Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Il sabato del villaggio

La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell'erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
Su la scala a filar la vecchierella,
Incontro là dove si perde il giorno;
E novellando vien del suo buon tempo,
Quando ai dì della festa ella si ornava,
Ed ancor sana e snella
Solea danzar la sera intra di quei
Ch'ebbe compagni dell'età più bella.
Già tutta l'aria imbruna,
Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
Giù dà colli e dà tetti,
Al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
Della festa che viene;
Ed a quel suon diresti
Che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
Su la piazzuola in frotta,
E qua e là saltando,
Fanno un lieto romore:
E intanto riede alla sua parca mensa,
Fischiando, il zappatore,
E seco pensa al dì del suo riposo.
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
E tutto l'altro tace,
Odi il martel picchiare, odi la sega
Del legnaiuol, che veglia
Nella chiusa bottega alla lucerna,
E s'affretta, e s'adopra
Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.
Questo di sette è il più gradito giorno,
Pien di speme e di gioia:
Diman tristezza e noia
Recheran l'ore, ed al travaglio usato
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Garzoncello scherzoso,
Cotesta età fiorita
È come un giorno d'allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vò; ma la tua festa
Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Canto primo

    Quando l'Eterno passeggiò col guardo
    Tutto il creato, diffondendo intorno
    Riso di pace, e fiammeggiar si vide
    Nè cieli il Sole, e rotear le stelle
    Dietro la dolce-radïante Luna
    Tra il fresco vel di solitaria notte,
    E germogliò natura, e al grigio capo
    Degli altissimi monti alberi eccelsi
    Fèro corona, e orrisonando udissi
    L'ampio padre Oceàn fremer da lungi;
    Sin da quel giorno d'aquilon su i vanni
    Scese Giustizia, e i fulmini guizzando
    Al fianco le strideano, i dispersi
    Crini eran cinti d'abbaglianti lampi.
    In alto assisa vide ergersi il fumo
    D'innocuo sangue, che fraterna mano
    Invida sparse, e dagli vacui abissi
    A tracannarlo, e tingersi le guance
    Morte ansante lanciossi: immerse allora
    La Dea nel sangue il brando, e a far vendetta
    Piombò su l'orbe, che tacque e crollò.
    Ma fra le colpe di natura infame
    Brutta d'orrore la tremenda Dea
    Si fè nel viso, e 'l lagrimato manto
    E le aggruppate chiome ad ogni scossa
    Grondavan sangue, e fra gemiti ed ululi
    S'udia l'inferno e la potenza eterna
    Bestemmiando invocati. - A un tratto sparve
    Contaminata la Giustizia fera,
    E al sozzo pondo dell'umane colpe
    Le suo immense bilance cigolaro;
    Balzò l'una alle sfere, e l'altra cadde
    Inabissata nel tartareo centro.

    L'Onnipossente dal più eccelso giro
    Della sua gloria, d'onde tutto move,
    Udì le strida del percosso mondo,
    E al ciel lanciarsi la ministra eterna
    Vide: accennò la fronte, e le soavi
    Arpe angeliche tacquero; e la faccia
    Prostraro i cherubini, e '1 firmamento
    Squassato s'incurvò. - Verrà quel giorno,
    Verrà quel giorno, disse Dio, che all'aere
    Ondeggeranno quasi lievi paglie
    L'audaci moli; le turrite cime,
    D'un astro allo strisciar, cenere e fumo
    Saranno a un tratto; tentennar vedrassi
    Orrisonante la sferrata terra,
    Che stritolata piomberà nel lembo
    D'antiqua notte, fra le cui tenèbre
    E Luna e Sol staran confusi e muti;
    Negro e sanguigno bollirà furente
    Lo spumante Oceàn, rigurgitando
    Dall'imo ventre polve e fracid'ossa,
    Che al rintronar di rantolosa tuba
    Rivestiran lor salma, e quai giganti
    Vedransi passeggiar su le ruine
    Dè globi inabissati! E morte e nulla
    Tutto sarà: precederammi il foco,
    Fia mio soglio Giustizia, e fianmi ancelle,
    Armate il braccio ed infiammato il volto,
    Ira e Paura! Ma Pietà sul mondo
    Scenda sino a quel giorno, e di tremenda
    Giustizia fermi l'instancabil brando.
    Disse; e Pietà, dei Serafin tra mille
    Voci di gaudio, dell'Eterno al trono
    Le ginocchia piegò; stese la palma
    Il Re dei re su la chinata testa,
    E l'unse del suo amor. Udissi allora
    Spontaneamente volteggiar pè cieli
    Inno sacro a Pietà: m'udite attenti
    E terra e mar, e canterò; m'udite,
    Chè questo è un inno che dal ciel discende.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Ti guardo e il sole cresce

      Ti guardo e il sole cresce
      Presto ricoprirà la nostra giornata
      Svegliati cuore e colori in mente
      Per dissipare le pene della notte

      Ti guardo tutto è spoglio
      Fuori le barche hanno poca acqua
      Bisogna dire tutto con poche parole
      Il mare è freddo senza amore

      È l'inizio del mondo
      Le onde culleranno il cielo
      E tu vieni cullata dalle tue lenzuola
      Tiri il sonno verso di te
      Svegliati che io segua le tue tracce
      Ho un corpo per attenderti per seguirti
      Dalle porte dell'alba alle porte dell'ombra
      Un corpo per passare la mia vita ad amarti

      Un corpo per sognare al di fuori del tuo son.
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        Scritta da: Silvana Stremiz

        Donna genovese

        Tu mi portasti un po' d'alga marina
        Nei tuoi capelli, ed un odor di vento,
        Che è corso di lontano e giunge grave
        D'ardore, era nel tuo corpo bronzino:
        -Oh la divina
        Semplicità delle tue forme snelle-
        Non amore non spasimo, un fantasma,
        Un'ombra della necessità che vaga
        Serena e ineluttabile per l'anima
        E la discioglie in gioia, in incanto serena
        Perché per l'infinito lo scirocco
        Se la possa portare.
        Come è piccolo il mondo e leggero nelle tue mani!
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Contusione

          Colore inonda la macchia, porpora cupo.
          Tutto slavato è il resto del corpo,
          ha colore di perla.

          In un anfratto di rupe
          risucchia il mare ossesivamente,
          un solo vuoto è perno di tutto il mare.

          Non più grande che una mosca
          il marchio funesto
          striscia giù per il muro.

          Il cuore si chiude,
          il mare cala,
          gli occhi sono schermati.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            Nel cerchio di un pensiero
            a volte mi riposo sognando
            e lí sta il tuo peccato
            perché mi entri nel corpo
            e il corpo si appassiona
            gridando di un'estasi che non è sua
            altri giovani amanti diciamo
            che sono presenti
            nei tuoi baci nelle mie disattenzioni
            infatti su di me hanno camminato
            le ombre dei morti
            di coloro che sono inceneriti
            in un letto
            e non hanno mai avuto niente.
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