Poesie personali


Scritta da: Iris Vignola
in Poesie (Poesie personali)

Inebriata dal voler esser nuda

Inebriata dal voler essere nuda,
s'ha da librarsi in volo, l'anima vagabonda,
quella veste ch'avea scelto sta nel letto,
in pieno sonno, a vivere nel sogno.
Di letizia rivestita,
centellina l'ingordigia d'esser libera,
roteando in spirali colorate,
aggrappandosi a code di comete,
apprestandosi a inoltrarsi in buchi neri,
fino a sfrecciar dove non era stata prima,
fin'a scoprir galassie sconosciute,
coniate da miriadi di stelle ammaliatrici,
d'altri soli, al centro di pianeti,
laddove le distanze appaion abissali,
laddove il tempo appar inesistente,
fors'a raggiunger il confine d'universo.
Non appar stanca, par abbia superato circa un metro,
l'anima avventuriera, ciononostante si riposa,
adagiandosi sopr'a una scia di rocce levitanti,
pure mancando l'aria,
in speranzosa attesa d'apertura del portale
separante universi paralleli.
Il suo alter ego attende, al varco, l'anima gitana,
dai vicendevoli racconti scopriran segreti di vite alternative
di quelle spoglie ch'han lasciate sole e abbandonate.
Nonché vuote, prive di quello spirito ch'è saturo d'immenso.
Degli alter ego alieni, l'un per l'altro, ma similmente uguali,
Gli stessi tratti, le stesse identità, gli stessi desideri,
seppur scelte diverse, inverse, del tutto essenziali a far la differenza.
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    Scritta da: Iris Vignola
    in Poesie (Poesie personali)

    Lo scoglio del peccato s'è venato

    Tu l'ape, io il fiore,
    metafora ch'appar del tutto vera,
    allor ti fai condurre dal profumo e dal colore
    del mio esser fiore, da te amato,
    nel solito frangente ch'io t'anelo e appaio pronta
    ad allietar olfatto ed estasiar palato.
    Tu conturbante ape, io ammaliante fiore.
    Nel rivelar dei petali t'inoltri, sinuosi e schiusi,
    agognando sugger nettare che sa inebriarti,
    di cui nutrirti e satollare i sensi,
    saziando gli appetiti miei, per te, esistenti.
    Istanti vivi, che fan vibrar la carne e ribollir il sangue,
    nell'eruzione d'un vulcano che s'è acceso,
    spandendo rovente lava, a infranger, del lecito, barriera,
    dacché ammetter che l'illecito sia sostantivo senza senso,
    nel compiacer l'amore, quello vero.
    Lo scoglio del peccato s'è venato,
    andando, mano a mano, a disgregarsi
    sotto il frangere dell'onda dirompente
    che, costante, nell'eroder piano piano, lo consuma.
    Tu onda prorompente, io mare che t'acclama.
    Tu ape pretenziosa ed io fiore in simbiosi,
    Siam consci che l'amore non abbia nulla da rimproverarsi,
    all'evitar d'alzare mura inconsistenti.
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      Scritta da: Iris Vignola
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      Fragilità

      Fragilità cruciali e prepotenti,
      omertosi e nebbiosi stati esistenziali
      che si nascondono, come serpenti aggrovigliati,
      nell'ombra dell'insita boscaglia dell'emozioni sentimentali,
      dove strisciare occultamente,
      andando ad infierire e interferire col senso della vita.
      Fragilità appartenenti all'io celato,
      dei sentimenti innati, generanti emozionali stati d'animo,
      talvolta nati nella luce, figli di speranza,
      che vanno ad incontrarsi e maturare
      nella silente solitudine della propria anima.
      Fragilità univoche discinte dalle fragilità comuni,
      che mostrano ogni essere a sé stante,
      singolare involucro perfetto ed imperfetto, nel contempo,
      dove squilibrio ed equilibrio si equivalgono e si compensano.
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        Scritta da: Iris Vignola
        in Poesie (Poesie personali)

