno
            Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
            Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
            Odi greggi belar, muggire armenti;
            Gli altri augelli contenti, a gara insieme
            Per lo libero ciel fan mille giri,
            Pur festeggiando il lor tempo migliore:
            Tu pensoso in disparte il tutto miri;
            Non compagni, non voli,
            Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
            Canti, e così trapassi
            Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.
            Oimè, quanto somiglia
            Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
            Della novella età dolce famiglia,
            E te german di giovinezza, amore,
            Sospiro acerbo dè provetti giorni,
            Non curo, io non so come; anzi da loro
            Quasi fuggo lontano;
            Quasi romito, e strano
            Al mio loco natio,
            Passo del viver mio la primavera.
            Questo giorno ch'omai cede alla sera,
            Festeggiar si costuma al nostro borgo.
            Odi per lo sereno un suon di squilla,
            Odi spesso un tonar di ferree canne,
            Che rimbomba lontan di villa in villa.
            Tutta vestita a festa
            La gioventù del loco
            Lascia le case, e per le vie si spande;
            E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.
            Io solitario in questa
            Rimota parte alla campagna uscendo,
            Ogni diletto e gioco
            Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
            Steso nell'aria aprica
            Mi fere il Sol che tra lontani monti,
            Dopo il giorno sereno,
            Cadendo si dilegua, e par che dica
            Che la beata gioventù vien meno.
            Tu, solingo augellin, venuto a sera
            Del viver che daranno a te le stelle,
            Certo del tuo costume
            Non ti dorrai; che di natura è frutto
            Ogni vostra vaghezza.
            A me, se di vecchiezza
            La detestata soglia
            Evitar non impetro,
            Quando muti questi occhi all'altrui core,
            E lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
            Del dì presente più noioso e tetro,
            Che parrà di tal voglia?
            Che di quest'anni miei? Che di me stesso?
            Ahi pentirommi, e spesso,
            Ma sconsolato, volgerommi indietro.
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Shall I compare thee to a summer's day? (Sonnet 18)

              Shall I compare thee to a summer's day?
              Thou art more lovely and more temperate:
              Rough winds do shake the darling buds of May,
              And summer's lease hath all too short a date:
              Sometime too hot the eye of heaven shines,
              And often is his gold complexion dimm'd;
              And every fair from fair sometime declines,
              By chance, or nature's changing course untrimm'd;
              But thy eternal summer shall not fade,
              Nor lose possession of that fair thou ow'st;
              Nor shall Death brag thou wander'st in his shade,
              When in eternal lines to time thou grow'st:
              So long as men can breathe, or eyes can see,
              So long lives this, and this gives life to thee.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                In quanti modi ti amo?

                In quanti modi ti amo? Fammeli contare.
                Ti amo fino alla profondità, alla larghezza e all'altezza
                Che la mia anima può raggiungere, quando partecipa invisibile
                Agli scopi dell'Esistenza e della Grazia ideale.
                Ti amo al pari della più modesta necessità
                Di ogni giorno, al sole e al lume di candela.
                Ti amo generosamente, come chi si batte per la Giustizia;
                Ti amo con purezza, come chi si volge dalla Preghiera.
                Ti amo con la passione che gettavo
                Nei miei trascorsi dolori, e con la fiducia della mia infanzia.
                Ti amo di un amore che credevo perduto
                Insieme ai miei perduti santi, - ti amo col respiro,
                I sorrisi, le lacrime, di tutta la mia vita! - e, se Dio vorrà,
                Ti amerò ancora di più dopo la morte.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  Démons et merveilles
                  Vents et marées
                  Au loin déjà la mer s'est retirée
                  Et toi
                  Comme une algue doucement caressée par le vent
                  Dans les sables du lit tu remues en rêvant
                  Démons et merveilles
                  Vents et marées
                  Au loin déjà la mer s'est retirée
                  Mais dans tes yeux entr'ouverts
                  Deux petites vagues sont restées
                  Démons et merveilles
                  Vents et marées
                  Deux petites vagues pour me noyer.
                  Demoni e meraviglie
                  Venti e maree
                  Lontano di gia' si e' ritirato il mare
                  E tu
                  Come alga dolcemente accarezzata dal vento
                  Nella sabbia del tuo letto ti agiti sognando
                  Demoni e meraviglie
                  Venti e maree
                  Lontano di gia' si e' ritirato il mare
                  Ma nei tuoi occhi socchiusi
                  Due piccole onde son rimaste
                  Demoni e meraviglie
                  Venti e maree
                  Due piccole onde per annegarmi.
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