Nel buio della via illuminata. Pupille rosse mi scrutano, al centro di occhi verdi. Sabbie mobili mi fagogitano. Le gambe tremano freddo è il pudore piango col sudore. Due lune nel mio cielo nessuna è mai piena. Paura primaria nel ventre. Mi adagio sconfitto. Lo battezzo.
Scappare dal dolore non è la soluzione, Il dolore va vissuto, Va accettato, Va affrontato. Coraggio mi dico. Scendi dal tuo letto e affronta la vita. Ma resto lì, immobile, con il viso bagnato. Quanto possono essere amare certe lacrime. Un po' come la vita. Un po' come questo senso di vuoto che non mi abbandona.
Non ricordo quando ho visto il tuo volto Curiosità di un giorno, sinfonia di una notte Una donna come tante, un essere speciale Non servono parole, Ora giaci nel letto e non ti so consolare Mi dolgo di fuggire da quel sogno immane Ma devo restare Tu mi lascerai e non ritornerai. Bella e fresca come una rosa Piccoli occhi vispi mi guardano Discrete e amorevoli gesta mi invadono Non servono parole, io so che tu ci sei. Nonna ti amo.
Tu, io, gli altri, sguardi, sospiri, lenti battiti di ciglia, rosse fiammelle di cento candele, ombre lunghe ondeggianti sulle alte pareti, sibili di vento che intreccia pensieri non espressi.
Ma in questo mio non dire c'è tutto quanto il dire che soltanto l'amore può evocare.
La luna, alta e intera nel cielo, illuminava il paesaggio, mentre le ombre, che correvano insieme alle nuvole spinte da una fresca brezza di maestrale, danzavano fra gli scogli bruni e le tamerici salmastre. Le onde baciavano la riva, la riva attendeva l'onda, mentre la brezza della sera ci faceva avvicinare l'uno all'altra, in quella incantevole notte di mezz'estate.
Il fragore delle onde, il profumo del mare, il rumore del vento, la danza delle ombre esaltavano, unendosi, il tuo splendore di bimba nell'attesa di una mia promessa d'amore.
Ad un tratto si dissiparono le ombre, il vento si placò, il profumo si fece più intenso e la calma del mare permise ai nostri sì di scambiarsi le labbra, nel nostro più profondo e assoluto intimo silenzio.
Per tante sere ancora l'irreale scenario accolse le nostre parole d'amore, e un lustro più tardi dal nostro primo incontro, vita a vita, sole, luna, stelle, mare, cielo, profumo, tutto: nascesti tu, a cui oggi affido, da scrigno a scrigno, da padre a figlio, questo mio incontaminato, meraviglioso, eterno, testamento d'amore.
Colonne, nude file di colonne erette verso il cielo, dalle trabeazioni spezzate, erose, rotolate giù per il crinale.
Dal didentro dell'antico tempio semidistrutto, nel silenzio più profondo, nella pace degli olivi, sulla cima della collina inverdita, mi guardo intorno, e il tempo trascorso di secoli e millenni, come l'immensità di questo cielo, mi rivela in uno l'infinito, il passato, il presente, l'incerto ed il certo domani.
Canti greci, elevantisi dall'ara più distante, echeggiano per la valle. (Ma quel metro, quel ritmo, o Cantore di questa terra travagliata, non hai tu carpito prima di riposare sotto quel pino solitario? ).
Ecco avanzarsi il temporale dalle minacciose cupe nubi d'autunno guidate dal caldo vento di scirocco.
Con il volto verso il cielo, immerso in un canto corale, raggiunto dall'acre odore di corpo sacrificale al concludersi del rito, resto così, assorto, muto, colonna fra le colonne immobile, bagnato dalla pioggia.
La stessa pioggia che da sempre cede il passo alla secca saetta che, accecante ed assordante, Giove Pluvio decreta.