        Placido il mare

        Placido, il mare, assorto nel torpore apparente,
        in quel d'estate
        pare ignorar la gente.
        Dal vento, sì tiepido e gentile, si lascia accarezzare.
        Discontinuo, l'alitare lo sorvola e lo sfiora,
        assai fugace,
        in quell'ore da bollore
        ed esso, per diletto, ad increspar l'acqua s'appresta,
        alzandosi nell'onde, tenaci e delicate,
        ch'avanzano, frementi di lambir la calda sabbia,
        per riversarvisi dentro,
        morendo su di essa, in spuma bianca,
        sapienti del rinascere perpetuo, nel lor ritorno indietro,
        al proprio padre.
        Placido il mare e placide le membra sotto il sole,
        sulla battigia fattasi infuocata.
        All'acqua fresca di risacca appena nata,
        poni la tua voglia di freschezza,
        nel desio impellente di refrigerio da calura,
        corroborante la tua energia testè calante.
        Bagnato, l'arenile disseta la tua sete,
        nel mentre che il rumore, ognor cantilenante,
        dolce sciacquio che sa pregnar l'udito,
        conduce alla tua mente, soave, del mare,
        quel sospiro, fattosi vibrante,
        sotto il sussurro flebile del vento,
        che gli riporta il canto che, in coro, vanno ad intonare,
        in paziente attesa dell'apparir dell'imbrunire.
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          Scritta da: Iris Vignola
          in Poesie (Poesie personali)

          Beltà e grazia han arriso alla tua forgia

          Beltà e grazia han arriso alla tua forgia,
          di maestria si son plasmate nell'imprimer il lor marchio;
          quant'è stata real veemenza, nel desiderar di far, di te,
          creatura alata, ineguagliabile esemplare, mai esistito tale?
          Grata, alquanto, al mio etereo arrancar là, fin dove arriva il sogno,
          in un cielo ch'ha dismesso il velo nero,
          scippato del colore buio dell'ombra,
          dall'estasiante aurora, giungente a rischiarar l'intorno.
          Nell'atto di posar i piedi s'una nube accumulata,
          mi costringo all'esilio e al diniego del risveglio,
          acciocché stare nel sonno, a favorir lo spazio che ricerco.
          Cavalcar su di te, oh mirabile destriero,
          carezzar il corno tuo, che ha sapor di sortilegio,
          com'eretto a corona sorprendente, sul tuo capo;
          aggrapparmi a soave morbidezza del tuo lungo crine biondo,
          del color che copia il sole, risplendente, or or, da Oriente,
          all'intender non cadere nell'accedere alle stelle.
          Febbril desio sfrenato e inappagato di mistero impenitente,
          ardor di fuggir via da ciò che è vero,
          all'uopo d'inchinarsi alla malia dell'irreale, del fatato.
          Che non abbia, il bagliore che traspare,
          ad infrangere e dissolver l'illusorio istante ch'io sto vivendo.
          Ch'abbia, tutto questo, un real senso.
          Ch'il mattin, testè parvente, si faccia sì silente,
          per proteggere l'essenza del mio mondo così strano,
          suggestivo e alternativo, trasudante fascino infinito e raro,
          esternato da mente ch'osa scindere chiusure perentorie,
          nell'esular dal certo preesistente e deprimente, invero,
          per optar l'incerto, di cui l'intento è di scoprir l'arcano,
          immergendomici dentro, fin'a divenir parte integrante dello stesso.
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            in Poesie (Poesie personali)

            L'acqua a pezzi e la notte a Venezia

            Arriva lenta,
            poca e stanca.
            Appare fra le due tavole di legno marcito
            si stringe per passare
            e subito diventa buia,
            l'acqua alla cavana.
            Si appoggia al muro
            e torna indietro.
            Di poco,
            come se sapesse di essere arrivata alla fine.
            Abbandonata dall'acqua madre
            già lontana nel canale.
            Si sofferma
            e lì riposa.
            Rumore leggero e ripetuto,
            un respiro preciso
            che ci posso contare il tempo
            con gli occhi chiusi.
            Farlo minuti,
            ore,
            una notte intera.
            Come stanotte,
            che l'acqua entra già buia,
            nera.
            Ed io
            finalmente non mi vedo più.
            Composta venerdì 27 novembre 2015
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              in Poesie (Poesie personali)

