Poesie personali


Scritta da: Giulia G.
in Poesie (Poesie personali)

Speranza

Coperti dal vento della notte,
come centinaia di volte
Traccio il percorso
della speranza...
In un cammino all'infinito
i piedi ho consumato
e ferito...
Nutrendomi di sogni d'amore
in un'eterna illusione
Guardo in alto
sospiro ed aspetto
ne una parola ne un gesto...
solo silenzio di penitenza
che danno un volto alla mia presenza
scrivo amore e dolci parole
alimentando l'anima
dando calore...
Scorre via veloce nella mente
il ricordo di un 'amore
che muore lentamente...
La dissolvenza primordiale
cela la speranza d'attizzare.
Composta lunedì 12 gennaio 2009
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    in Poesie (Poesie personali)
    Ti sento... come lo sbocciare della primavera,
    un soffio dell'autunno,
    una brezza d'estate...
    un caldo camino d'inverno...
    Ti sento... in una maniera
    che ancora non riesco a decifrare,
    tanto vicina e tanto lontana...
    e davanti alla confusione un certezza,
    che quasi spaventa il mio ego...
    perché amare...
    è perdersi da se stessi.
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      Scritta da: Giuseppe Catalfamo
      in Poesie (Poesie personali)

      Missioni

      Volare ancora due lustri
      questo chiedo alla Dea Nera.

      Per volare come il delfino
      che gioca col cerchio d'acqua.

      Affinché il mio volteggiare
      alla mia costola
      possa donare un mare.

      Poi.

      Nulla mi tratterrebbe
      nel venire da te
      al sole del tuo Brasile.

      Alzerei il bianco marmo
      come fosse quel lenzuolo
      che ti copriva finito l'amore.

      Finalmente mi coricherei
      al tuo fianco
      per sempre.
      Composta lunedì 13 dicembre 2010
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        Scritta da: Nello Maruca
        in Poesie (Poesie personali)

        Il cipresso

        E fu Giuseppe per quarant'anni ed oltre
        a far'inchini e salutar dappresso
        finché trovossi un dì su stessa coltre *
        accanto colui che prima era cipresso.
        Parve, indi, con stupore immenso
        d'avere inchino da sì alto fusto;
        anchilosato fu, disse: Che penso?
        No! Cervello mio: Sei vecchio e guasto.

        E chiusi gli occhi, ch'era stanco assai,
        la destra penzoloni giù dal letto
        s'assopì pian pianino pensando ai guai
        ed alla vision ch'oggi fu oggetto.
        Così restossi: Tempo quanto nol seppe
        ma parvegli poi da tocco essere scosso
        mentre affettuosamente: Che fai o Peppe?
        Sentì stanco quel dire, quanto commosso.

        Per i suoi vitrei, da peso oppressi occhi
        forza non ebbe di guardar chi fosse,
        chi a voce lo chiamava e piccoli tocchi
        e debolmente pensava chi esser potesse.
        Fu il dì di poi, a mattino andato
        che disteso a letto a lui di presso
        scorge vetust'uomo, volto emaciato
        che credere stenta ch'esser sia lo stesso

        che per tant'anni ebbe ad inchinarsi.
        Quello lo guarda e stancamente dice:
        Ho, qui, nel petto di dolor dei morsi,
        stanco mi sento e d'essere infelice.
        Io non pensavo mai, Vossignoria,
        un giorno di trovarmi accanto a Voi,
        quest'oggi il cuore mio è in allegria
        ch'ha la fortuna d'essere con Voi.

        Prim'io voglianza avevo di morire
        che sempre fui più stanco e tribolato
        sper'ora, invece, manco di guarire
        ch'accanto Vossignoria sono appagato.
        Certo! Tu allato sempre sei vissuto
        e ancorché steso resti consolato.
        Non me, però, da nobil stirpe nato
        sempre diverso fui, e non reietto.

        Vossignoria restate tale e quale
        con l'arroganza nelle vostre vene
        ma l'altezzosità più a nulla vale
        perché acuisce solo le vostre pene.
        Da parte mia vi dico: Io vi perdono
        e mi prosterno a voi per quella gioia
        che il cuore mio ha ricevuto in dono
        d'avere accanto a sé vossignoria.
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          Scritta da: Nello Maruca
          in Poesie (Poesie personali)

          Ricordi

          Rosa il tuo nome e rosa eri di viso
          Ricordo, Mamma, il tuo bel sorriso;
          ricordo quell'incedere tuo lesto,
          ricordo radunati i capei a cesto.

