Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Felicità raggiunta

Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t'ama.

Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto di un bambino
a cui fugge il pallone tra le case.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    L'invetriata

    La sera fumosa d'estate
    Dall'alta invetriata mesce chiarori nell'ombra
    E mi lascia nel cuore un suggello ardente.
    Ma chi ha (sul terrazzo sul fiume si accende una lampada) chi ha
    A la Madonnina del Ponte chi è chi è che ha acceso la lampada? C'è
    Nella stanza un odor di putredine: c'è
    Nella stanza una piaga rossa languente.
    Le stelle sono bottoni di madreperla e la sera si veste di velluto:
    E tremola la sera fatua: è fatua la sera e tremola ma c'è,
    Nel cuore della sera c'è,
    Sempre una piaga rossa languente.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Tu verrai comunque

      Tu verrai comunque
      perché dunque non ora?
      Ti attendo
      sono sfinita
      Ho spento il lume e aperto l'uscio
      a te, così semplice e prodigiosa.
      Prendi per questo l'aspetto che più ti aggrada
      irrompi come una palla avvelenata
      o insinuati furtiva come un freddo bandito
      o intossicami col delirio del tifo
      o con una storiella da te inventata
      e nota a tutti fino alla nausea
      che io veda la punta di un berretto turchino
      e il capopalazzo pallido di paura.
      Ora per me tutto è uguale
      turbina lo Enisej
      risplende la stella polare
      e annebbia un ultimo terrore
      l'azzurro bagliore di occhi addolorati.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Lavandare

        Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
        resta un aratro senza buoi, che pare
        dimenticato, tra il vapor leggero.
        E cadenzato dalla gora viene
        lo sciabordare delle lavandare
        con tonfi spessi e lunghe cantilene:
        Il vento soffia e nevica la frasca,
        e tu non torni ancora al tuo paese!
        Quando partisti, come son rimasta!
        Come l'aratro in mezzo alla maggese.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Sera Festiva

          O mamma, o mammina, hai stirato
          la nuova camicia di lino?
          Non c'era laggiù tra il bucato,
          sul bossolo o sul biancospino.
          Su gli occhi tu tieni le mani...
          Perché? Non lo sai che domani...?
          din don dan, din don dan.
          Si parlano i bianchi villaggi
          cantando in un lume di rosa:
          dell'ombra dè monti selvaggi
          si sente una romba festosa.
          Tu tieni a gli orecchi le mani...
          tu piangi; ed è festa domani...
          din don dan, din don dan.
          Tu pensi... Oh! Ricordo: la pieve...
          quanti anni ora sono? Una sera...
          il bimbo era freddo, di neve;
          il bimbo era bianco, di cera:
          allora sonò la campana
          (perché non pareva lontana? )
          din don dan, din don dan.
          Sonavano a festa, come ora,
          per l'angiolo; il nuovo angioletto
          nel cielo volava a quell'ora;
          ma tu lo volevi al tuo petto,
          con noi, nella piccola zana:
          gridavi; e lassù la campana...
          din don dan, din don dan.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            L'anguilla

            L'anguilla, la sirena
            dei mari freddi che lascia il Baltico
            per giungere ai nostri mari,
            ai nostri estuari, ai fiumi
            che risale in profondo, sotto la piena avversa,
            di ramo in ramo e poi
            di capello in capello, assottigliati,
            sempre piú addentro, sempre piú nel cuore
            del macigno, filtrando
            tra gorielli di melma finché un giorno
            una luce scoccata dai castagni
            ne accende il guizzo in pozze d'acquamorta,
            nei fossi che declinano
            dai balzi d'Appennino alla Romagna;
            l'anguilla, torcia, frusta,
            freccia d'Amore in terra
            che solo i nostri botri o i disseccati
            ruscelli pirenaici riconducono
            a paradisi di fecondazione;
            l'anima verde che cerca
            vita là dove solo
            morde l'arsura e la desolazione,
            la scintilla che dice
            tutto comincia quando tutto pare
            incarbonirsi, bronco seppellito:
            l'iride breve, gemella
            di quella che incastonano i tuoi cigli
            e fai brillare intatta in mezzo ai figli
            dell'uomo, immersi nel tuo fango, puoi tu
            non crederla sorella?
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              Scritta da: Silvana Stremiz

              La Credenza

              È un ampio armadio scolpito; l'antica scura
              quercia ha preso una buon'aria di vecchia gente;
              l'armadio è aperto, e scioglie dentro l'ombratura
              come onda di vin vecchio, un profumo attraente.

              È un miscuglio di vecchie anticaglie, stipato
              di panni odorosi e gialli, di straccetti
              di donne e fanciulli, di appassiti merletti,
              di scialli di nonna col grifo pitturato;

              - Qui trovi ciocche di capelli bianche e bionde,
              i ritratti, i medaglioni, la frutta e i fiori
              secchi il cui profumo insieme si confonde.

              - Ne sai di storie, o mia credenza d'ore morte!
              Vorresti dirci i tuoi racconti, e fai rumori
              se lente s'aprono le grandi nere porte.
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