              La breve visita

              Scese giù
              leggera
              a chiedermi perché piovesse.
              Io non avevo risposta,
              non vedevo mai piovere.
              Ne piansi piano.
              Perché vedevo sempre sole?
              Perché pioveva sempre?
              Tornai a guardarla.
              Portava veli azzurri,
              ma non addosso,
              al braccio,
              come panni da lavare
              o da far volare.
              Ed era nuda
              e bella.
              Indossava i suoi graffi
              quasi come tatuaggi.
              I miei erano diventati tagli profondi.
              Come me
              si voltò.
              - Tu resterai qui,
              legato alla tua croce -.
              Ed io strinsi di nuovo i nodi
              e lì rimasi.
              Composta venerdì 27 novembre 2015
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                in Poesie (Poesie personali)

                I dubbi sulle parole degli altri

                Quando mi dicono che sono bravo
                penso che se lo fossi davvero avrei una pagella con tutti dieci,
                ma non ce l'ho.
                Solo in condotta ho dieci,
                e non è un vanto,
                è da perdenti.
                Quando mi dicono che sono educato
                penso che sia solo rispetto dovuto al prossimo,
                ma quando ci ho a che fare,
                col prossimo,
                mi rendo conto che troppo spesso non lo ricambia
                il mio rispetto.
                Quando mi dicono che sono affidabile
                penso che faccio ciò che si deve,
                che forse sono gli altri a fare poco,
                non io di più.
                Ma se invece che darmi tanto da fare
                prendessi un lungo respiro
                e vedessi intorno a me
                mi renderei conto che sono io sbagliato
                e che,
                forse,
                chi mi fa i complimenti
                o mi prende per il culo
                o mi vuole fregare.
                Composta lunedì 30 novembre 2015
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                  in Poesie (Poesie personali)

                  Località mulino piccolo

                  Nel mulino piccolo abitava un nonno
                  che aveva nipoti lontani.
                  Il mulino è ancora lì,
                  lui no,
                  ha un posto al cimitero,
                  vicino alla moglie.
                  Ai lati della porta del mulino
                  due panche di sasso
                  messe per accogliere chi passa.
                  Una vite americana vecchia di cent'anni
                  fa ombra alle panche ed alla porta.
                  Ma non c'è più il sole di una volta
                  e non passa quasi nessuno,
                  e chi passa ha fretta.
                  La curva del mulino piccolo è quella dove i sassi attraversano il fiume.
                  Di giorno
                  passaggio di serpi d'acqua.
                  La sera
                  passaggio di ruffiani,
                  sosta di guardoni.
                  È il posto per farci l'amore davvero,
                  quello in auto.
                  Non quello che si fa nelle ultime file al cinema a Bologna.
                  Ma non riguarda me,
                  non sono qui per questo.
                  Io volto le spalle a chi c'è,
                  a chi arriva ed a chi parte,
                  a chi guarda.
                  Io ho un amore nascosto in fondo al fiume.
                  È una piccola luce fra i sassi nell'acqua.
                  Appare solo la notte.
                  E solo a me.
                  Composta domenica 29 novembre 2015
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                    in Poesie (Poesie personali)

                    La lei che fu fatale

                    Vive nuda per casa.
                    Scende soltanto per le sue serate a invito.
                    Ospiti di rango,
                    vecchi ammiratori
                    che ancora la vedono con gli occhi dell'altro ieri.
                    Per l'occasione indossa i suoi capi migliori.
                    Si mostra
                    si nega.
                    Ritorna l'attrice.
                    Quella che è sempre stata
                    sulla scena come nella vita.
                    Ride,
                    sorride e recita,
                    è prima donna.
                    Solo a fine nottata le pesano un po' gli anni
                    ed entra nel dramma.
                    Ma stavolta non finge.
                    Si strappa le vesti per dieci minuti
                    poi nuda e incazzata
                    risale nelle sue stanze di zucchero.
                    Lascia da soli uomini e bottiglie.
                    Qualcuno,
                    a mattina inoltrata
                    porterà via bicchieri vuoti e cuori infranti.
                    Composta lunedì 30 novembre 2015
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