La tempesta sta arrivando, violenta, devastando tutto, nella sua folle corsa. Sconvolge il cielo e, infida, infuria sul mare, destandolo dal suo riposo, gettando acqua su acqua, in questa notte appena nata e tranquilla. Il vento sibila, soffiando all'impazzata su di esso che, irato, si rivolta, sobillando e gonfiando le sue onde placide, coronandole di cresta, bianca e schiumosa, che va ad infrangersi sugli scogli, immobili e impettiti, come sentinelle sparse. Miriadi di particelle di salsedine si effondono nell'aria. L'odore del mare si fa più intenso. Spuma candida si riversa sulla battigia, ancora calda e la riempie, come grembo di donna, per poi ritirarsi, in un andirivieni armonicamente ritmato. Il mio spirito tormentato osserva, invidiando la fine sabbia che si lascia trascinare nel fondale buio. Oscuro come il mio pensiero. Lampi istantanei irradiano di luce, squarciando ogni tenebra, ogni ombra, fuorché tenebre e ombre che albergano dentro di me. Luce fredda, luce vana. Altra è la luce che agogno, che mi salverebbe. Boati fragorosi, come fuochi d'artificio, esplodono nella testa, rimbombando. La tempesta si allontana, improvvisa, così come è arrivata e il mare si calma, riprendendo il sonno interrotto. Il silenzio regna nella notte, tutt'intorno. Ma, nel mio cuore, c'è ancora tempesta.
Alberi sacri, sembran meditare, l'ombre li sovrastano. Immobili custodi della morte, respirano, dove il respiro s'è fermato, dove i sogni han preso il volo, per disgregarsi in cielo. S'è arrestato il tempo, tra sepolcri infioriti ed altri oramai dimenticati. In essi, rivive unicamente il ricordo di chi è stato. Non più s'ode voce, dai corpi distesi, palpebre han serrato gli occhi, la carne, putrefatta, divengon polvere l'ossa. Miseranda fine della spoglia, che s'avrebbe voluta infinita. Miserevolmente sconfitta, la materia, allo spirito, s'inchina. Incongruenza d'un viver mendace e fittizio, nel concepir la vita come vero. Triste il pensiero di chi l'ha fatto verbo, senza alcunché di dubbio, considerandolo sinonimo di fine eterna, nella certezza che non resti nulla e tutto, alfin, ridotto solo a cenere. Né anime immortali, né vite alternative e sempiterne. Bieca visione sconfortante, nel precluderci la speme, nel proclamar insignificante il senso d'esser vivi, confidando nel significato, a noi, velato. Nel mesto cimitero solitario, il vento smuove le fronde e s'aggira fra le tombe, sibilando piano, acciocché non spegner lumi accesi, con gran rispetto, dacché non ledere il silenzio cingente, in un abbraccio, quell'angolo di pace, in cui tutto tace, bensì alcun non possa udire.
Se l'amore di una madre appar incondizionato, allor io t'amo, dai 40 anni che ci separan dal momento in cui ti misi al mondo. Se l'esistere d'un figlio è la cosa più importante, allor io t'amo, dai miei anni in fiore, avevo il frutto dell'amore, mia carne e mio sangue. Un piccolo fagotto... nulla e nessuno sarebbe riuscito, da me, a separarti. Nulla avrei, di più, immensamente amato. Bello, come radiosa aurora, folti capelli scuri, occhioni neri, grandi come fari e carnose e rosse labbra. Come un ossesso, urlavi per la fame ma, immediato, t'addormentavi, nel sugger dal mio seno. Il tuo vagito, deciso, squillava alto un canto per l'udito mio, all'inizio! Il primo bagno, ancora lo rimembro. E poi crescesti in fretta, la scuola, il primo amore, le tante marachelle. Conflittuale adolescenza, sfuggivi dalle mani. Eppur abbiam vissuto, tra gioie e tra dolori. Il viver quotidiano s'è palesato, talvolta, girone dell'inferno, seppur'altre, giulivo, com'angolo di paradiso. Ma, fra sprazzi di luci e d'ombre, abbiamo proceduto, lottato, sperato nel domani, infranto ostacoli ch'intendevano annientarci, consci della certezza d'una forza innata, donata a noi, che mai è andata persa. Mai s'è spezzato quel cordone ombelicale, sottile filo sapiente a superar distanze, senz'ombra d'incrinatura, che unisce madre e figlio, per la vita, come fosse ognor nel materno grembo. Forgiato da valori, nel divenir adulto, sei luce per chiunque ti stia accanto, chi ami t'imperson'amore eterno ed assoluto, sei ciò che avrei desiderato, se non t'avessi avuto. L'amore mio, per te, è pressoché infinito.
