Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Solo

Fanciullo, io già non ero
come gli altri erano, né vedevo
come gli altri vedevano. Mai
derivai da una comune fonte
le mie passioni - né mai,
da quella stessa, i miei aspri affanni.
Né il tripudio al mio cuore
io ridestavo in accordo con altri.
Tutto quello che amai, io l'amai da solo.
Allora - in quell'età - nell'alba
d'una procellosa vita - fu derivato
da ogni più oscuro abisso di bene e male
il mistero che ancora m'avvince -
dai torrenti e dalle sorgenti -
dalla rossa roccia dei monti -
dal sole che d'intorno mi ruotava
nelle sue dorate tinte autunnali -
dal celeste baleno
che daccano mi guizzava -
dal tuono e dalla tempesta -
e dalla nuvola che forma assumeva
(mentre era azzurro tutto l'altro cielo)
d'un demone alla mia vista -.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Una Valentina

    È scritta questa rima per colei i cui occhi
    lucenti ed espressivi come i gemelli di Leda,
    troveranno il suo stesso dolce nome annidato
    sulla pagina, celato ad ogni lettore.
    Osservate i versi attentamente! Vi è in essi
    un tesoro divino - un talismano - un amuleto -
    che si deve portare sul cuore. Osservate poi
    il metro - le parole - le sillabe!
    Nulla si tralasci, o sarà vana la fatica!
    E non v'è, nondimeno, nessun nodo gordiano
    che senza una spada non potreste disciogliere,
    se solo n'afferraste il soggetto.
    Tracciate sul foglio, scrutate da occhi
    in cui l'anima balena, s'ascondono, perdute,
    tre parole eloquenti, spesso dette e spesso udite
    da un poeta a un poeta - e d'un poeta è anche il nome.
    Le sue lettere, benché ingannino, ovviamente,
    come il Cavalier Pinto - Mendez Ferdinando -
    sono, invece, sinonimo del Vero. - Ora basta!
    Pur facendo del vostro meglio, non sciogliereste l'indovinello.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Angina pectoris

      Se qui c'è la metà del mio cuore, dottore,
      l'altra metà sta in Cina
      nella lunga marcia verso il Fiume Giallo.
      E poi ogni mattina, dottore,
      ogni mattina all'alba
      il mio cuore lo fucilano in Grecia.
      E poi, quando i prigionieri cadono nel sonno
      quando gli ultimi passi si allontanano
      dall'infermeria
      il mio cuore se ne va, dottore,
      se ne va in una vecchia casa di legno, a Istanbul.
      E poi sono dieci anni, dottore,
      che non ho niente in mano da offrire al mio popolo
      niente altro che una mela
      una mela rossa, il mio cuore.
      È per tutto questo, dottore,
      e non per l'arteriosclérosi, per la nicotina, per la prigione,
      che ho quest'angina pectoris.
      Guardo la notte attraverso le sbarre
      e malgrado tutti questi muri
      che mi pesano sul petto
      il mio cuore batte con la stella più lontana.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Anche questa mattina mi sono svegliato

        Anche questa mattina mi sono svegliato
        e il muro la coperta i vetri la plastica il legno
        si sono buttati addosso a me alla rinfusa
        e la luce d'argento annerito della lampada

        mi si è buttato addosso anche un biglietto di tram
        e il giallo della parete e tre righe di scritto
        e la camera d'albergo e questo paese nemico
        e la metà del sogno caduta da questo lato s'è spenta

        mi si è buttata addosso la fronte bianca del tempo
        e i ricordi più vecchi e la tua assenza nel letto
        e la nostra separazione e quello che siamo

        mi sono svegliato anche questa mattina
        e ti amo.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Lettere dal carcere a Munevver

          Che sta facendo adesso
          adesso, in questo momento?
          È a casa? Per la strada?
          Al lavoro? In piedi? Sdraiata?
          Forse sta alzando il braccio?
          Amor mio
          come appare in quel movimento
          il polso bianco e rotondo!
          Che sta facendo adesso
          adesso, in questo momento?
          Un gattino sulle ginocchia
          Lei lo accarezza.
          O forse sta camminando
          ecco il piede che avanza.
          Oh i tuoi piedi che mi son cari
          che mi camminano sull'anima
          che illuminano i miei giorni bui!
          A che pensa?
          A me? O forse... chi sa
          ai fagioli che non si cuociono.
          O forse si domanda
          perché tanti sono infelici
          sulla terra.
          Che sta facendo adesso
          adesso, in questo momento?
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            Viviamo in tempi infami

            Viviamo in tempi infami
            dove il matrimonio delle anime
            deve suggellare l'unione dei cuori;
            in quest'ora di orribili tempeste
            non è troppo aver coraggio in due
            per vivere sotto tali vincitori.