          Ricordo gli occhi tuoi castano scuro,
          ricordo del tuo amore sempre puro;
          ricordo il tuo bel mento ovaleggiante
          su quel bel viso splendido, raggiante

          Ricordo, Mamma, quando al casolare,
          raccolti accanto al grande focolare
          raccontavi per noi fatti e romanze
          di principi e duchesse in grandi stanze.

          Principato, ducato e marchesato
          Quante fiabe per noi hai tu inventato!
          Altro dare di più non si poteva:
          in miseria di guerra si viveva.

          Ricordo i tempi degl'oscuramenti,
          i razzi a notte fonda rilucenti,
          ricordo le nottate fredde, io ignudo,
          quando il Tuo corpo a me facea da scudo

          per quei rumori forti ed assordanti
          di velivoli in cielo roteanti.
          Di gran paura si stringeva il core
          ma Tu coprivi tutto col tuo amore.
          .
          Allo scoppio di bombe a noi vicino
          stringevi a Te più forte il corpicino;
          lo facevi così, con tant'ardore,
          che risentirlo lo vorrei a quest'ore.

          E, mi ricordo, Mamma, le speranze
          che in quelle tristi, brutte circostanze
          trasmettevi nel debol cuoricino
          Dell'arrivo di Papà così vicino.

          Lo facevi con sì tanta fermezza
          che dissolvevi in me forte l'ebbrezza
          nella certezza di veder domani
          il Suo bel volto e le Sue grandi mani.

          Or più non sei, dolce mia Mamma
          cara, di Te solo ricordi in alma
          serbo, ricordi che mi servono a pensare,
          ricordi che mi portano a sperare.
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            Scritta da: Nello Maruca
            in Poesie (Poesie personali)

            Randagi

            Fummo perch'eravamo quand'ancor
            erano vitali, focosi e fermi Lor;
            or più non siamo perché saremmo solo
            se confissi rimasti fossimo in suolo
            e fosse in noi presenza vista di Loro
            e nostre ovazioni al Ciel fossero coro;
            contenti ancor vivremmo com'allora,
            quel ch'eravamo allora saremmo ancora.

            Ma più non è e, più mai così potrà
            ch'ognuno disperso s'è dritto sentiero,
            colui che s'accompagna mai vorrà
            che si ritrovi quel sentiero primiero.
            China la fronte a ciò che a lor piace,
            imbelli seguitiamo l'altrui volere,
            ad altra volontà noi si soggiace.
            Non intelletto umano ma sol di fere.
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              Scritta da: Nello Maruca
              in Poesie (Poesie personali)

              Pupillo

              Quinto di margherita fiore odoroso
              ritto cresciuto, bello e rigoglioso,
              fosti e tuttora sei grande gioiello
              ultima pietra di sì gran castello.

              Buono fosti sempre, rispettoso e quieto,
              alma sensibile, docile e mansueto
              d'arbusto sano, prosperoso e scuro
              da piccoletto già fosti maturo.

              Or che cresciuto sei null'hai mutato;
              dolce, sensibile e buono sei restato;
              solo un momento di tristezza in core
              scalfir voluto avrebbe il tuo spessore.

              Di quercia gran querciuolo ben nutrito
              della vita all'intemperie hai resistito
              e con la perspicacia che t'è nota
              t'aggrappasti alla mamma assai devota.

              Di me ti ricordasti, e ti son grato
              d'avermi posto pure all'altro lato,
              lesto come a padre si conviene
              ricorsi, tosto, all'opra pel tuo bene.

              Restar devi la quercia che sei nato
              mai giunco esser devi, in null'annata,
              né vento mai ti scuotono, pioggia o gelo,
              davanti agli occhi mai aver più velo.

              Quest'è l'augurio che ti manda mamma,
              mentr'io lo dico a mò di telegramma:
              Resta leone di ruggito feroce
              non fare che ti mettano alla croce.
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