Ad esalar s'appresta l'ultimo respiro, lume raggelato, da muto schiaffo d'un truce soffio d'aria, entrato di soppiatto, ch'ha osato spegnerlo, per poi, fugace alito, dissolversi nel nulla. Or ora non rischiara, dissipando l'ombre, ripresentatesi, di molto spaventose e ignote. Ad avvistar fantasmi, scruta, lo sguardo mio sagace. Lacrime di cera, ch'eran sgorgate, roventi, raffreddatesi scendendo, sono indurite, nel mentre s'adagiavano, nel sagomar il fondo del candelabro, m'ha assalito la penombra, all'improvviso. Mesta, la scrittura solitaria, ho abbandonato, giacché s'è fatto tardi. Mai mi son detto poeta, né scrittore, né tantomeno autore di prosa o di poemi, né di poesia o di sonetti brevi. M'arrangio a tesser storie d'altri tempi, dacché allettanti assai ché, dei moderni, non reggono al confronto, più fantasiose e affascinanti, intrise di maestà, di cavalieri e belle dame, nonché giullari estrosi, d'ilarità maestri, di serenate alle donzelle, brillanti menestrelli. Gl'occhi fatican nel restare aperti, scendon le palpebre, nel volerli cinger nell'abbraccio. Vacillanti dita s'apron, instabile, la penna cade, su lo scrittoio perendo alfin, disgiunta dalla mano, in tal mio libro, dov'appassiti crisantemi la copron, nel distendere lo stelo, quasi ad onorar transitoria, seppur morte fittizia e dolce.
Assalita d'emozione, cercherò, fra tanti, gli occhi tuoi, profonde pozze d'acqua cristallina, tinte, del cielo azzurro, il colore, dentro cui sprofonderò, mentre mi parleranno al cuore e, tra la folla, mi guideranno, verso di te, amore, intanto che, nel caotico rumore, divenuto, per noi, silenzio, all'improvviso, percepirò il dolce suono, della suadente voce. Mi abbraccerai e ti abbraccerò, mi bacerai e ti bacerò. Aggrappata alla tua mano, com'edera avvolgente, ovunque vorrai, testè mi condurrai, finanche in capo al mondo, o nello spazio dell'etereo cosmo, seppur ti seguirei, semplicemente, sull'ignuda terra, col soffitto di stelle. Mi amerai e ti amerò, in me, ti perderai e in te, mi perderò. Un solo corpo ed anima, sublimati nell'incontro d'amore, io e te, perdutamente, diverremo in quel magico istante, bensì, se il ciel vorrà, fors'anche eternamente.
Portami a ballare, stringimi a te, amore. Sarai per me amico, amante e dolce sposo, se non davanti a Dio, di certo, nel mio cuore. Accettami così, senza volermi cambiare, com'io farò con te, per meglio, l'io tuo, rispettare. Portami a ballare e balla insieme a me, stringendo la mia mano, tra un bacio e l'altro, sussurrandomi "Ti amo". Scordiamo le paure, che salgono da dentro, lasciamo entrare luce, ad arrecarci pace. Portami a ballare e stringimi a te, amore. Nella gremita sala, soltanto noi, ci troveremo, poiché ci escluderemo, da ciò che ruota intorno, in questo pazzo mondo. Armiamo il nostro spirito di stima e di fiducia, consapevoli che nulla disgregherà l'amore che sta nascendo, vivo, esondando dal cuore. Portami a ballare e balla insieme a me. Tra suoni e languide note, sai già che fuggiremo. La nostra fantasia ci porterà lontano, in volo nello spazio, mano nella mano, tra stelle luccicanti, da cui, sia tu che io, ognor, ci sentiamo attratti dove, chissà quando, nel tempo sconfinato, ci siamo forse amati.