            Di fronte a quanto si osa
            dovremo innalzarci,
            sopra ogni cosa, coppia rapita
            nell'estasi austera del giusto,
            e proclamare con un gesto augusto
            il nostro amore fiero, come una sfida.

            Ma che bisogno c'è di dirtelo.
            Tu la bontà, tu il sorriso,
            non sei tu anche il consiglio,
            il buon consiglio leale e fiero,
            bambina ridente dal pensiero grave
            a cui tutto il mio cuore dice: Grazie!
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              Lettera alla madre

              "Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,
              il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
              gli alberi si gonfiano d'acqua, bruciano di neve;
              non sono triste nel Nord: non sono
              in pace con me, ma non aspetto
              perdono da nessuno, molti mi devono lacrime
              da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi
              come tutte le madri dei poeti, povera
              e giusta nella misura d'amore
              per i figli lontani. Oggi sono io
              che ti scrivo. " - Finalmente, dirai, due parole
              di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto
              e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore
              lo uccideranno un giorno in qualche luogo. -
              "Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo
              di treni lenti che portavano mandorle e arance,
              alla foce dell'Imera, il fiume pieno di gazze,
              di sale, d'eucalyptus. Ma ora ti ringrazio,
              questo voglio, dell'ironia che hai messo
              sul mio labbro, mite come la tua.
              Quel sorriso m'ha salvato da pianti e da dolori.
              E non importa se ora ho qualche lacrima per te,
              per tutti quelli che come te aspettano,
              e non sanno che cosa. Ah, gentile morte,
              non toccare l'orologio in cucina che batte sopra il muro
              tutta la mia infanzia è passata sullo smalto
              del suo quadrante, su quei fiori dipinti:
              non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
              Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà,
              morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dolcissima mater."
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Viaggio a Montevideo

                Io vidi dal ponte della nave
                I colli di Spagna
                Svanire, nel verde
                Dentro il crepuscolo d'oro la bruna terra celando
                Come una melodia:
                D'ignota scena fanciulla sola
                Come una melodia
                Blu, su la riva dei colli ancora tremare una viola...
                Illanguidiva la sera celeste sul mare:
                Pure i dorati silenzii ad ora ad ora dell'ale
                Varcaron lentamente in un azzurreggiare:...
                Lontani tinti dei varii colori
                Dai più lontani silenzii
                Ne la ceste sera varcaron gli uccelli d'oro: la nave
                Già cieca varcando battendo la tenebra
                Coi nostri naufraghi cuori
                Battendo la tenebra l'ale celeste sul mare.
                Ma un giorno
                Salirono sopra la nave le gravi matrone di Spagna
                Da gli occhi torbidi e angelici
                Dai seni gravidi di vertigine. Quando
                In una baia profonda di un'isola equatoriale
                In una baia tranquilla e profonda assai più del cielo notturno
                Noi vedemmo sorgere nella luce incantata
                Una bianca città addormentata
                Ai piedi dei picchi altissimi dei vulcani spenti
                Nel soffio torbido dell'equatore: finché
                Dopo molte grida e molte ombre di un paese ignoto,
                Dopo molto cigolìo di catene e molto acceso fervore
                Noi lasciammo la città equatoriale
                Verso l'inquieto mare notturno.
                Andavamo andavamo, per giorni e per giorni: le navi
                gravi di vele molli di caldi soffi incontro passavano lente:
                Sì presso di sul cassero a noi ne appariva bronzina
                Una fanciulla della razza nuova,
                Occhi lucenti e le vesti al vento! Ed ecco: selvaggia a la fine di un giorno che apparve
                La riva selvaggia là giù sopra la sconfinata marina:
                E vidi come cavalle
                Vertiginose che si scioglievano le dune
                Verso la prateria senza fine
                Deserta senza le case umane
                E noi volgemmo fuggendo le dune che apparve
                Su un mare giallo de la portentosa dovizia del fiume,
                Del continente nuovo la capitale marina.
                Limpido fresco ed elettrico era il lume
                Della sera e là le alte case parevan deserte
                Laggiù sul mar del pirata
                De la città abbandonata
                Tra il mare giallo e le dune...
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