Dall'oriente, all'agognar mio, sovviene l'astro fiammeggiante, scaturente riverbero nascente, dalla vetta consenziente. Malia d'una rinascita perpetua, nell'eterno perpetrarsi d'un enigma. Riflessi d'accecante albore rivestono l'aurora, presagio ammaliator d'un nuovo dì, foriera premessa d'anelati messaggi, nello sperabile prodigio del risveglio mattutino. Connubio con il sole, ch'addentra il suo calor desiato, nel colpir del raggio ammantato d'oro, qual fosse incastro di monile. Va a cercar l'anima, maestra d'occultarsi, quando la mente percepisce d'esser spenta, nell'ombra d'un'afflizione indegna d'esser viva. Rigor di morte, ch'assale quando l'amor manca, a solitudine, plausibile risposta. Sottile filo conduttore, fluente d'energia, che incombe, come un dio, nel penetrarmi, del corpo e dell'inerte spirito, al fine d'appropriarsi, cosicché cacciar gelo dentro e fuori. Perenne ambir solar calore, ad irrorarmi il corpo, ed a irraggiarmi l'anima depressa e vilipesa. Similmente ad esso, vorrei calor di te, lo vorrei seduta stante, per evitare d'asserir ancora che mi manchi, al mio intelletto e al cuore, ch'anelano quel sole.
Ghirlande d'effusioni, preludio dell'amore, accendono i sensi e i cuori, assetando la voglia d'amare. I baci nell'intrecciar di lingue, carezze ardite, sanno alimentar fuoco in noi, avvinghiati, ch'assale la pelle ognor fremente, a divampar dal basso ventre, fin su, alle menti disconnesse dal mondo. S'incentiva la passione, nel volere e nell'offrire, intriganti gesta a scoprire il corpo ignudo, a far dono di sé, completamente, nell'implementar l'impeto d'un trasporto irruente, nella pienezza d'un ardore esasperato dall'attesa, nel pretender tutto e ancora, fino in fondo. Ripercorrere più volte i corpi, nel bramar gemiti e sospiri, Anelar dita sapienti. Seducente, la simbiosi d'intelletto, persa in giochi eccitanti e dissetanti, in cui scordar reale cognizione e dar adito all'istinto ch'appar represso, favorendo il desio prorompente di sesso. Soggiogati dall'estasi conturbante, di cui ribolle il sangue nelle vene, sfociante nel defluir d'amplesso in un fiume di lava bollente, saziamo l'estremo gioire del piacere, all'unisono nel completar l'amore.
Ruoto, levitando nello spazio semioscuro, risucchiata nell'eterea spirale, addentrandomi nel morbido velluto nero, trapuntato d'iridescenti e tremolanti stelle, come preziose e rare gemme, ch'appaiono a ravvivare il firmamento e ad attorniar la misteriosa luna, protagonista sublime della scena, nel teatrale spettacolo del cielo. Volo, elevandomi più in alto, dove lo spirito trova l'assoluta pace, nell'ovattato silenzio della notte, intanto che il corpo mio, di vil materia composto, resta inerme, nel sonno più profondo. Notte che, l'anima mia, hai, a te, attirata, onde coprirla, col tuo mantello scuro, così intrigante e sempre affascinante, seppur, talvolta, possa suscitar paura. A te, mi dono, fautrice dell'amore, unendo, al tuo, il caldo mio respiro. Silente amica, rivelami il segreto, sì magico e magnifico, dell'incantevole tua soave essenza di cui sei, mirabilmente, rivestita.
Riflesso bianco freddo, generato dal riverbero di luna, luce appariscente che risplender fa le acque d'affluente. Atte a carpir l'immane globo, le fronde si fan ombre, da lontano, vaghe s'intrecciano l'un l'altra, a far barriera al vento mercenario, sibilante, nell'inverecondo scorrazzare, dacché rompere il silenzio, ch'ancor non s'ea spezzato. Malinconico splendor di plenilunio, vano ad asciugar il pianto, seppur sommesso, non apportando alcun ristoro al cuore disperato e infranto, neppur nel ravvivar il tetro nero circostante. Silenzio, tutt'intorno al mio presente, le lacrime son perle, a tal chiarore. Sul rogo d'inclemenza, la mia vita hai reso cenere, nel gelo d'un'attesa ho trasferito il mesto sopravvivere. Pallor sul viso, quasi canini di vampiro m'abbian dissanguata, reietto ammaliatore, scaturito dall'ombra ch'è nascosta, madre oculata, avvolto nel suo abbraccio, in una spira, pronto a morder la sua preda designata. Martire stremata, vorrei gridar tutta la rabbia, seppur la forza m'abbia abbandonata. Annichilito sguardo, perduto nell'intensa e strana notte malinconica. Desio d'esser fantasma, priva di strazio che tormenti, nel ricondur ricordi ormai sepolti tra reperti antichi, dove rimorsi vanno a infrangersi, al pari dei rimpianti per scelte non decise. Ma non è ancora il tempo del passaggio, la vita ancor reclama per vincer la partita.